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19/12/2020

L’illusione di un’uscita capitalista dalla pandemia e la via cinese

Ad essere ottimisti, la situazione pandemica è “fuori controllo”, ed il vaccino non sarà la panacea per uscirne.

La vaccinazione, indispensabile e doverosa per raggiungere l’immunità di gregge, non dovrebbe essere che l’ultima tappa di una serie di scelte irrinunciabili da effettuare, per non ritrovarsi nel disastro sanitario che stiamo attraversando in Italia, e ancor più in tutto l’Occidente neoliberista.

Al mondo, infatti, ci sono stati più di 73 milioni e 700 mila contagiati, ed il totale dei decessi è pari a più di 1 milione e 600 mila persone. Numeri che salgono velocemente ogni giorno.

Una catastrofe che peserà anche da noi con un effetto di retroazione negativa sulle future ed imminenti campagne di vaccinazione.

La presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, ha confermato su Twitter che le vaccinazioni inizieranno in tutta la UE il 27, 28 e 29 di questo mese.

Il vaccino, soprattutto i primi ad arrivare alla fase operativa, prodotto da Pfizer e BioNTech, non sarà risolutivo, sia per il numero dei vaccinati necessari a raggiungere l’”immunità di gregge” – almeno il 70% della popolazione – sia per le criticità concrete (temperature di conservazione e quindi logistica di distribuzione) che si stanno manifestando lì dove è iniziata la somministrazione: Gran Bretagna, Usa, Canada.

In tempi relativamente rapidi, dovrebbe giungere alla somministrazione anch eil vaccino prodotto da Moderna.

L’azienda statunitense – che ha spedito 2,9 milioni di dosi la scorsa settimana negli USA – recentemente ha confermato che intende raggiungere la produzione di 50 milioni di dosi entro l’anno, e più di un miliardo e trecento milioni entro il prossimo. Com’è noto, occorrono però due dosi somministrate a distanza di tre settimane una dall’altra. Quindi la popolazione vaccinabile con questa versione non supererà i 650 milioni: meno del 10% a livello mondiale.

L’attuale vaccino in via di somministrazione ha già dato effetti collaterali non riscontrati neanche nell’ultima fase di sperimentazione (per gli iper-allergenici, in primo luogo), e non è ancora dato sapere quale sarà la reazione su alcuni gruppi a causa dei numeri troppo limitati testati nella terza fase di sperimentazione – come le donne in gestazione, per esempio. Le altre limitazioni riguardano il fatto che non potrà essere dato ai bambini, oltre che per la durata della protezione.

Insomma, un quadro pieno di incognite che ragionevolmente consiglia di prendere con le pinze le “narrazioni” entusiaste...

Tralasciamo poi il rompicapo logistico: non si deve interrompere la catena del freddo a -75 gradi, non può essere spostato più di 4 volte una volta immagazzinato e il breve tempo di resistenza dopo il decongelamento (5 giorni) entro cui deve avvenire la somministrazione.

La disponibilità del vaccino sarà limitata dalla capacità produttiva, e per ora dal numero ristretto dei produttori in prossimità dell’immissione sul mercato.

Inoltre verranno – giustamente – considerati prioritari i soggetti più a rischio per età, situazione sanitaria e funzione sociale.

Senza misure adeguate il virus continuerà invece a circolare nei luoghi di lavoro e nelle scuole, come sui mezzi pubblici, per non parlare di tutti gli altri luoghi di incontro, commerciali o meno, in cui si affollano normalmente le persone... La soglia di relativa sicurezza, ricordiamo, deve superare ampiamente i due terzi della popolazione; un obiettivo che non pare molto vicino nel tempo.

Quindi, dovrebbero essere prese innanzitutto misure tese ad interrompere la catena del contagio, permettendo una sopravvivenza dignitosa (reddito, generi alimentari, ecc.) nel momento che si applicano scelte drastiche di chiusura totale per alcune settimane; per permettere un decongestionamento del sistema sanitario, prima che si giunga di nuovo al “triage da guerra” e al dover costringere i medici a scegliere chi far sopravvivere.

