Sabato 16 dicembre a Roma è stata convocata da una vastissima coalizione di forze la manifestazione “Fight/Right, Diritti senza confini”. Abbiamo chiesto ad Abou Soumahoro, portavoce di 16D di spiegarci le ragioni della manifestazione e le priorità che questa intende esprimere. L’appello di convocazione e le adesioni sono già state pubblicate dal nostro giornale. Quella che va prendendo corpo intorno a questo appuntamento è la realtà di una vera alleanza sociale contro la povertà e per la dignità delle persone, immigrati o italiane che siano, in pratica una parte significativa e combattiva del nostro blocco sociale.
Abou, puoi raccontarci come è nata l’esigenza della manifestazione nazionale Fight/Right che si svolgerà a Roma sabato 16 dicembre?
La proposta nasce dai diretti interessati (migranti, sans papiers, precari, disoccupati) con una assemblea pubblica il 5 novembre composta da militanti che lottano per i diritti sociali, sia tra i migranti che nel sindacato, nei movimenti sociali e tra i lavoratori. La proposta si è allargata rapidamente e in modo trasversale a quel mondo che possiamo definire come “i dannati della globalizzazione”. Più che la manifestazione l’esigenza è quella di condividere le contraddizioni che viviamo sulla nostra pelle. E’ come avvenuto per Rosa Park quando si è rifiutata di cedere il posto a sedere sull’autobus a un bianco. Non lo ha fatto perché era stanca ma perché non voleva più subire i soprusi. Ci siamo chiesti: ci sono altri che vogliono ribellarsi a questo stato di sopraffazione?
Nella Piattaforma della manifestazione mettete in fila e denunciate tutte le leggi che sono state varate in materia di immigrazione: la Bossi-Fini; la Turco-Napolitano e infine la Minniti-Orlando. Qual è il tratto comune di questo percorso legislativo che dura ormai da anni?
Il tratto comune è la “categorizzazione” delle persone come figure “speciali”, con i migranti e i profughi dentro una filiera che li vede sempre sottomessi e senza alcuno strumento di tutela legale. Oggi possiamo dire che questa gabbia legislativa include anche i giovani, i giovani precari e disoccupati di qualsiasi paese che pensano e hanno come unica prospettiva quella di emigrare. Le stesse leggi sul lavoro o l’istruzione (Jobs Act, Alternanza Scuola-Lavoro) hanno in comune come filo conduttore quello dello sfruttamento, sia lavorativo che sociale. Quindi non dobbiamo più limitarci all’antirazzismo fine a se stesso ma ai problemi comuni dei dannati della globalizzazione.
E’ tutto vero, ma dentro la società, soprattutto nei settori sociali più impoveriti dalla crisi e dai provvedimenti dei governi, in particolare nelle periferie metropolitane, viene sempre messa in primo piano l’emergenza immigrati e si parla sempre più spesso di aumento del razzismo. Cosa ne pensi?
Quando accusiamo qualcuno di razzismo, non cogliamo la profondità degli effetti che producono queste leggi che tolgono la sostanza delle cose che servono alla gente. Chi fa queste leggi non dice mica “aboliamo la previdenza sociale” però la privatizzano, non dicono mica che “non è giusto avere il diritto ad una abitazione” però non le costruiscono, oppure mica vanno in giro a dire che tolgono il welfare, però lo smantellano. Dunque prima di accusare qualcuno di essere razzista dobbiamo prenderci qualche minuto di più, dobbiamo prima soffermarci ad ascoltare le sue ragioni, senza banalizzarle né giustificarle. Perché poi dobbiamo indirizzare questa “rage” ossia la rabbia – lo dico in francese perché è una parola con un significato più ampio di quello in italiano – la dobbiamo indirizzare verso un processo rivendicativo che abbia come bersaglio coloro che ci hanno messo in questa condizione. Quindi si esce dall’antirazzismo e si entra direttamente sul terreno della giustizia sociale, per tutti.
Ti cito alcune esperienze di lotta diverse che vedono come protagonisti lavoratori immigrati e rifugiati: la marcia per la dignità da Cona verso Venezia; le lotte dei braccianti nelle campagne pugliesi o calabresi; le lotte dei lavoratori nel comparto della logistica; le occupazioni abitative di famiglie di immigrati. Che segnale mandano al resto della società questi conflitti?
La marcia di Cona esprime una voglia di dignità e libertà che la legge Minniti-Orlando vorrebbe invece chiudere, chiudendo le persone dentro i centri, spesso anche gli operatori precari che ci lavorano. Le lotte dei braccianti dicono che nell’agricoltura l’economia può crescere, ma che oggi dentro questa filiera è possibile ottenere dei profitti solo sfruttando il lavoro schiavistico degli immigrati nei campi. Nella logistica, visto che si occupa della circolazione delle merci, i lavoratori dispongono di un forte potere contrattuale ma devono fare i conti con la ricattabilità dovuta agli effetti della Legge Bossi-Fini, una legge che non era solo razzista ma era una legge che di fatto interviene anche sulle caratteristiche del mercato del lavoro. Infine sulle occupazione delle case, il problema è che le famiglie di immigrati non hanno niente da perdere – perché per loro è difficilissimo trovare abitazioni accessibili – ma hanno tutto da conquistare, quindi hanno una maggiore spinta alla conquista di obiettivi che facilitano l’emancipazione, la casa sicuramente ma anche la scuola.
Abbiamo saputo che alcuni paesi africani stanno conducendo delle campagne per bloccare l’emigrazione dei loro giovani all’estero chiedendo di rimanere nel paese e di non spopolarlo di persone e risorse. Sai dirci qualcosa su questo?
In Costa D’Avorio ad esempio il governo sta facendo la campagna “Non partire” facendosi aiutare da artisti, musicisti etc. Ma la popolazione dice ai governanti: se voi dite che non dobbiamo andarcene, cosa state facendo per farci rimanere nel nostro paese? Gli dicono che sono corresponsabili di questo saccheggio che è la causa di questa tragedia. La colpa è del colonialismo ma anche dei governi africani responsabili. Il Fmi in un rapporto recente, ha detto che alcuni paesi africani sono seduti su una bomba ad orologeria, perché ci sono indicatori economici in crescita ma la disoccupazione e le disuguaglianze sociali aumentano.
Che caratteristiche avrà la manifestazione del 16 dicembre?
La caratteristica sarà quella di una manifestazione popolare che vedrà le storie e i dannati della globalizzazione marciare insieme gomito a gomito. Le politiche di austerity hanno prodotto la povertà facendo precipitare il resto della popolazione nella stessa condizione delle categorie “speciali” che nominavamo prima (migranti, immigrati, rifugiati etc.). Sarà questo mondo a scendere in piazza in una grande manifestazione che sarà appunto, popolare. Ci saranno delegazioni anche dalla Germania e dall’Olanda, forse dalla Francia.
Chiediamo a tutti di darci una mano sul piano economico perché dobbiamo pagare i pullman a chi non può permetterselo. Abbiamo aperto una raccolta fondi in modo che chi magari non può venire a Roma può aiutare un’altra persona a venire a manifestare.
C’è questo Iban IT12D07601055138261055061056 oppure con PostPay sul numero 5333171050683461
Dunque l’appuntamento è?
Sabato 16 dicembre alle ore 14.00 in Piazza della Repubblica con il corteo che si concluderà in Piazza del Popolo.
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