Dopo sette anni di negoziati, Cina e Unione Europea concludono un accordo sugli investimenti, a poco più di tre settimane dall’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca.
Uno smacco per Washington, un’ancora di salvezza per Bruxelles ed un successo per la partita geopolitica di Pechino.
Il China-UE Comprehensive Agreement on Investement (CIA) dovrà essere ratificato dal Parlamento Europeo e potrebbe essere operativo già all’inizio del prossimo anno, quando il mondo potrebbe avere superato la prova pandemica e gli equilibri tra i maggiori attori geo-politici essere profondamente mutati rispetto a quelli di un anno fa.
È il secondo accordo che la Cina conclude – dopo il RCEP di metà novembre scorso – nel periodo della tormentata transizione politica statunitense iniziata con la conclusione del processo elettorale il 3 novembre scorso.
I colloqui per questa intesa erano iniziati nel 2013.
Un anno chiave in cui la Cina vide rallentare la sua crescita impetuosa e l’amministrazione Obama, in piena strategia di contenimento cinese attraverso il Pivot To Asia, con la cornice del TPP – l’ipotesi di accordo trans-pacifico da cui Trump si sganciò un anno dopo la sua elezione – e l’esclusione di Pechino dall’accordo tra le sei banche centrali (USA, UE, UK, Giappone, Canada e Svizzera) di fine ottobre, sembrava in grado di determinare un piano politico che consolidasse il proprio ruolo guida.
Sembra un secolo fa, se ci considera che il “baricentro” della rigenerazione economica mondiale si è spostato in Asia e la pandemia ha rimescolato le carte della competizione geopolitica.
Uno status quo ante, quello dell’“era Obama”, che non potrà essere ripristinato dall’amministrazione Biden-Harris, al di là della volontà di fare dell’asse USA-UE il perno del contenimento della Cina
Le dichiarazioni riportate dal Financial Times pochi giorni prima dell’accordo, rilasciate da un membro dello staff di transizione statunitense, secondo cui “l’amministrazione Biden-Harris ha intenzione di consultarsi con la UE in un approccio coordinato sulle pratiche economiche corrette e altre importanti sfide” sembrano più un augurio che un vero e proprio piano, visto come la presidenza Trump abbia moltiplicato i contenziosi con la UE e avvelenato i pozzi per una possibile intesa neo-atlantica.
Allo stesso tempo, l’intesa è l’ennesima dimostrazione dell’accelerazione che l’asse franco-tedesco vuole dare alla costruzione del polo imperialista continentale, dopo le decisioni prese in sede di Consiglio Europeo nella prima metà di dicembre, senza curarsi troppo dei desiderata di Washington, che ha storto non poco il naso già quando l’accordo sembrava sul punto di concludersi.
Al netto dell’opposizione all’interno della rappresentanza politica del Vecchio Continente, quest’accordo fortunatamente voluto dalla Merkel – e dalle multinazionali tedesche – riallinea le decisioni strategiche di Bruxelles alle esigenze delle oligarchie europee con aspirazioni globali. Tra queste, la necessità di trovare sbocchi per i propri investimenti e le proprie merci in mercati molto meno “stagnanti” di quelli continentali. Soprattutto se si tratta di settori strategici, come quelli interessati dall’accordo.
Il piatto è piuttosto succulento trattandosi dell’eliminazione totale, parziale e/o progressiva degli ostacoli per gli investimenti europei in settori come i veicoli elettrici e quelli ibridi, le telecomunicazioni, la sanità privata (a Shangai e Pechino), i servizi finanziari, quelli aereoportuali e della prenotazione online, per esempio...
Il quadro naturalmente sarà più chiaro quando verranno rese pubbliche le clausole.
Come ha affermato Elvire Fabry a Le Monde, per ciò che riguarda l’UE “è una buona dimostrazione di autonomia strategica”.
