Petro Porošenko sta cercando in tutti i modi di soffocare il malcontento nei suoi confronti che cresce nelle file stesse della sua squadra. Secondo Ukraina.ru, il ritiro della firma, da parte di una serie di deputati del “Blocco Porošenko” in calce all’appello rivolto alla Rada dal Consiglio regionale di Kiev per l’impeachment del capo dello stato, non sarebbe che il risultato delle pressioni presidenziali. A dispetto delle uscite, al di là e al di qua dell’Atlantico, sembra che Porošenko senta scivolare sempre più il terreno sotto i piedi, con la richiesta di messa in stato d’accusa che viene anche da personaggi non di secondo piano: il magnate industriale ed ex governatore della regione di Donetsk, Sergej Taruta, il presidente della Commissione anticorruzione della Rada, Egor Sobolev, gruppi di veterani del Donbass, che accusano Porošenko di “repressioni antinaziste”; ma, soprattutto, la richiesta di impeachment viene dal blocco “Patria” della ex premier truffaldina Julja Timošenko, che sembrerebbe poter contare sull’appoggio anche dei deputati del “Blocco di opposizione”, di “Autoaiuto” e addirittura del Partito Radicale di Oleg Ljaško.
Anche per questo, Petro continua a sfoggiare, a uso interno, i “successi” dei propri viaggi esteri. A Donald Trump, nei pochi minuti del loro incontro alla Casa Bianca, Porošenko avrebbe mostrato “le prove della presenza russa nel Donbass”: “documenti, foto, mappe, galloni e molti altri oggetti”. E se non sembra che il presidente USA sia rimasto particolarmente impressionato dalle “prove” di Petro, è stato il francese Emmanuel Macron a dirsi convinto che “l’aggressione venga dalla Russia, cioè non è l’Ucraina ad essere aggressore. Noi riconosciamo anche” ha insistito Macron, “che l’annessione della Crimea sia illegale e questo significa che tutti noi sappiamo chi abbia scatenato la guerra e abbia creato questa situazione”. Una situazione per cui, si deve sottolineare, uno dei paesi che, teoricamente, era garante degli accordi di Minsk-2 secondo il cosiddetto “formato normanno” (Merkel, Hollande, Putin, Porošenko) prende anche pubblicamente le parti di Kiev e della sua guerra condotta contro la popolazione del Donbass. Così che ora Porošenko si sente autorizzato a porre nuove condizioni per l’adempimento proprio di quegli accordi che la junta golpista non ha mai, in due anni e mezzo dalla loro firma, rispettato. E’ così che, da Parigi, ha chiesto la presenza “h24” degli osservatori dell’Osce lungo la linea di demarcazione tra forze ucraine e milizie popolari: “abbiamo il pieno appoggio dei nostri partner europei” ha detto Porošenko nel momento stesso in cui, come scrive novorosinform.org, “per la 69° volta l’Ucraina violava la demarcazione delle forze nell’area di Stanitsa Luganskaja”.
E’ così che Porošenko può anche vantarsi della prossima fornitura di armi USA: “Per quanto riguarda gli accordi sulla difesa, oggi abbiamo praticamente il testo concordato. Nel giro di 2-3 mesi attendiamo la visita del Ministro della difesa USA James Mattis e in quell’occasione, spero, sarà firmato l’accordo” che prevede forniture per 380 milioni di dollari. Petro, nell’euforia di aver potuto discutere con Trump del “coordinamento degli sforzi ONU e NATO” per il Donbass, si è detto anche convinto che non appena Donald Trump incontrerà Vladimir Putin, cercherà di convincerlo “dell’assoluta assenza di prospettive di ogni tentativo di premere sull’Ucraina”.
Secondo il politologo Mikhail Aleksandrov, sentito da Andrej Polunin per Svobodnaja Pressa, nuove forniture USA a Kiev possono incidere ben poco sul piano militare, essendo l’Ucraina già così più che armata; possono invece influire sul piano politico e Aleksandrov ritiene che Mosca dovrebbe adottare una linea più dura nei confronti di Washington, ad esempio uscendo dall’accordo del 1987 per la limitazione dei missili a corto e medio raggio, e rafforzare così le frontiere occidentali russe. “Se si arriverà a un attacco alla Russia” afferma Aleksandrov, “questo arriverà dall’Europa e non dagli USA. E noi abbiamo bisogno di un gran numero di missili non nucleari per liquidare in un sol colpo l’intera infrastruttura NATO in Europa: centri di collegamento, nodi ferroviari, porti, quartier generali, obiettivi simbolici come i parlamenti”. In una parola, dice Aleksandrov “da molto tempo avremmo dovuto inasprire il nostro atteggiamento verso gli USA. Le nuove forniture militari all’Ucraina potrebbero servire da pretesto”.
