18/12/2020
Il Sipri conferma l’esistenza dell’arsenale nucleare israeliano. Ma si parla solo dell’Iran
Un nuovo rapporto del Sipri, l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma, conferma che Israele possiede circa 80 testate nucleari. Mentre le autorità israeliane continuano da anni con la loro politica di non rilasciare dichiarazioni sul proprio arsenale nucleare, secondo il rapporto ci sono circa 30 bombe a gravità, che possono essere utilizzate da aerei da combattimento – alcune delle quali si ritiene siano equipaggiate per il rilascio di armi nucleari – e circa 50 testate che possono essere utilizzate da vettori balistici terrestri come il missile a raggio intermedio Jericho III – che, secondo i rapporti stranieri, ha una portata di 5.500 km.
Il rapporto menziona anche i numerosi rapporti non confermati secondo cui Israele avrebbe modificato la sua flotta di sottomarini della classe Dolphin costruiti in Germania per trasportare missili da crociera equipaggiabili con testate nucleari, conferendogli una capacità di secondo attacco dal mare.
Funzionari del reattore israeliano di Dimona hanno dovuto ammettere che negli ultimi anni si è verificata una perdita di materiali radioattivi dall’impianto. La perdita è stata rivelata nel 2019 dopo che Freedi Tawil, un ex dipendente dello stabilimento, ha citato in tribunale la direzione della centrale di Dimona per ottenere un risarcimento a causa del cancro che aveva contratto sul posto di lavoro.
Sul piano globale, secondo il rapporto del Sipri, all’inizio del 2019 c’erano circa 13.865 armi nucleari nelle mani di nove Stati, di cui 3.750 sono state schierate con forze operative e altri duemila tenute in uno stato di massima allerta operativa. Tra questi c’è Israele ma non c’è, ovviamente, l’Iran sul quale invece si concentrano attacchi, pressioni, attentati, omicidi di scienziati.
Nell’impianto nucleare di Dimona lavorano circa 2.700 persone tra scienziati, tecnici, personale amministrativo e altre figure. A partire dal 1958 circa con l’assistenza francese, Israele costruì un reattore di ricerca all’uranio naturale, ad acqua pesante, a Dimona nel deserto del Negev, a circa 8,5 miglia dalla città con lo stesso nome e a circa 25 miglia dal confine giordano. L’impianto di Dimona è stato costruito in segreto e non è soggetto a controlli di sicurezza internazionali. La struttura fu notata per la prima volta dai servizi segreti americani quando gli aerei spia U-2 sorvolarono Dimona nel 1958. Non fu definitivamente identificata come sito nucleare fino a due anni dopo.
L’elenco degli Stati che hanno venduto segretamente a Israele il materiale e l’esperienza per fabbricare testate nucleari, o che hanno chiuso un occhio sul furto di know how e materiali nucleari, include alcuni dei più accaniti oppositori contro il programma nucleare iraniano, tra questi ci sono Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna. Gli esperti, tuttavia, affermano che il progetto di armi nucleari di Israele non sarebbe mai potuto decollare senza un enorme contributo della Francia. Parigi che ha preso la linea più dura sulla controproliferazione quando si è trattato del programma nucleare dell’Iran ha contribuito a gettare le basi delle armi atomiche israeliane.
“A Dimona sono arrivati ingegneri francese per aiutare a costruire in Israele un reattore nucleare e un impianto di ritrattamento molto più segreto in grado di separare il plutonio dal combustibile del reattore esaurito”, rivelò The Guardian nel 2014. Secondo il giornale britannico, c’erano almeno 2.500 cittadini francesi che vivevano a Dimona entro la fine degli anni ’50. “Ai lavoratori francesi di Dimona era vietato scrivere direttamente a parenti e amici in Francia e altrove, ma inviavano la posta a una falsa casella postale in America Latina”, ha scritto il giornalista investigativo americano Seymour Hersh nel suo libro The Samson Option.
Il reattore dell'impianto di Dimona fu messo in funzione all’inizio del 1964. Tuttavia, secondo Pierre Pean, i funzionari francesi furono sorpresi di scoprire che i circuiti di raffreddamento erano progettati per sopportare tre volte il livello di potenza nominale, il che consentiva uno scale-up a 70 MWt senza l’aggiunta di circuiti di raffreddamento extra. Se fosse vero, il livello di potenza del reattore sarebbe stato dall’inizio di 70 MWt. Forse il livello di potenza è stato aumentato a 150 MWt qualche tempo dopo il 1976.
Gli esperimenti sulle armi nucleari israeliane risultano avvenuti nel settembre 1979 vicino alle Isole del Principe Edoardo, a circa 1.000 miglia dalla costa meridionale del Sudafrica – allora sotto il tallone di ferro del regime dell’apartheid – dove vennero individuati da un satellite statunitense (ma la divulgazione della notizia venne subito secretata).
Nel 1992 l’Istituto Internazionale di Studi Strategici di Londra diede alle stampe un libro di Marie Hélène Labbè, dal titolo “La proliferazione nucleare in 50 domande”, in cui venivano accusati Stati Uniti, Germania, Francia e Israele di avere fornito collaborazione al regime razzista sudafricano nello sviluppo del suo programma nucleare. Negli anni passati si è parlato molto dei rapporti fra Pretoria e Tel Aviv e la Labbè ha scritto che Israele aveva fornito degli esperti in cambio di uranio e della possibilità di effettuare degli esperimenti nucleari sul territorio sudafricano.
Nel 1986, le descrizioni e le fotografie della struttura di Dimona fornite dal tecnico nucleare israeliano Mordechai Vanunu furono pubblicate sul Sunday Times. Le informazioni rivelate da Vanunu (sequestrato a Londra dal Mossad, incarcerato per anni, uscito e costretto al silenzio) hanno supportato la conclusione che Israele avesse una scorta di 100-200 ordigni nucleari, una capacità nucleare significativamente più grande di quanto stimato in precedenza.
Rimane la domanda: ma se questo è vero, perché tutti si accaniscono solo contro il programma nucleare iraniano ancora in alto mare? Sarebbe arrivato il tempo di imporre una conferenza per il disarmo nucleare in Medio Oriente. Ma guai a parlarne con gli israeliani.
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