L’indipendenza dell’Unione si costruisce al di fuori degli interessi degli Stati Uniti, come dimostra il fatto – praticamente ignorato dai media nostrani – che la sezione lunga 2,6 km del gasdotto Nord Stream 2, nelle acque territoriali tedesche, è stata completata a fine dicembre, dopo una pausa durata circa un anno, nonostante la minaccia di nuove sanzioni.
L’infrastruttura – i cui lavori dovrebbero continuare da gennaio in acque territoriali danesi – che dovrebbe permettere alla Russia di trasferire alla Germania 55 miliardi di metri cubi di gas naturale, è stata realizzata al 94%.
Un esempio di come nella guerra del gas UE e USA potrebbero trovarsi su fronti contrapposti.
L’UE, sul piano della competizione economica e dello scontro geopolitico, non sembra volere fare sconti a nessuno, come dimostrano le seppur timide sanzioni alla Turchia (membro NATO e alleato “di ferro” di Washington), che potrebbero essere ampliate a marzo, se non si troverà una quadra con Ankara su una serie di dossier che la vedono su posizioni antitetiche rispetto alla UE (Libia, Mediterraneo Orientale, Caucaso).
Un’attenzione particolare va poi riservata al processo di allargamento dell’Unione Europea nei Balcani, dove l’impasse su differenti nodi potrebbe far diventare quella regione il “ventre molle” delle aspirazioni dell’Unione, avvantaggiando così USA, Russia, Cina e Turchia. Bruxelles sarà costretta ad una accelerazione che va al di là delle ritrosie di alcuni sue componenti.
Per Pechino l’accordo sugli Investimenti è un successo diplomatico che ostacola il tentativo del suo contenimento, sfruttando le difficoltà della transizione politica statunitense e l’intrinseca debolezza economica della UE.
Una giocata perfetta del pragmatismo diplomatico cinese.
Un ex funzionario dell’amministrazione Obama ha dichiarato al Financial Times che l’intesa “convalida la visione cinese che l’economia è una forza irreversibile”, al di là dei dossier relativi alle presunte violazioni dei diritti umani.
Sembra quasi un lapsus freudiano, cui andrebbe aggiunto che le scelte politiche effettuate nel contenimento del virus hanno avuto grandi ricadute economiche, portando la Cina ad essere l’unica economia del G20 non in recessione.
Un vittoria “certificata” in parte dallo stesso report della Banca Mondiale di fine dicembre, che prevede per la Cina una crescita dell’1,9% nel 2020 (nonostante la pandemia) e del 7,9% nel 2021!
L’intesa è altresì un successo economico per Pechino, che vede aprirsi in parte in mercati europei.
L’accordo rende ancora più complessa la risoluzione dell’attuale equazione geo-politica e rende sempre più urgente una riflessione a tutto campo per comprendere quale sarà il ruolo della Cina nel mondo multipolare.
Abbiamo tradotto il seguente articolo uscito il 30 dicembre, subito dopo la conclusione dell’accordo dal quotidiano cinese di lingua inglese South China Morning Post, di Hong Kong.
Buona Lettura
Uno smacco per Washington, un’ancora di salvezza per Bruxelles ed un successo per la partita geopolitica di Pechino.
Il China-UE Comprehensive Agreement on Investement (CIA) dovrà essere ratificato dal Parlamento Europeo e potrebbe essere operativo già all’inizio del prossimo anno, quando il mondo potrebbe avere superato la prova pandemica e gli equilibri tra i maggiori attori geo-politici essere profondamente mutati rispetto a quelli di un anno fa.
È il secondo accordo che la Cina conclude – dopo il RCEP di metà novembre scorso – nel periodo della tormentata transizione politica statunitense iniziata con la conclusione del processo elettorale il 3 novembre scorso.
I colloqui per questa intesa erano iniziati nel 2013.
Un anno chiave in cui la Cina vide rallentare la sua crescita impetuosa e l’amministrazione Obama, in piena strategia di contenimento cinese attraverso il Pivot To Asia, con la cornice del TPP – l’ipotesi di accordo trans-pacifico da cui Trump si sganciò un anno dopo la sua elezione – e l’esclusione di Pechino dall’accordo tra le sei banche centrali (USA, UE, UK, Giappone, Canada e Svizzera) di fine ottobre, sembrava in grado di determinare un piano politico che consolidasse il proprio ruolo guida.
