L’ultimo Fight Club all’aperto, atterrato in un universo di notizie sostanzialmente dedicato ai vaccini, si è svolto ad Ercolano qualche giorno fa. Non è il primo caso in queste settimane, anche se differente nelle modalità: Roma, Livorno e altre località minori segnalano questo tipo di Fight Club lungo tutta la penisola. Questi eventi, alcuni spontanei altri preordinati (meglio dire “prenotati”) seguono prima di tutto la logica dell’occupazione degli spazi vuoti così, se le misure di distanziamento sociale hanno svuotato le città, alcuni Fight Club si prendono il centro come a Roma e, appunto, a Ercolano. Certo, Roma ed Ercolano, analizzando un pò le cronache, rappresentano modelli opposti di questo tipo di eventi: il primo preparato sui social e sul cellulare mentre il secondo, se le cronache locali non si confondono, scoppiato per un banale problema di parcheggio.
Ma, nelle nostre società, qualcosa avviene sempre per caso (un litigio trasformatosi in appuntamento collettivo al Pincio, una questione di auto in doppia fila a Ercolano) ma questo qualcosa segue, molto spesso, una logica: quando gli spazi pubblici sono vuoti il protagonismo dei più giovani, che si accende in questi eventi, suggerisce sempre di occuparli. Segue poi, assieme alla consueta ondata di richieste di maggiore securizzazione sui social da parte degli adulti, la sfilata mediatica di amministratori locali che tendono a minimizzare, isolare e a chiedere livelli, spesso parossistici, di ordine pubblico. Ultimi, a vario titolo anche non richiesto, gli specialisti del commento sul nichilismo giovanile, quelli che individuano comportamenti e sostanze da inibire etc. Conosciamo il genere, quello del tentativo di controllo di ulteriori porzioni di microfisico quotidiano, ed è inutile andare oltre.
Quello che non è chiaro – non dico alla politica perché vive lo stato di estinzione da destra a sinistra, ma almeno a chi si occupa di questioni pubbliche da social e da cariche istituzionali – è che questo genere di eventi sono sempre e soprattutto la spia del ritrarsi della vita sociale dagli spazi urbani. È già accaduto con il declino dei grandi spazi dell’industria, poi con quelli dei servizi e, infine, in una società scossa dell’emergenza covid: gli spazi vuoti si riempiono. Ovviamente per un tipo di interazione sociale molto differente rispetto all’uso precedente degli spazi. Una interazione, in questo caso, da Fight Club ma di quelli che si giocano, la parola è sensata anche se è un tipo di gioco nel quale ci si fa anche male, pienamente all’aperto.
Quello che è meno chiaro è che, durante il decennio appena apertosi, di queste occasioni per i Fight Club all’aperto ce ne saranno parecchie. La fase di transizione dell’economia ad un compiuto uso di AI e robotica, il lavoro in remoto, il risparmio del lavoro in presenza ridurranno l’uso non solo degli edifici collettivi ma anche degli spazi urbani. E, secondo regole di comportamento consolidate, gli spazi abbandonati saranno riempiti da altri tipi di comportamenti. Anche da questo genere di Fight Club? Naturalmente, anzi è più facile che un primo cittadino sia sostituito da un algoritmo che questi fenomeni non si facciano vedere con una certa regolarità negli spazi lasciati liberi dall’industria 4.0.
Tutto questo ci dimostra che la nostra non è una società dell’individualismo di massa che è un vecchio spettro della critica della società industriale (oramai trapassata). Ma, piuttosto, una dove si sovrappongono lobby, corporazioni e microtribalismi nei vari segmenti di reddito, e di tenore di vita, che la compongono. È possibile raggiungere l’emancipazione in una società del genere? Certo, basta vederla per come è, non secondo schemi che vengono dal passato e che non hanno futuro. Intanto cerchiamo di capire i nostri Fight Club che compongono i microtribalismi delle nostre società che, sovrapponendosi a corporazioni e lobby, formano quel sostrato complesso che è oggi il tessuto sociale. Senza dare per scontato un connotato esclusivamente negativo al fenomeno e dando invece per scontato, come si è visto in piazza a Firenze prima dell’ultimo Lockdown di fatto, che le espressioni conflittuali che questo tessuto sociale esprime sono polimorfe, non riducibili facilmente a sintesi, e che richiedono un sofisticata quando efficace lettura.
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