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23/12/2020

Nicaragua, l’anno che verrà

Le operazioni protocollari per l'ingresso di Biden alla Casa Bianca vanno a rilento. La resistenza di Trump a lasciare le comode e amichevoli mura si deve al fatto che teme le indagini che lo riguardano, e questo rende l'uscita di scena del magnate uno degli spettacoli più indecorosi della storia istituzionale statunitense. Le accuse di brogli elettorali non sono state nemmeno riprese dal partito repubblicano, ma superano una soglia politica considerata insormontabile: la vendita al mondo del modello elettorale americano come assoluta affidabilità del voto – e quindi della democrazia versione USA.

Trump lascerà il 1600 di Pennsylvania Avenue e con lui la marmaglia che ha prosperato: questa è ancora la notizia più grande e migliore. Biden, invece, non entusiasma nessuno e di per sé non rappresenta una novità particolare per l'establishment americano, di cui è esponente riconosciuto; è piuttosto la partenza dei consulenti criminali di Trump che fa notizia. Nei suoi rapporti con il continente latinoamericano, Biden cambierà il suo atteggiamento (non la sua linea politica). Non si tratterà solo di buone maniere, ridurrà la veemenza ideologica fascista che ha caratterizzato il rapporto con la parte progressista dell'America Latina negli ultimi 4 anni.

Basti ricordare il discorso del recente eletto Trump contro Venezuela, Cuba, Bolivia e Nicaragua, pronunciato non a caso a Miami, presso la sede di “Alpha 66”, una delle peggiori organizzazioni terroristiche della lobby mafiosa cubano-americana. Non si può biasimarlo per incoerenza: ha dichiarato guerra ai Paesi socialisti e lo ha fatto con una serie di misure volte a seppellire le loro possibilità di sviluppo economico, commerciale e di approvvigionamento, così come con il colpo di Stato in Bolivia e i tentativi di colpo di Stato in Nicaragua e Venezuela, con il disgustoso e criminale accerchiamento di Cuba.

La sostanziale novità nel cambiamento di amministrazione risiederà quindi nella fine della delega della politica statunitense in America Latina a Miami: la lobby terroristica di Miami farà ritorno a Miami. Dopo aver visto l'uscita di John Bolton, la Casa Bianca sarà abbandonata da Mike Pence, uno dei peggiori nazi-evangelici, che via Twitter nominò Juan Guaidò presidente del Venezuela; da Elliot Abrams, criminale di guerra già condannato per i massacri in Guatemala e Iran-gate negli anni Ottanta; da Mike Pompeo – nazista convinto che ha ispirato l'assassinio del generale iraniano Qasem Soleimani e sostenitore del terrorismo di Stato israeliano; da Ted Cruz, che è stato per loro il riferimento politico, dai gruppi segregazionisti e suprematisti del Ku-Klux-Klan e degli uomini d'affari legati alla lobby mafiosa cubano-americana (FNCA) della Florida. Insomma, l'arrivo di Biden alla Casa Bianca, non porterà necessariamente un'aria nuova ma certamente più pulita. Non ci saranno svolte politiche nel rapporto tra l'impero e il cortile di casa ma, almeno, non vedremo i rifiuti frustrati di ogni rivoluzione, vera e propria spazzatura degli stessi Stati Uniti, a sviluppare la linea USA sul continente.

Il Gruppo di Lima e l'OSA, i due soggetti attivi che dall'interno del continente hanno sostenuto il progetto di "riconquista" dell'America Latina dagli Stati Uniti, sono in stato comatoso. Il Gruppo di Lima non può più firmare un solo documento, poiché Messico, Argentina e Bolivia sono contrari a qualsiasi risoluzione. L'OSA, dal canto suo, non recupera l'immagine indecente della partecipazione al colpo di stato boliviano.

La prova di un possibile diverso atteggiamento della nuova amministrazione si vedrà nei prossimi mesi, quando avrà inizio la campagna elettorale, e alla fine del 2021, quando il Nicaragua tornerà alle urne. Il sandinismo vede crescere la sua approvazione e ha nell'attuale formula presidenziale la prossima candidatura, la destra è ancora sparpagliata e declinata in mille sigle. Questo non dipende certo dalla ricchezza ideologica e culturale, è solo un'articolazione di interessi in cui regnano ambizioni personali, famiglie, raggruppamenti di vario genere, ognuno dei quali rivendica un proprio diritto di nascita, una propria linea politica e, soprattutto, chiede i finanziamenti dall'estero. Grazie a questi vivono da ricchi e non vogliono rinunciarvi, è il loro core business: non ricevono denaro per essere oppositori, diventano oppositori per ricevere denaro.