Sembra un secolo fa, se ci considera che il “baricentro” della rigenerazione economica mondiale si è spostato in Asia e la pandemia ha rimescolato le carte della competizione geopolitica.
Uno status quo ante, quello dell’“era Obama”, che non potrà essere ripristinato dall’amministrazione Biden-Harris, al di là della volontà di fare dell’asse USA-UE il perno del contenimento della Cina
Le dichiarazioni riportate dal Financial Times pochi giorni prima dell’accordo, rilasciate da un membro dello staff di transizione statunitense, secondo cui “l’amministrazione Biden-Harris ha intenzione di consultarsi con la UE in un approccio coordinato sulle pratiche economiche corrette e altre importanti sfide” sembrano più un augurio che un vero e proprio piano, visto come la presidenza Trump abbia moltiplicato i contenziosi con la UE e avvelenato i pozzi per una possibile intesa neo-atlantica.
Allo stesso tempo, l’intesa è l’ennesima dimostrazione dell’accelerazione che l’asse franco-tedesco vuole dare alla costruzione del polo imperialista continentale, dopo le decisioni prese in sede di Consiglio Europeo nella prima metà di dicembre, senza curarsi troppo dei desiderata di Washington, che ha storto non poco il naso già quando l’accordo sembrava sul punto di concludersi.
Al netto dell’opposizione all’interno della rappresentanza politica del Vecchio Continente, quest’accordo fortunatamente voluto dalla Merkel – e dalle multinazionali tedesche – riallinea le decisioni strategiche di Bruxelles alle esigenze delle oligarchie europee con aspirazioni globali. Tra queste, la necessità di trovare sbocchi per i propri investimenti e le proprie merci in mercati molto meno “stagnanti” di quelli continentali. Soprattutto se si tratta di settori strategici, come quelli interessati dall’accordo.
Il piatto è piuttosto succulento trattandosi dell’eliminazione totale, parziale e/o progressiva degli ostacoli per gli investimenti europei in settori come i veicoli elettrici e quelli ibridi, le telecomunicazioni, la sanità privata (a Shangai e Pechino), i servizi finanziari, quelli aereoportuali e della prenotazione online, per esempio...
Il quadro naturalmente sarà più chiaro quando verranno rese pubbliche le clausole.
Come ha affermato Elvire Fabry a Le Monde, per ciò che riguarda l’UE “è una buona dimostrazione di autonomia strategica”.
L’indipendenza dell’Unione si costruisce al di fuori degli interessi degli Stati Uniti, come dimostra il fatto – praticamente ignorato dai media nostrani – che la sezione lunga 2,6 km del gasdotto Nord Stream 2, nelle acque territoriali tedesche, è stata completata a fine dicembre, dopo una pausa durata circa un anno, nonostante la minaccia di nuove sanzioni.
L’infrastruttura – i cui lavori dovrebbero continuare da gennaio in acque territoriali danesi – che dovrebbe permettere alla Russia di trasferire alla Germania 55 miliardi di metri cubi di gas naturale, è stata realizzata al 94%.
Un esempio di come nella guerra del gas UE e USA potrebbero trovarsi su fronti contrapposti.
L’UE, sul piano della competizione economica e dello scontro geopolitico, non sembra volere fare sconti a nessuno, come dimostrano le seppur timide sanzioni alla Turchia (membro NATO e alleato “di ferro” di Washington), che potrebbero essere ampliate a marzo, se non si troverà una quadra con Ankara su una serie di dossier che la vedono su posizioni antitetiche rispetto alla UE (Libia, Mediterraneo Orientale, Caucaso).