Intanto, molto prima dell’arrivo di Mattis, Porošenko attende l’arrivo a Kiev del Minsitro per l’energia Rik Perry: alle strette con le forniture di carbone dal Donbass, l’Ucraina vorrebbe firmare un contratto per il rifornimento “come minimo di due milioni di tonnellate” dalla Pennsylvania. In compenso, Perry detterà le condizioni per la partecipazione di imprese yankee alla privatizzazione di compagnie energetiche ucraine.
Quelle della stretta energetica e dell’interscambio con l’Europa sono i due ossi rimasti in gola a Kiev. Il primo ministro Vladimir Grojsman, al pari del suo predecessore, Arsenij Jatsenjuk, che aveva parlato di “aggressione dell’URSS a Ucraina e Germania nel 1941”, ha ora accusato coloro che hanno decretato il blocco del Donbass di “intelligenza col nemico”. Ora, ha proclamato Grojsman, “tutte le nostre risorse naturali, il carbone, i metalli, lavorano al 100% per l’economia russa. Gli autori del blocco hanno reindirizzato miliardi dal bilancio ucraino a quello russo”, ha detto, sorvolando sul particolare che quel blocco – energetico, finanziario, pensionistico – che rischia di causare una catastrofe umanitaria nel Donbass e, di contro, crea problemi energetici all’Ucraina, è stato decretato da Petro Porošenko. D’altronde, lo stesso ex presidente ucraino (dal 1994 al 2005) Leonid Kučma ha riconosciuto che “gli europei ci mettono in ginocchio” e non è il caso di “andare in giro per il mondo con la mano tesa”. Oltretutto, di ciò che può essere appetitoso sul mercato europeo, non rimangono che poche risorse naturali: il legname delle foreste e le fertili “terre nere”, per la privatizzazione delle quali ancora nelle scorse settimane il FMI ha ammonito Kiev a stringere i tempi. L’Ucraina oggi è solo una torta appetitosa per i creditori internazionali, commenta Igor Rogov su novorosinform.org, ricordando al secondo presidente della “Ucraina indipendente” che già con lui il paese era stato messo in ginocchio.
E, però, a dispetto di tutte le genuflessioni di fronte al “mercato europeo” e alle urla sulla cessazione di ogni rapporto con la Russia, nel primo trimestre 2017 l’Ucraina ha esportato in Russia merci (per lo più: metalli, motori, veicoli, ecc.) per poco meno di un miliardo di dollari e importato (prodotti energetici, fertilizzanti, veicoli, polimeri, ecc.) per 1,5, con un incremento, rispettivamente del 43,8% e del 49,8% e col piccolo dettaglio che nel 2016 l’Ucraina è risultata il principale partner commerciale della Russia nel settore degli armamenti, con un export di 169 milioni di dollari.
Dunque, quella “mano tesa” verso occidente rinfacciata da Kučma a Porošenko, ha per ora ben poche prospettive; tanto che il nuovo capodelegazione UE in Vaticano ed ex ambasciatore polacco in Ucraina, Jan Tombinski, intervenendo a Kiev al forum “La trasformazione dell’Ucraina”, ha detto che “negli ultimi tempi il tema ucraino è assente dalle discussioni internazionali; il mondo oggi è impegnato in conflitti enormi” e ha quindi raccomandato ai golpisti di “trovare i metodi per legare la situazione ucraina a quegli enormi problemi e dimostrare che l’Ucraina può esser parte della soluzione e non del problema”.
Difficile dire quel sia l’una e quale l’altro, se oggi, come scrive OffGuardian, anche i media mainstream occidentali si accorgono che in Ucraina spadroneggiano le bande neonaziste. Vero è, nota la pubblicazione, che lo fanno solo per colpire di rinterzo, da posizioni obamiane, Donald Trump, chiedendogli di dimostrare la propria intolleranza all’antisemitismo col condannare il governo ucraino che incoraggia il fascismo e eroicizza gli ex collaborazionisti nazisti e le organizzazioni naziste. OffGuardian nota come il mutamento di accento sia solo a fini interni: nessuno ha mai chiesto a Obama, McCain, Kerry, Nuland di condannare la junta ucraina, che loro stessi hanno messo in piedi, per la presenza nelle sue fila di personaggi neonazisti. “Si ha l’impressione” scrive OffGuardian, “che i nazisti ucraini appaiano dal nulla e scompaiano, in base al vantaggio politico”.
E’ ora il turno francese, dunque, nel sostegno ai golpisti di Kiev?
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