L'ala destra si presenta con una disputa permanente, senza leadership, senza strategia, senza contenuti e con un consenso limitato che dovrebbe sfidare un sandinismo mai così vivo e forte e una leadership straordinaria come quella del presidente, il comandante Daniel Ortega. La percezione di una sconfitta certa gli è chiara. Allora, affronteranno lo shock o si ritireranno con il pretesto che non ci sono le condizioni per affrontarlo?

L'idea di ridisegnare il percorso del boicottaggio sembra improbabile per diversi motivi. In primo luogo, la decisione di non partecipare non sarebbe condivisa dai liberali e da altre formazioni, che non pensano affatto di uscire dalla porta di servizio della scena politica nazionale. Inoltre, la precedente esperienza di non partecipazione non ha dato frutti, non si è verificata la prevista rottura tra il Nicaragua e la comunità internazionale. Allora perché astenersi? Scambiare l'assenza elettorale e la conseguente nullità politica con alcune sanzioni che hanno più un valore ideologico che un impatto concreto non sembra essere un buon affare.

Forse l'Unione Europea, la più grande nullità sulla scena internazionale, suggerirà la via dell'astensione. Ma astenersi dal voto non è una grande idea. È riconosciuto a livello internazionale che la validità di un processo elettorale risiede nel suo termine costituzionale, nella partecipazione popolare e nella certificazione istituzionale del risultato del voto, e non nella volontà di ogni partito di partecipare o meno, che rimane una scelta politica volontaria e non un obbligo. Il fatto di candidarsi o meno alle elezioni non ne determina la regolarità, poiché il voto è un dovere civico, mentre la candidatura non lo è affatto. Tuttavia, le elezioni si terranno come previsto nel novembre 2021 e determineranno i vincitori e i vinti sulla base dei voti espressi e non sulla base della simpatia dell'OSA, del Gruppo di Lima, degli USA o dell'Unione Europea. Tutti soggetti che in Nicaragua non vivono, non votano e non contano.

A meno che non ci siano sondaggi spietati indicanti percentuali di prefisso telefonico, la destra cercherà di correre. Presentarsi al voto, tuttavia, non significa riadattare la cattiva immagine di cui soffre. Silenziosa e immobile di fronte ai disastri climatici che hanno colpito il Paese negli ultimi mesi (anzi, per certi versi protagonista di una malcelata soddisfazione per i danni economici subiti), è un'opposizione che non si vede né si sente all'interno del Paese, se non per le continue minacce che ogni ipotetico leader lancia agli altri potenziali alleati. Attaccare gli altri per formare un'alleanza è un percorso difficile da capire? Sì, ma schizofrenici, dopo tutto, lo sono dal 2018.

Negli ultimi tempi, assaliti da una crisi di visibilità, insistono nel voler svolgere un ruolo, qualunque esso sia. Lo vogliono dal governo che però non riconoscono, e questo sembra già difficile da capire in linea di principio. Chiedono il dialogo dopo averlo rifiutato; propongono sforzi sull'economia dopo averla boicottata; licenziano per poi lamentare una crisi lavorativa; protestano contro la repressione dopo aver torturato, ucciso, bruciato e distrutto; denunciano la corruzione dopo aver rubato di tutto; chiedono aiuto per le chiese dopo averle ridotte a depositi d'armi per criminali e golpisti.

Galli da combattimento

La questione del voto anticipato, se mai ce n'è stata, è scomparsa, schiantandosi contro il muro della Costituzione. La questione apparente è il modello dell'alleanza, cioè chi può farne parte e chi no. Quella vera però, è chi la guiderà.

Mairena, Maradiaga, Chamorro, Mora e altre impresentabili si svegliano ogni mattina come tigri sognando di essere candidati unici dell'opposizione e ogni notte vanno a dormire come gatti malinconici per non esserlo. Le opzioni sono diverse perché diversi sono i volti, diversi sono gli appetiti.

Anche la questione della personalità giuridica ha un'influenza; essa determina la possibilità di evitare la ricerca delle condizioni di eleggibilità alla disputa elettorale e anche di partecipare alla discussione su un'eventuale riforma tecnica della legge elettorale, se ce ne sarà una. Se non si raggiunge l'unità di tutti sotto un unico vessillo, è molto difficile per la miriade di partiti e ONG trovare un lato elettorale e l'unico partito antagonista del Frente Sandinista sarebbe ancora il Partito liberale, storicamente presente in Nicaragua ma allo stesso tempo diviso in due e protagonista di epurazioni interne con grande copertura mediatica.

