11/09/2017
11 settembre 1973: Golpe Militare in Cile
Quel giorno dell’11 settembre 1973 le Forze Armate del Cile guidate dalle più alte autorità, misero in atto un colpo di stato militare che è ormai ricordato come il momento in cui terminò il tentativo di mutare il corso della storia non soltanto cilena, fornendo un grande esempio di coniugazione tra democrazia e socialismo valido per tutto il mondo.
In quel giorno Salvador Allende, Presidente della Nazione, decise di immolarsi nel mezzo del bombardamento che aveva come obiettivo La Moneda.
Con questo atto, che lo stesso presidente Allende definì “sacrificio”, la figura del “Compagno Presidente” può essere considerata come martire caduto a difesa dell’idea universale del socialismo.
Con Allende morto, e dopo che i militari avevano occupato e immobilizzato il paese mettendolo in stato di assedio, venne dichiarata una giunta militare governativa composta da Augusto Pinochet, José Toribio Merino, Gustavo Leigh e Cesar Mendoza.
Il golpe militare messo in atto nel paese, fu presentato alla cittadinanza come un ordine temporaneo che avrebbe rapidamente lasciato il posto alla creazione di un governo legittimamente eletto.
Ciò naturalmente non avvenne e la dittatura militare durò per altri diciassette anni.
Durante questo periodo, il paese subì cambiamenti sociali epocali dal punto di vista culturale ed economico, instaurando una politica repressiva attuata dal governo che costò al Cile decine di migliaia di vite umane.
L’11 settembre 1973 la sanguinaria dittatura che fu imposta al Cile concluse un periodo durato 150 anni di storia repubblicana e si impose occupando tutte le istituzioni del paese con cariche nominate direttamente dal regime, tanto da cambiare profondamente le condizioni di vita di tutti i suoi abitanti.
Negli occhi di tutti i cileni rimarrà per sempre l’immagine della Moneda, il Palazzo presidenziale, in fiamme; lo stadio trasformato in lager per rinchiudere i prigionieri politici e i roghi con cui furono bruciati migliaia di libri definiti “pericolosi”.
Pinochet esercitò il potere con pugno di ferro fino al 1990 e introdusse un modello neoliberista ad oltranza che, secondo dati ufficiali, lasciò in povertà più di cinque milioni di persone.
Ci sono testimonianze che affermano che le forze militari continuamente presenti in strada, gli elicotteri che sorvolavano le città di notte, gli arresti alla luce del giorno, contribuirono a instaurare una “pedagogia del terrore”.
Nel mese di ottobre 1973, una delegazione militare guidata dal generale Arellano Stark percorse tutto il Cile con un elicottero Puma. Furono i giorni della Carovana della Morte. A questa ‘delegazione’ si attribuirono settantacinque omicidi, la maggioranza di questa composta da dirigenti politici e sindacali, con la cui morte si voleva scongiurare una più che probabile opposizione che si sarebbe sollevata nei primi mesi del regime di Pinochet.
Gli Stati Uniti cercano ancor oggi di lasciarsi alle spalle il ricordo dell’anniversario del colpo di stato di Pinochet.
Sono stati rivelati poco a poco, anche se in forma parziale, migliaia di documenti, alcuni dei quali mostrano un chiaro sostegno per l’opposizione ad Allende e del collegamento con alcuni degli autori del colpo di stato, prima ancora della nomina di Allende alla presidenza.
I documenti rivelano anche che gli Stati Uniti erano a conoscenza di un coordinamento tra il Cono Sud per la soppressione degli avversari oltre i confini: la cosiddetta “Operazione Condor”.
Nei primi anni ’90 in Paraguay si sono trovati dei documenti della polizia segreta politica paraguaiana. Questi documenti, detti “archivi del terrore”, rivelarono un piano machiavellico ordito nel ’70 dai servizi di sicurezza militari dei regimi dei paesi del Cono Sud: Argentina, Cile, Brasile, Paraguay, Uruguay e Bolivia per farla finita con gli oppositori delle loro dittature: “le sinistre, i comunisti e i marxisti”.
Il colpo di stato in Cile aprì il varco ad una grande operazione politico – economico che avrebbe portato all’egemonia del neo – liberismo a livello globale.
Si avviò, infatti, la sperimentazione al riguardo della “non naturale associazione” tra democrazia e liberismo economico
Nel “caso cileno” si innestava la volontà di sperimentazione per una nuova fase dell’economia a livello internazionale; quella del liberismo sfrenato che abbiamo conosciuto universalmente come “reaganismo – tachterismo”.
I “Chicago – boys” della scuola di Friedman misero così in opera i dettami di intensificazione dello sfruttamento che sono ancora alla base dei metodi con cui le grandi centrali del capitalismo governano i loro cicli di crisi.
Un sistema risultato, alla fine, in grado di produrre egemonia, non soltanto rispetto all’andamento del ciclo capitalistico, ma rispetto alla cultura, al senso comune, all’agire politico in una dimensione globale.
Un’egemonia che perdura tuttora, anche perché le forze politiche semplicemente progressiste, se non socialdemocratiche, se non comuniste (in particolare in Occidente) anche non vincolate al regime sovietico e al suo successivo crollo, non sono riuscite a proporre nulla d’alternativo, anzi – alla fine – si sono mimetizzate all’interno di quel sistema assumendone, sul piano politico – culturale, i tratti salienti in un gigantesco processo di omogeneizzazione.
Sulla scorta dell’accettazione del “pensiero unico” liberista si sono così creati i presupposti della crisi in atto dal 2008.
L’11 Settembre 1973 in Cile non rappresentò, quindi, soltanto la sconfitta di Unidad Popular e del tentativo di costruire, in un angolo peculiare del Sud America, un fronte popolare non venato da populismo.
Il “golpe cileno” rappresentò anche l’avvio di una sconfitta storica per le forze socialdemocratiche, socialiste e comuniste a livello internazionale in precedenza alla caduta dei regimi del cosiddetto “socialismo reale”.
Una sconfitta, prima di tutto politica e culturale, nella quale sono mutati gli elementi distintivi sia di una sinistra “possibile” , sia di una sinistra posta in grado di riproporre “l’Assalto al Cielo”.
Una sconfitta della quale stiamo pagando ancora adesso amare conseguenze, smarriti come siamo sul piano dell’identità e privi di una strategia politica complessiva.
L’11 Settembre 1973, il giorno della “macelleria americana” resta intatto nella nostra mente e nel nostro cuore accanto ai grandi passaggi della storia del movimento operaio internazionale: dalla Comune di Parigi alla Rivoluzione d’Ottobre, alla guerra di Spagna alla vittoriosa resistenza al nazi-fascismo, alla rivoluzione cinese, cubana, vietnamita, alla liberazione dei popoli dell’Africa e dell’Asia dal giogo coloniale, alla fine dell’apartheid in Sud Africa.
Finché i popoli continueranno a lottare.
Fonte
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