23/12/2020
L’omicidio di Pinelli, il regime delle menzogne
La madre di tutte le fake news, in Italia, è una sentenza emessa nell’ottobre del 1975 dal giudice milanese Gerardo D’Ambrosio, che meno di vent’anni dopo sarebbe diventato un eroe nazionale per Mani Pulite (poi anche senatore del Pci-Pds-Pd o come si chiamava allora... NdR).
Secondo D’Ambrosio, il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, morto volando giù dal quarto piano della questura di Milano nella notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1969, sarebbe stata causata da un malore dovuto alle quarantotto ore di interrogatorio senza mangiare, con il freddo e una cappa di fumo di sigarette a peggiorare la situazione.
Pinelli non si sarebbe accasciato a terra come in un qualsiasi collasso, ma avrebbe subito un’alterazione del suo «centro di equilibrio» e sarebbe caduto accidentalmente dalla finestra. Non vi furono accuse né di omicidio né di abuso per i presenti nella stanza (e in questura) al momento della caduta. La stampa riassunse il senso della sentenza con un’espressione entrata nella storia (del linguaggio questurino, non certo della medicina, NdR): «malore attivo».
Qualche giorno fa è uscita un’intervista a Gianadelio Maletti, generale, ex capo del Reparto D (controspionaggio) dei servizi segreti italiani, iscritto alla P2, attualmente latitante in Sud Africa e protagonista di diversi depistaggi della storia della nostra da sempre depistata repubblica.
Secondo lui, Pinelli sarebbe stato interrogato davanti a una finestra. «A ogni risposta negativa, Pinelli viene spinto un po’ più verso il vuoto. Infine perde l’equilibrio e cade», sostiene Maletti.
In realtà anche questa versione non torna: se le cose fossero andate davvero così, Pinelli sarebbe caduto di spalle e non a faccia in avanti come poi è stato ritrovato il corpo. Più probabile che il suo interrogatorio sia davvero avvenuto alla finestra, ma seguendo il metodo «a cavalcioni», che pare all’epoca fosse molto in voga presso la questura di Milano.
È una questione fisica, in fondo: è ormai dimostrato che Pinelli cadde in seguito a una «proiezione verso l’esterno».
È un mistero che nessuno sembra aver voglia di risolvere, e d’altra parte sono passati cinquantuno anni. Credere che si possa arrivare a una verità giudiziaria è un bell’atto di fede, ma forse nemmeno ne vale la pena.
Resta la verità storica. E un avvertimento che torna utile anche per questi tempi inquieti e depressi, in cui chi esprime dubbi viene per lo più bollato come un complottista, un folle, un burlone: le vere fake news – le menzogne, le bugie – vengono quasi sempre da chi sta dentro le istituzioni. E quasi mai da chi ne sta fuori.
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