È partito circa un mese fa l’appello contro la mercificazione e privatizzazione del genoma del SARS Cov-2, per fare in modo che le proprietà intellettuali e la ricerca sul virus che ha paralizzato il mondo siano pubbliche. Ricerca che, affermano gli scienziati da cui è partito l’appello, deve essere libera dagli interessi delle industrie farmaceutiche, che già stanno scatenando una guerra nascosta (vedi lo scontro tra USA e Germania) per accaparrarsi studi e brevetti sul vaccino.
UNAids e Oxfam hanno calcolato che “per vaccinare contro il coronavirus la metà più povera della popolazione mondiale, 3,7 miliardi di persone, servirebbe meno di quanto le 10 maggiori multinazionali del farmaco guadagnano in 4 mesi”, circa 25 miliardi di dollari.
Lo studio della genetica, della biologia e degli effetti dell’infezione del coronavirus sono e non possono che essere a carico dello Stato, così come è stato e sarà il costo sociale che questa pandemia sta producendo in tutta la collettività. È da questo concetto, semplice e inevitabile, che parte l’appello dei ricercatori di tutto il mondo, che in Italia è stato rilanciato anche da USB.
“Siamo necessariamente coinvolti in decisioni politiche che dipendono dai risultati della ricerca e siamo perciò convinti che la principale via d’uscita dalla dilagante pandemia è rappresentata dal vaccino che non può, quindi, essere lasciato al mercato libero, alla competizione economica, perché la vita e la salute non debbono subire le logiche del brevetto.
La “proprietà intellettuale” delle ricerche che salvano vite, e quindi in qualche modo la proprietà della vita stessa deve restare nella disponibilità dell’intera comunità scientifica e della collettività.
Non deve, perciò, essere concesso il brevetto sul virus e non ci devono essere costi aggiuntivi a quelli di produzione su diagnostici, vaccini e farmaci per l’epidemia da SARS Cov-2.” (leggi l’appello completo e firma la petizione qui).
In Italia, come nella maggior parte dei Paesi a capitalismo avanzato le università pubbliche per sopravvivere e per competere nel mondo, si sono legate sempre di più al settore privato. Il sistema di finanziamenti alla ricerca europei e a cascata nazionali e regionali, mirano sempre di più a rafforzare la partnership pubblico-privato, in altre parole a trasformare gli enti di alta formazione (e quasi unici enti di ricerca pubblica), in un hub di laureati e cervelli al servizio dei privati, industrie e aziende che trovano più economico appaltare le proprie attività di ricerca al pubblico, perché a questi enti, non avendo bisogno di speculare (in teoria), bastano briciole per produrre conoscenza preziosa.
Questa condizione, in presenza di un virus letale come il SARS Cov-2, rischia di trasformarsi in un macabro business fatto sulla salute e sicurezza dei cittadini e sul lavoro precario di ricercatori, dottorandi e borsisti.
Si tratta di riportare la “proprietà intellettuale” di ricerche che salvano vite, nella disponibilità della intera comunità scientifica e degli Stati, perché la vita e la salute non si brevettano, o per dirla alla Albert Sabin, il virologo che scoprì il vaccino contro la poliomelite e si rifiutò di brevettarlo “non si brevetta il sole”.
L’appello, chiede quindi una legislazione speciale contro la mercificazione del genoma del coronavirus che impedisca ogni forma di privatizzazione della conoscenza, ovvero:
– libera circolazione delle informazioni, dei dati scientifici e delle scoperte correlate al coronavirus;
– divieto di brevetto su parti del genoma virale e sui derivati scientifici (vaccino, farmaci, diagnostici);
– equo compenso dell’utilizzo di precedenti brevetti di natura tecnico-scientifica che consentano il miglioramento della prevenzione e la cura dell’infezione;
– distribuzione e diffusione mondiale delle cure e dei vaccini anche attraverso la produzione direttamente a carico dei sistemi collettivi nazionali.
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