Recentemente il parlamentare europeo leghista Angelo Ciocca ha affermato che “se si ammala un lombardo vale di più che se si ammala una persona di un’altra parte d’Italia”
e che dunque il vaccino anti Covid-19 dovrebbe essere distribuito
prioritariamente ai lombardi anziché ai cittadini delle altre regioni
italiane. Un’affermazione così sciocca e così profondamente intrisa di
razzismo non avrebbe neanche diritto a un commento su questo blog, ma ci
sono alcuni aspetti che è il caso di approfondire, per sottolineare come
le disgustose parole di Ciocca, lungi da rappresentare un “caso
isolato”, sono, in realtà, rappresentative di una logica spietata insita
nel sistema economico in cui viviamo.
Il ragionamento, se così si può dire,
di Ciocca è di una semplicità disarmante. Il nostro sostiene che non
bisogna distribuire il vaccino sulla base del livello di rischio,
esposizione e fragilità della popolazione, ma sulla base della
produttività economica: la regione più produttiva, più ricca, è il
motore del Paese e per questo deve uscire prima dall’incubo della
pandemia per poter poi trainare il resto dell’economia italiana. In
altri termini, bisogna in primo luogo salvaguardare i lavoratori più produttivi ovvero quelli che lavorano nei settori e nelle aree geografiche che garantiscono maggiori profitti.
Contro la sparata di Ciocca si sono levati gli scudi di buona parte della politica. Zingaretti ha parlato di “frase delirante e offensiva”. Per Di Maio quelle di Ciocca sono parole degne del Medioevo e addirittura Salvini parla di “sciocchezze”,
sostenendo nientemeno che “in tutta Italia e nel mondo la vita, ogni
vita, è sacra e non può avere un prezzo, né distinzione sociale,
geografica o economica. Aiutare, curare e proteggere tutti, a Roma e a
Milano, a Palermo e a Torino, a Napoli e a Bologna, è un sacro dovere”.
Dunque, il bene ha trionfato. Il cattivo Ciocca è stato biasimato da amici e nemici. Lui stesso ha dichiarato di essere stato mal interpretato. Tutto bene, dunque? È la dimostrazione che “ne usciremo migliori”?
A ben vedere, non è proprio così. C’è infatti, nelle parole dei fustigatori di Ciocca, un retrogusto di ipocrisia.
In tempi e modi diversi, tutti hanno applicato la logica che sta dietro
le parole dell’europarlamentare leghista. E questa logica è connaturata
al sistema capitalistico, che, in ogni tempo e in ogni luogo, ha
bisogno, per riprodursi e per produrre profitto, di sfruttare i
lavoratori. Di conseguenza, agli occhi del capitalista, un lavoratore
produttivo e forte ha più valore rispetto a un lavoratore improduttivo,
debole, magari malato.
Si tratta, a conti fatti, della stessa logica perversa che si situa dietro le aberranti affermazioni del Presidente di Confindustria Macerata, secondo
cui la necessità di produrre val bene qualche migliaia di morti in più.
È la logica del profitto. I capitalisti hanno un solo obiettivo: riaprire le fabbriche, rilanciare i profitti.
Di fronte a tali logiche, data la struttura produttiva italiana, un
lavoratore del Nord è più utile di uno di altre regioni e per questo
devono riaprire prima le regioni del settentrione. Il bene comune e la
salute dei cittadini sono nulla, i lavoratori sono trattati alla stregua
di macchine da tenere sempre oliate e funzionanti per generare
profitti, mentre quelle non in uso possono tranquillamente marcire.
È un segreto di Pulcinella, un “non
detto” che permea il modo di pensare di molti soggetti, anche quelli
apparentemente più “presentabili”, e che viene fuori in maniera lampante
quando si parla, ad esempio, di immigrazione. Anche in questo campo,
infatti, i vari rappresentanti del capitale non fanno mancare la loro
voce a sostegno del fatto che diritti e cittadinanza possono essere
graziosamente concessi, certo, ma a patto che tutto ciò sia funzionale a
incamerare i profitti.
E non si tratta, si badi, soltanto dei leghisti. Certo, costoro ci hanno abituato ai
fatti e alle dichiarazioni più disgustosi, ma non c’è bisogno di
vestirsi da vichinghi, bere l’acqua del Po o emettere incomprensibili
suoni gutturali per rappresentare questo modo di pensare. E neppure
possiamo limitarci a chi, come Di Maio e i 5 Stelle, ha, in tempi
relativamente recenti, assecondato il razzismo della Lega.
Occorre infatti ricordare alcune
dichiarazioni di rispettabilissimi esponenti in giacca e cravatta,
magari stimati professori ed ex vertici di enti pubblici, che hanno
applicato la “dottrina Ciocca” non alla tematica dei divari di
produttività tra Nord e Mezzogiorno, ma a quella dell’immigrazione, e
sono stati dipinti come ragionevoli esponenti del corretto pensare.
Esiste, infatti, accanto al razzismo della Lega – il “razzismo dei cattivi” – anche il razzismo dei “buoni”.
C’è chi, come l’ex presidente dell’INPS Tito Boeri, in quota PD,
controbatte alle sparate dei leghisti facendo forse anche peggio, dichiarando sostanzialmente che gli immigrati “ci servono perché ci pagano i contributi”. C’è ancora l’onnipresente Massimo Cacciari, che dichiara che,
invece, gli immigrati sono necessari perché “gli ariani non lavorano
nei campi”. Sullo stesso piano c’è l’ex presidente di Confindustria,
Boccia, a ricordarci che gli immigrati sono un’opportunità per il Paese, certo, ma per le stesse
ragioni citate da Boeri e Cacciari. E, in tempi più recenti, come
dimenticare le lacrime della ministra Bellanova, quando annunciava la norma sulla regolarizzazione degli immigrati per farli lavorare nei campi o come badanti?
Si insinua dunque il dubbio, che in
realtà è una certezza, che le frustate a Ciocca non siano dettate da un
sincero disgusto per le sue parole, sentimento che ci sentiremmo di
condividere pienamente. Le prese di posizione contro le eruttazioni
mentali di quest’ultimo sono, di tutta evidenza, vacue e ipocrite parole
di chi non vuole e non può ammettere quello che è palese, e cioè che
Ciocca non fa altro che confessare che i sistemi economici capitalistici
considerano le persone solo ed esclusivamente per il “valore” che esse
producono, sotto forma di profitto. E, quindi, quanto affermato da
Ciocca (i vaccini sì, ma devono andare prima ai più produttivi,
segnatamente quelli del Nord), da Boeri (gli immigrati sì, se ci pagano i
contributi), da Cacciari (gli immigrati sì, se ci evitano il duro
lavoro nei campi), da Guzzini (prima i profitti, poi le vite delle
persone), non è altro che un corollario del principio per cui il
profitto prevale su tutto, sulla salute, sulla vita, sulla dignità degli
esseri umani.
Ed ecco, quindi, che anche quello che
viene da tutti sbandierato come un diritto umano fondamentale, quello
alla salute e alle cure mediche, diventa uno strumento al servizio del
capitale e un terreno sul quale si esercita la lotta di classe. Una
lotta che deve vedere uniti lavoratori privati e pubblici, meridionali e
settentrionali, italiani e stranieri, per respingere i tentativi di
dividerci e per riaffermare, con decisione, la volontà di sottrarci alle
logiche dello sfruttamento, così profondamente radicate nella natura
del capitalismo.
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