I vari raggruppamenti sono divisi in diversi flussi e la fantasia nella ricerca delle sigle mette alla prova anche gli enigmi. Non passa giorno senza una nuova divisione, un acronimo diverso e un nuovo leader, regolarmente disconosciuto dal precedente. Si moltiplica così il numero di sigle che rivendicano un posto al tavolo delle trattative nazionali, implicando una quota nella divisione delle centinaia di milioni di dollari che gli Stati Uniti e l'Unione Europea inietteranno nella campagna elettorale.

La tecnica è collaudata: prima ogni partito si trasforma in più organizzazioni, poi ognuno chiede il proprio posto come candidato e il proprio denaro. La somma totale di denaro e di candidati dei diversi partiti sarà sempre superiore a quella che il partito originario avrebbe ottenuto da solo. Tuttavia, il fallimento dell'operazione sembra essere stato annunciato, e partitini e ONG fanno dichiarazioni bellicose che ricordano solo la loro assoluta irrilevanza.

Perché? Perché pesano sul tavolo delle trattative la forza economica e mediatica di ogni partito, il peso elettorale ipotizzato dai sondaggi, la credibilità riconosciuta delle personalità, i legami con le organizzazioni criminali (che quando si tratta del Nicaragua i media internazionali trasformano magicamente in esiliati), il consenso delle gerarchie ecclesiastiche e, naturalmente, quello dell'ambasciata americana a Managua. Contarsi non basta, ognuno deve pesarsi e ognuno ha un peso diverso.

Gli Stati Uniti

La decisione finale sui candidati e sul modello organizzativo è nelle mani degli Stati Uniti e il significativo ritardo in questo senso sembra indicare l'incertezza dovuta al cambio della guardia a Washington. Approfittano del sostegno di USA e UE, che vedono con questo circo Barnum la possibilità di proporre ricette neocoloniali sotto il governo sandinista. Investono abbastanza ma non troppo, i collaborazionisti si acquistano con due spicci.

Essi sostengono qualsiasi candidatura che possa unificare tutto l'anti-sandinismo, che – credono a Washington e a Miami – potrebbe contrastare il FSLN. Un'innocua illusione per un lavoro non facile. Dal 1979 ad oggi, l'interesse americano per il Nicaragua è sempre stato quello di strapparlo dalle mani del suo popolo e di consegnarlo a quelle dell'oligarchia e della borghesia compradora. A maggior ragione dopo il 2006, i tentativi di unificare l'opposizione proponendo un cartello unificato come quello del 1990 si sono ripetuti, ma senza successo.

Questo perché per quanto riguarda il Nicaragua, come per il resto dell'America Latina, ci sono due linee statunitensi: una che si riferisce direttamente alla struttura oligarchica nazionale e che risponde a Washington, l'altra che si basa più sulla dimensione militare e terroristica della destabilizzazione e che ha un riferimento diretto a Miami. Le differenze nella valutazione dei soggetti e nelle formule, ovviamente, al momento della votazione saranno unificate nella ricerca dell'obiettivo comune che, nel caso del Nicaragua, più che la vittoria del liberalismo, è la sconfitta del sandinismo. Sognano di ripetere le glorie del 1990 ma sanno che la storia è completamente diversa, impossibile da ripetere. Non ci credono. Chi vive di speranza muore nella disperazione.

La Conferenza Episcopale

La gerarchia ecclesiastica assumerà un ruolo di primo piano nella formazione del cartello della destra golpista. Ormai inesistente dal punto di vista pastorale e sorda alle emergenze sociali, la Chiesa cattolica vede diminuire la sua influenza ogni giorno che passa. Non può permettersi di andare avanti senza finanziamenti pubblici e senza il ruolo pubblico che le è stato assegnato erga omnes. Il denaro utilizzato per la sua propaganda proveniva dall'estero ed era destinato a rilanciare la CVN nel contesto dell'opposizione al governo. Ma non bastava: a causa delle ambizioni dei suoi cardinali e del finanziamento dei suoi vizi, non avrebbe resistito altri quattro anni nella nicchia dell'opposizione senza finanziamenti statali.

Che peso ha la CEN adesso? Sfruttare la forte religiosità dei nicaraguensi non ha più il valore che aveva fino a pochi anni fa. Cercare di usare il cristianesimo politicamente è utile in una certa misura quando è chiaro che sotto la tonaca c'è una dimensione demoniaca e non di carità; più che il messaggio di Cristo, la CEN rilancia quello dell'ultra-destra e più che l'umile rivolge la sua attenzione all'oligarchia.