Ma contemporaneamente bisognerebbe realizzare test di massa gratuiti, un tracciamento capillare dei contagi, un adeguato supporto digitale, senza cui un monitoraggio dei “focolai” e dell’evoluzione reale del quadro pandemico è impossibile.

Per questo servono persone e risorse economiche, così come ne servirebbero nel dissanguato sistema sanitario. E sarebbe stato necessario farlo all’inizio della pandemia, prima di stressare in modo criminale sia la popolazione che “l’economia”.

Con questi stop and go e mezze misure – invece – rischiamo di arrivare alla “bella stagione” più o meno come siamo adesso, con tutto quello che comporterà in termini di vite umane e conseguenze difficilmente ponderabili, ma drammatiche; con l’incubo di ritrovarci poi in autunno del 2021 in condizioni simili a quelle attuali, anche se con una parte della popolazione vaccinata.

Ci troveremmo, anzi ci siamo già trovati, in una situazione molto simile a quel mito greco per cui siamo costretti a far rotolare il sasso in salita finché stremati non ci schiaccia ritornando a valle, obbligandoci a ricominciare più stanchi e ammaccati di prima.

*****

Non ci sono altre vie, nell’Occidente capitalista; e quelli che erano stati additati come modelli virtuosi hanno mostrato nel tempo la corda, rivelandosi fallimentari – quello tedesco o quello svedese per esempio, per tacere del “modello Veneto”, precipitato con l’estromissione di Crisanti e la “presa di potere” di Zaia. Sono state variazioni di breve periodo in un sistema in bancarotta, che sta portando sempre più persone alla soglia della rottura psicologica, oltre che reddituale.

L’avere anteposto la sete di profitto di pochi alla salute dei più è stata una scelta miope anche dal punto di vista economico – un esempio da manuale di “eterogenesi dei fini”. Il PIL, negli Stati che compongono l’UE, scenderà in media di oltre il 7% quest’anno. Mentre in Cina, per esempio, la produzione industriale è aumentata del 7% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Pur scontando i due mesi di chiusura totale a Wuhan (la capitale dell’automobile nel Paese asiatico).

Tutte le élite occidentali hanno condiviso la colossale idiozia del “convivere con il virus”, formula infame che è servita solo a nascondere la volontà ferrea di non interrompere le attività produttive neppure quando le bare dovevano essere smaltite con i camion militari (oggi si sta passando ai più anonimi container...).

Alcuni industriali, in pieno delirio di onnipotenza, rivendicano apertamente il fatto che queste scelte comportino perdite umane, e sono sempre meno casi isolati. Spostano l’asticella sempre più in alto, facendo “passare”, alla fin fine, una barbara concezione eugenetica come “normalità”.

La nostra classe dirigente tutta, italiana e continentale, dovrebbe presentarsi a reti unificate procedere ad un suicidio rituale in stile giapponese – almeno metaforicamente – ma sappiamo che non lo farà. Le lacrime di Frau Angela Merkel, su questo punto, sono quasi più ipocrite di quelle della Fornero!

Gli apparati di informazione non aiutano, anzi contribuiscono in vario modo alla disinformazione strategica, a cominciare dalla rimozione totale degli esempi virtuosi reali: Cina, Cuba, Venezuela, Vietnam, il Kerala in India. Stati che, pur tra loro molto differenti, hanno tutti un comune denominatore: sono Stati in vario modo “socialisti” o comunque dove governano partiti comunisti.

I quali hanno messo al primo posto la salute dei cittadini, si sono affidati alla scienza ed alla mobilitazione popolare per la sconfitta del virus, dando indicazioni chiare e cercando di contenere le immancabili sofferenze prodotte dalla situazione.

E certo c’è stato anche qualche altro Stato asiatico non socialista, ma comunque più virtuoso di quelli occidentali (Corea del Sud, Taiwan, Giappone...).

Come sempre il pesce puzza dalla testa, e quindi non possiamo che partire dagli Stati Uniti.

Il 16 dicembre hanno avuto più di 245mila contagi giornalieri (quasi un terzo in più di 15 giorni fa), 3.611 decessi (più del doppio nello stesso periodo), e più di 113 mila ricoveri. I contagiati totali sono stati più di 17 milioni, e i morti oltre 311 mila!

Questa catastrofe negli USA non è stata il risultato solo della pessima gestione dell’amministrazione uscente, ma di un sistema e di scelte politiche bipartisan, non ultima l’aver solo “suggerito” di non viaggiare durante i 5 giorni di festività del Giorno del Ringraziamento, che hanno compromesso definitivamente una situazione già pessima.

In Cina, si registrano ormai pochissimi casi, meno di un centinaio al giorno – su una popolazione di circa un miliardo e quattrocento milioni di persone – tutti “importati” (viaggiatori in ingresso o di ritorno dall’estero), a cui si risponde con un celere screening di massa e senza che il livello di guardia si sia mai abbassato.

La Cina ha avuto in totale meno di 100mila casi, nonostante sia stato il paese colpito per primo, molto meno della metà di quanti ne abbiano gli USA in un giorno; e poco più di 4.700 decessi, cioè quanto rischiano di averne gli Stati Uniti in una sola giornata, se non invertono l’attuale tendenza.

La domanda sorge spontanea: perché la Cina appare leggermente indietro nella corsa al vaccino?

Considerato che già all’inizio dell’estate aveva effettivamente messo sotto controllo il virus, non aveva un sufficiente numero di persone “a rischio contagio” per la sperimentazione di massa della fase 3. Paradossale, forse, ma statisticamente inevitabile.

In ogni caso la ricerca è andata avanti. Il principale candidato, tra i vaccini, è il CoronaVac, prodotto dall’azienda statale China Sinovac Biotech, che si è recentemente assicurata 515 milioni di dollari dall’azienda privata China Sino Biopharmaceutical Limited, quotata in borsa.

Comunque, il 22 luglio era stato approvato l’uso di tre vaccini in casi di emergenza (focolai locali); la somministrazione finora sembra avere coinvolto più di un milione tra le persone maggiormente esposte.

Sinovac, invece, l’azienda pubblica che produce due dei principali vaccini in via di sperimentazione, tra cui il CoronaVac, per la sperimentazione della fase 3 è dovuta entrare in partnership con una decina di Stati, tra cui Bahrain, Egitto, Perù, Giordania, Argentina.

“La Cina ha adottato 5 approcci tecnologici diversi sviluppando i vaccini contro il Covid-19, con 15 vaccini che sono entrati nei test clinici, di cui 5 stanno attraversando la fase 3 dei test”, riporta il quotidiano cinese China Daily.

Il principale, il CoronaVac, è stato approvato dagli Emirati Arabi Uniti, primo Paese a farlo, testandone l’efficacia intorno all’86%.

Il SinoVac sarà invece probabilmente il principale strumento di vaccinazione in Indonesia, Brasile, Turchia e Cile, considerato tra l’altro che non necessita dello sviluppo di una “catena del freddo” (indispensabile per i prodotti Pfizer e Moderna), visto che deve essere conservato tra i 2 e gli 8 gradi, come quello sviluppato dall’Università di Oxford insieme ad AstraZeneca.

L’Indonesia ha già fatto importare 1 milione e 200mila dosi – un milione e ottocentomila, dei 40 milioni ordinati a Pechino, saranno in arrivo all’inizio di gennaio. Il Brasile riceverà un secondo carico di più di un milione e novecentomila dosi. La Turchia ha firmato un contratto per la fornitura di 50 milioni di dosi con la Sinovac Biotech.

Come riporta il Financial Times, l’azienda afferma di poter produrre i due vaccini in 100 milioni di dosi entro quest’anno e un miliardo entro la fine dell’anno prossimo, ed intende terminare la costruzione di un nuovo stabilimento produttivo entro la fine di quest’anno.

È chiaro che il vaccino è uno strumento in più per il soft-power di Pechino. Ma rimane il fatto che probabilmente la nostra “fedeltà euro-atlantica”, sia come modus operandi che come rapporti commerciali, ci stia oltremodo penalizzando...

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