Mancano
600 metri e 300 miliziani prima che l’intera città di Mosul
sia liberata dal giogo islamista. L’operazione governativa irachena,
lanciata lo scorso ottobre, è giunta alla fine: pochi giorni,
assicura il comandante dell’anti-terrorismo di Baghdad, il generale
al-Assadi, e la seconda città irachena sarà ripulita dalla presenza di
Daesh.
Per ora gli islamisti, i pochi rimasti, si difendono come possono. Ovvero con estrema crudeltà, figlia della disperazione: negli
ultimi quattro giorni sarebbero stati almeno 80 – secondo Baghdad – i
kamikaze che hanno colpito l’avanzata delle truppe governative
che ieri hanno ripreso il quartiere di al-Faruq e liberato l’ospedale a
Bab al Baid, usato in questi tre anni di occupazione dall’Isis. Domenica
era caduto il quartiere di al Shifa. Violentissimi gli scontri, che
lasciano in trappola circa 100mila civili nella città vecchia.
E mentre nella parte est – liberata a febbraio – domenica si è
celebrato in pubblico, insieme, il primo Eid al-Fitr (la festa che
chiude il mese sacro di Ramadan) senza Isis, i numeri dopo otto
mesi di offensiva parlano di una vittoria prossima: 2.352 chilometri
quadrati di territorio e 188 aree riconquistate, 20 mila
famiglie liberate e 133mila kit alimentari distribuiti ai civili. Le
truppe irachene hanno poi confiscato a Daesh 1.139 auto-bomba, 601
motociclette, 22 barche, 1.400 armi e 49 droni e distrutto 26 tunnel e
12 impianti di produzione di razzi.
Le immagini della distruzione, portata dall’Isis e dalla successiva
guerra raccontano di una città devastata. Qui potete vedere le immagini
girate da un drone.
«Da una prospettiva militare, Daesh è finito. Ha perso il suo spirito
combattente. Glielo diciamo: arrendetevi o morirete». Queste le parole
pronunciate ieri da al-Assadi, dichiarazioni cariche di speranze che
però sul terreno trovano minor giustificazione. Mosul sta per
tornare al popolo iracheno ma l’Isis non è vinto: lo ha dimostrato nei
giorni scorsi, colpendo con un kamikaze la provincia orientale di Diyala, liberata da tempo (solo il mancato funzionamento della cintura esplosiva ha evitato una strage) e lanciando una pesante offensiva a nord di Kirkuk, contro postazioni di Baghdad e di Erbil.
Ma oltre all’intatta capacità islamista di infilarsi e penetrare
nella parte del paese dove l’occupazione non c’è stata o non c’è più,
con cellule armate e kamikaze, più di tutto preoccupa la divisione
politica e settaria interna al paese, privo di una strategia unitaria
che sappia tenere insieme anime diverse e ora in conflitto. Dal Kurdistan iracheno che punta al referendum sull’indipendenza a settembre (in concomitanza con le elezioni amministrative irachene, sempre che si tengano) alle regioni sunnite liberate da mesi ma ancora senza alcuna guida politica, l’Iraq rischia di sfaldarsi e rimanere alla mercé di attori regionali interessati a prendersene ognuno un pezzo.
Per questo nei giorni scorsi il governo iracheno ha tentato il primo passo: un
piano di ricostruzione da 100 miliardi di dollari in dieci anni che
rimetta in piedi le case e le infrastrutture ma che punti anche
sull’educazione e la contro-propaganda, ovvero a recuperare i giovani e i
bambini che per tre anni sono stati costretti a frequentare le scuole
religiose dell’Isis. Il sistema educativo ruoterà intorno a
programmi che saranno seguiti da scuole, moschee e chiese “sui valori
della coesistenza e della moderazione”, spiega a al-Monitor Hossam al-Ayyar, del consiglio provinciale di Niniveh.
A finanziare il progetto sarà la Banca Mondiale, ma anche enti
finanziari iracheni. Ma, c’è da scommetterci, i paesi stranieri si
fionderanno sull’opportunità, miliardaria, di ricostruire Mosul.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento