Non era certo difficile aspettarselo, ma le mancate chiusure dei posti di lavoro nella seconda ondata rispetto alla prima (dove pure si era dovuto battagliare non poco con gli imprenditori) hanno provocato maggiori contagi e decessi da Covid-19 tra lavoratrici e lavoratori.
A certificarlo è il rapporto mensile dell’Inail, il quale sottolinea come la “seconda ondata” dei contagi da Covid-19 ha avuto “un impatto più significativo della prima anche in ambito lavorativo”.
L’Inail spiega che nel bimestre ottobre-novembre si è rilevato il picco dei contagi con quasi 49mila denunce di infortunio (pari al 47% del totale) rispetto alle circa 46.500 registrate nel bimestre marzo-aprile. Il divario, peraltro, si legge, “è destinato ad aumentare nella prossima rilevazione per effetto del consolidamento particolarmente influente sull’ultimo mese della serie”.
Rispetto ai 332 decessi rilevati dal monitoraggio al 31 ottobre, i casi mortali segnalati all’Istituto sono 34 in più, di cui 20 nel solo mese di novembre. L’analisi territoriale conferma che le denunce di contagio ricadono soprattutto nel Nord del Paese: il 50,3% nel Nord-Ovest (il 30,5% in Lombardia), il 21% nel Nord-Est, il 13,7% al Centro, l’11,1% al Sud e il 3,9% nelle Isole. Le province con il maggior numero di contagi sono Milano (11,9%), Torino (7,6%), Roma (4,2%), e Napoli (3,9%) mentre Bergamo ha il 2,6%.
Concentrando l’analisi esclusivamente sui decessi, la percentuale del Nord-Ovest sale al 53,8% (il 39,3% in Lombardia), ma rispetto al totale delle denunce si osserva una quota più elevata al Sud, che con il 16,9% dei casi mortali precede il Centro (13,7%), il Nord-Est (12,8%) e le Isole (2,8%).
Rispetto alle attività lavorative coinvolte dalla pandemia, in testa alla graduatoria c’è ancora il settore della sanità e assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – con il 68,7% delle denunce e il 23,7% dei casi mortali codificati.
Seguono le amministrazione pubbliche su cui ricadono il 9,2% delle infezioni denunciate e il 10,3% dei morti. Altri settori, con la ripresa delle attività dopo il periodo estivo, hanno visto aumentare l’incidenza dei casi di contagio tra le prime due fasi e una riduzione nella terza. Questo è accaduto nella ristorazione e nei trasporti.
La categoria professionale più colpita continua a essere quella di chi opera nella sanità, con il 38,6% delle infezioni denunciate, circa l’82% delle quali relative a infermieri, e il 9,3% dei casi mortali, seguita dagli operatori socio-sanitari (18,6%), dai medici (9,5%), dagli operatori socio-assistenziali (7,6%) e dal personale non qualificato nei servizi sanitari, come ausiliari, portantini e barellieri (4,7%).
Le altre categorie più coinvolte sono gli impiegati amministrativi (4,3%), gli addetti ai servizi di pulizia (2,2%), i conduttori di veicoli (1,2%) e i dirigenti amministrativi e sanitari (1,0%). Le infezioni relative agli artigiani e operai specializzati delle lavorazioni alimentari, invece, sono aumentate dallo 0,2% al 7,1%, per poi tornare allo 0,2% dei contagi denunciati tra settembre e novembre.
Gli esercenti e addetti nelle attività di ristorazione, per esempio, sono passati dallo 0,6% del primo periodo al 4,2% di giugno-agosto e allo 0,8% tra settembre e novembre. Gli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia, tra la prima e la seconda fase hanno raddoppiato la percentuale dei contagi rispetto al totale (dallo 0,6% all’1,2%), per poi attestarsi allo 0,9% nell’ultimo trimestre.
La maggioranza dei contagiati sul lavoro sono donne (69,4%), con un’età media dall’inizio dell’epidemia di 46 anni per entrambi i sessi, ma i decessi, invece, sono concentrati soprattutto tra gli uomini (84,2%) e nella fascia 50-64 anni, con il 71,6% del totale dei casi.
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