di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Un’offerta che il Qatar non può che rifiutare, quella presentata ieri dal fronte sunnita al nuovo nemico interno. Dopo settimane di dichiarazioni, chiusure di spazi aerei e confini terrestri, negoziati dietro le quinte, la mancata volontà dell’Arabia Saudita di ricucire con Doha è stata ufficializzata da una lista di 13 richieste per chiudere il capitolo crisi.
Ma sono talmente radicali che difficilmente Doha potrà
accettarle (l’obiettivo saudita, sparare molto in alto per impedire la
riconciliazione), pena un indebolimento politico che la renderebbe
l’ennesimo burattino regionale nelle mani di Riyadh. Dopotutto è per
questo che la crisi del Golfo è esplosa, il 5 giugno:
l’intenzione, nemmeno troppo sottaciuta, dei sauditi di ergersi a potere
incontrastato nella regione, volontà sottoscritta dal presidente Trump
che ha investito l’alleato della guerra all’Iran.
Nei 13 punti presentati da Arabia Saudita, Emirati Arabi,
Egitto e Bahrain – che contengono anche il pagamento di una somma non
specificata come «risarcimento» – spiccano i legami con Fratelli
Musulmani e Turchia, paese che dopo Doha subisce la scure punitiva
saudita: il Qatar deve rompere ogni relazione con la
Fratellanza Musulmana (di cui il partito turco di governo Akp è parte,
come lo è in Palestina Hamas) e smantellare la base militare turca nel
suo territorio, in cui saranno dispiegati migliaia di soldati.
Deve revocare la cittadinanza accordata ai cittadini dei quattro
paesi e rifiutare di naturalizzarne altri, nell’idea che si tratti di
oppositori o, di nuovo, membri della Fratellanza. Deve espellere
i rappresentanti diplomatici iraniani, chiudere l’ambasciata di Teheran
e cacciare i membri delle Guardie rivoluzionarie, oltre a interrompere
ogni relazione militare e finanziare con l’asse sciita. E deve chiudere al-Jazeera (e alcuni media considerati finanziati da Doha, tra cui Arabi21, Rassd, The New Arab e Middle East Eye). Un punto fondamentale per l’importanza e il ruolo che l’agenzia ha avuto dalla seconda guerra del Golfo in poi, divenuta la Cnn del mondo arabo, primo caso nella storia in cui a raccontare Medio Oriente e Nord Africa è un’emittente locale e non straniera.
Ma al-Jazeera è molto di più, è strumento di formazione di
una determinata narrativa, sì degli interessi qatarioti nel mondo ma
anche di certi eventi particolari, a partire dalle cosiddette primavere
arabe, plasmati e raccontati secondo un determinato discorso che ha
influenzato in modo dirimente le opinioni pubbliche e modificato lo
sviluppo stesso degli avvenimenti così come le interferenze regionali.
Il Qatar dovrà inoltre interrompere i legami con tutte le
«organizzazioni terroristiche», calderone in cui vengono inseriti i
sunniti Fratelli Musulmani, i qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra, Isis e
al Qaeda e gli sciiti di Hezbollah, gruppi che – eccezion fatta per i primi e per l’ultimo – sono stati notoriamente sponsorizzati dal resto dei paesi del Golfo.
E ultimo ma non per importanza, rappresentando l’ombrello sotto cui gli obiettivi sauditi passano, l’emirato dovrà piegarsi a rispettare tutte le politiche economiche, militari e sociali dettate da Riyadh.
Le 13 richieste andranno accettate entro 10 giorni, ma non è chiara la
reazione in caso di rifiuto. E il Qatar dovrà per 10 anni sottoporsi a
controlli mensili. Le prime reazioni arrivano da Ankara che rifiuta il
ritiro da Doha. Ufficiosamente parla anche il Qatar: il ministro degli
Esteri Mohammed Bin Abdulrahman al-Thani poche ore prima della
presentazione della lista aveva detto che non si negozierà fino a che le
misure punitive non saranno cancellate.
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