Senza prestigio né credibilità, sia per la sua sleale partecipazione al tentativo di colpo di Stato, sia per le sue menzogne e l'indifferenza nei confronti delle esigenze del Paese, la CLN si è ritagliata una nicchia puramente politica e ritiene di poter agire come forza unificante per le varie forze dell'opposizione. A tal fine, tra marzo e aprile, proporrà di assumere la guida politica dell'opposizione con la candidatura di uno dei suoi prelati (Silvio Baez, probabilmente) come deux ex machina. Il tentativo è quello di superare molti candidati politicamente deboli con una candidatura politicamente forte. Per raggiungere questo obiettivo, egli intende esercitare tutto il suo peso residuo tra i fedeli, oltre che a Washington, Bruxelles e Roma, pur sapendo di non poter contare affatto sull'appoggio di Papa Francesco, contro il quale, tra l'altro, vescovi di quasi tutto il mondo hanno costantemente ma inutilmente cospirato fin dal primo giorno del suo pontificato. Il rischio è molto alto: Baez perderà e con la sua sconfitta si verificherà la crisi finale della CLN.

Il FSLN

Lo scorso anno sono stati certificati tre risultati straordinari per il sandinismo: l'uscita anticipata dalla parte peggiore della crisi economica indotta dal tentativo di colpo di stato del 2018, che ha causato oltre 1,8 miliardi di dollari di danni diretti e indiretti; l'ottima gestione della pandemia di Covid-19 attraverso un modello di sanità pubblica straordinario, insieme a una lucida valutazione che ha evitato il panico. Non si è risparmiato nessuno sforzo per metterlo alla pari con un Paese moderno; il contrasto con i due spaventosi uragani che si sono abbattuti sulle coste caraibiche è stato impressionante: una gestione saggia e prudente nei soccorsi, la sicurezza delle popolazioni prima e dopo, un'assistenza tempestiva e decisa, efficace nel ripristino e nel miglioramento del territorio distrutto.

Il Nicaragua, colpito come tutti gli altri dal rallentamento economico causato dalla pandemia, che ha seguito la riduzione della crescita dovuta ai danni provocati dal colpo tentatore, ha affrontato e persino vinto le avversità climatiche, dimostrando organizzazione capillare, disciplina ferrea e assoluta fiducia nella leadership del comandante Ortega. I risultati sono eccellenti; sarebbe bene abbassare il cappello di fronte a una tale qualità politica e gestionale che in paesi molto più potenti si può soltanto sognare.

Questi sono alcuni degli elementi che spiegano il maggior consenso nella gestione del governo guidato dal comandante Daniel Ortega e dal vicepresidente Rosario Murillo, che è stato più volte riportato nei sondaggi d'opinione condotti negli ultimi mesi e i cui risultati non lasciano dubbi sul sandinismo e nessuna speranza per l'anti-sandinismo. La destra continua a costruire campagne di odio, il Sandinismo costruisce ospedali, strade, scuole, difende l'integrità fisica della sua gente e del suo territorio nazionale, progetta programmi di sviluppo anche in presenza di ogni tipo di avversità.

Il 2021 sarà un anno in cui saranno forti le pressioni sul Nicaragua affinché conceda all'OSA la sua sovranità politica ed elettorale. Managua ovviamente non crede di dover sottoporre le proprie decisioni politiche al giudizio dell'OSA e degli Stati Uniti. La squalifica definitiva dell'organizzazione guidata da Luis Almagro, che ha messo mano alla vergognosa operazione boliviana, si aggiunge alla mancanza di credibilità politica degli Stati Uniti in materia elettorale e forma un indigesto mix ideologico che ha avversari insormontabili nella sovranità, nell'autodeterminazione e persino nell'igiene della politica. Ancora più ridicola sembra l'indebita pressione dell'UE, che in termini di volume di scambi commerciali e di autonomia politica dagli Stati Uniti è solo un accessorio nelle relazioni politico-diplomatiche del Nicaragua.

Poiché Managua è abituata a rispettare gli accordi presi, il contributo tecnico che l'OSA vuole offrire in materia di tecnica elettorale sarà ascoltato e ponderato, come è stato stabilito da anni, e l'eventuale collaborazione sarà misurata in termini di rispetto che l'organizzazione dimostra nei confronti del Nicaragua. Tra collaborazione e imposizione c'è tutta la differenza del mondo. È una questione di indipendenza e di sovranità.

Che gli piaccia o no, come ha ripetuto più volte il Comandante Presidente Ortega, in Nicaragua il popolo nicaraguense decide, nessuno può sostituirlo. C'è qualcuno che non l'ha ancora capito?

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