Mentre alcuni giorni fa documentavamo sul nostro giornale come la sanità pubblica sia stata saccheggiata e indebolita a favore della sanità privata, proprio quest’ultima sta già tornando alla carica per far largo ai suoi progetti sulla sanità integrativa privata.
Per acquisire legittimità, la divisione salute (e assicurazioni, ndr) di Intesa San Paolo ha preso spunto dal rapporto RBM-Censis dello scorso anno, per decantare il ruolo di “secondo pilastro” della sanità integrativa rispetto al Servizio sanitario nazionale, nell’ottica di “raddoppiare il diritto alla salute”.
“Appare quindi sempre più necessario implementare un Sistema Sanitario Integrativo, basato sui Fondi Sanitari e le Assicurazioni, che possa ‘intermediare’ la spesa sanitaria pagata direttamente dai cittadini per le cure erogate al di fuori del Servizio Sanitario Nazionale ampliando la capacita’ assistenziale del Sistema Sanitario del nostro Paese”, ha affermato in un recente evento online Marco Vecchietti, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo RBM Salute.
Le sue parole sono utili per capire l’insidia – e la speculazione sul crescente allarme sociale in merito alla sanità – che questi soggetti stanno mettendo in campo.
Il manager della maggiore banca italiana, è partito dal tema delle prestazioni specialistiche e non ordinarie. “Si tratta di fatto – ha spiegato in una intervista ad Askanews – di andare a supportare le singole persone nell’accesso a queste prestazioni, evitando che ci sia la necessità di sostenere queste spese direttamente con il proprio reddito e prevedendo un servizio, quello della sanità integrativa, che è ancillare al Servizio sanitario nazionale e che si occupi di gestire collettivamente queste prestazioni per tutti i cittadini”.
Ma come? E qui, anche dal linguaggio, si capisce quale sia il sistema che Vecchietti e quelli come lui hanno in testa, ossia il fallimentare, discriminatorio e disuguagliante sistema sanitario statunitense. “Investire maggiori risorse sui protocolli di diagnosi precoce attraverso la mappatura dei rischi con metodiche di analisi genomica ridurrà l’incidenza prospettica dei cosiddetti big killer, le patologie più diffuse tra la popolazione” afferma Vecchietti.
Quando si passa alle soluzioni, emerge chiaramente come il suo mondo consideri la salute pubblica né più né meno che un terreno di mercato e di profitto per le società assicuratrici (e, come noto, anche per Cgil Cisl Uil che hanno introdotto il welfare aziendale nei contratti di lavoro, ndr).
Non a caso proprio la divisione salute di Intesa San Paolo annuncia trionfalmente che: “La Divisione Insurance di Intesa Sanpaolo, attraverso Intesa Sanpaolo RBM Salute, si è aggiudicata la gestione dei fondi sanitari integrativi contrattuali dei Gruppi Fiat Chrysler Automobiles (FCA) e CNH Industrial. In totale i fondi FASIF e FISDAF assistono circa 170 mila persone”.
Non solo gli sciacalli delle “Divisioni Insurance”, grazie a Cgil Cisl Uil incombono sulla sicurezza sociale di lavoratrici e lavoratori, ma vogliono avere il semaforo verde per mettere le mani anche sulla società nel suo complesso.
“Gli strumenti di predictive underwriting e adaptive pricing – sottolinea infatti Vecchietti – consentiranno alle compagnie la definizione di polizze assicurative personalizzate che operino a protezione della mappatura dei rischi dell’assicurato”. In sostanza vi faranno la polizza assicurativa solo se non state messi troppo male in salute, esattamente come negli Usa.
Secondo Intesa San Paolo, la sanità integrativa può consentire a tutti, attraverso il pagamento di “una piccola quota” generalizzata, di coprire anche le spese che oggi invece ricadono, in maniera pesante solo su chi in un determinato momento abbisogna di cure specifiche.
“Della spesa sanitaria privata, oggi in media i cittadini finanziano l’85% direttamente e solo il 15% è finanziato attraverso assicurazioni sanitarie e fondi sanitari” – ha aggiunto l’amministratore delegato di Intesa San Paolo RBM – “Si tratta di un livello di copertura decisamente inferiore a quello degli altri cittadini europei”.
“L’obiettivo di fondo – insiste Vecchietti – è non andare a duplicare quelle che sono le tutele del pilastro pubblico, ma rendere possibile per il nostro cliente una soluzione alternativa, aggiuntiva, che gli consenta sempre di avere accesso alle cure di cui ha bisogno”.
Ma su questo, proprio nel servizio di alcuni giorni fa denunciavamo come le strutture sanitarie private abbiano ormai superato quantitativamente quelle pubbliche, e in larga parte proprio grazie alla spesa sociale diventata generosa con i privati e ferocemente ridotta per la sanità pubblica.
Il sempre più asimmetrico dualismo tra pubblico e privato nella sanità, viene poi a innestarsi anche sull’emergenza pandemica che stiamo vivendo – e che, unica perla – anche Vecchietti definisce non più di pandemia, bensì di “sindemia”, ossia più emergenze sanitarie che si intrecciano con una condizione di crisi economica/sociale, mettendo ulteriormente in crisi la capacità di gestire o affrontare, non solo l’emergenza, ma anche le attività sanitarie ordinarie.
“Per noi operatori della sanità integrativa – ha concluso il manager di Intesa San Paolo – la sfida è quella di riuscire a garantire proprio in queste situazioni emergenziali un supporto organico al sistema sanitario, consentendo agli assicurati di avere la tranquillità e la certezza, pur a fronte di una situazione di emergenza, di poter continuare a gestire le proprie cure per quanto riguarda la loro situazione di salute ordinaria”.
Sono proprio questi concetti, queste parole, questa visione e le azioni concrete che ne sono derivate ad aver smantellato la sanità pubblica e ad aver reso la salute un mercato come gli altri. Se la pandemia/sindemia ci ha insegnato una cosa e che questa logica va completamente rovesciata e sconfitta. Senza sconti per nessuno.
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