Un’attenzione particolare va poi riservata al processo di allargamento dell’Unione Europea nei Balcani, dove l’impasse su differenti nodi potrebbe far diventare quella regione il “ventre molle” delle aspirazioni dell’Unione, avvantaggiando così USA, Russia, Cina e Turchia. Bruxelles sarà costretta ad una accelerazione che va al di là delle ritrosie di alcuni sue componenti.
Per Pechino l’accordo sugli Investimenti è un successo diplomatico che ostacola il tentativo del suo contenimento, sfruttando le difficoltà della transizione politica statunitense e l’intrinseca debolezza economica della UE.
Una giocata perfetta del pragmatismo diplomatico cinese.
Un ex funzionario dell’amministrazione Obama ha dichiarato al Financial Times che l’intesa “convalida la visione cinese che l’economia è una forza irreversibile”, al di là dei dossier relativi alle presunte violazioni dei diritti umani.
Sembra quasi un lapsus freudiano, cui andrebbe aggiunto che le scelte politiche effettuate nel contenimento del virus hanno avuto grandi ricadute economiche, portando la Cina ad essere l’unica economia del G20 non in recessione.
Un vittoria “certificata” in parte dallo stesso report della Banca Mondiale di fine dicembre, che prevede per la Cina una crescita dell’1,9% nel 2020 (nonostante la pandemia) e del 7,9% nel 2021!
L’intesa è altresì un successo economico per Pechino, che vede aprirsi in parte in mercati europei.
L’accordo rende ancora più complessa la risoluzione dell’attuale equazione geo-politica e rende sempre più urgente una riflessione a tutto campo per comprendere quale sarà il ruolo della Cina nel mondo multipolare.
Abbiamo tradotto il seguente articolo uscito il 30 dicembre, subito dopo la conclusione dell’accordo dal quotidiano cinese di lingua inglese South China Morning Post, di Hong Kong.
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Accordo Cina-UE: i leader concludono i negoziati della maratona tramite collegamento video
Mercoledì scorso i leader dell’Unione europea e cinesi hanno concluso la loro maratona di negoziati per un patto di investimento storico, consegnando a Pechino una vittoria diplomatica appena prima dell’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca.
Un “impegno senza precedenti” per l’UE per fornire certezza e stabilità commerciale tra UE e Cina, che prevede ampio accesso per una serie di aziende europee al mercato cinese.
I colloqui si sono formalmente conclusi in una videochiamata tra il presidente cinese Xi Jinping, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Presenti anche Merkel e Macron per la parte europea.
Xi ha affermato che l’accordo “mostra la determinazione e la fiducia della Cina nel promuovere un’apertura esterna di alto livello“, segnando un apparente colpo basso per gli Stati Uniti.
“Unire le mani per coltivare nuove opportunità e inaugurare una nuova era” ha dichiarato Xi, “Poiché le due potenze principali del mondo, due civiltà, Cina ed Europa, dovrebbero mostrare impegno, agire in modo proattivo, rafforzare i dialoghi, approfondire la fiducia, gestire adeguatamente le differenze”.
Sul lavoro forzato, una questione che aveva minacciato i negoziati, l’UE ha dichiarato: “La Cina si è impegnata ad attuare efficacemente le convenzioni dell’ILO che ha ratificato, e ad adoperarsi per la ratifica delle convenzioni fondamentali dell’ILO, comprese quelle sul lavoro forzato“.
“Questo accordo è di grande importanza economica e lega le parti in un rapporto di investimento basato sui valori e fondato sui principi dello sviluppo sostenibile“. Una volta entrato in vigore, l’accordo aiuterà a riequilibrare le relazioni commerciali e di investimento tra l’UE e la Cina.
“La Cina si è impegnata a raggiungere un livello di accesso al mercato senza precedenti per gli investitori dell’UE, dando alle imprese europee certezza e prevedibilità per le loro operazioni“.
L’accordo “migliorerebbe in modo significativo” le condizioni di gioco per gli investitori dell’UE stabilendo obblighi chiari per le imprese statali cinesi, vietando trasferimenti forzati di tecnologia e altre pratiche distorsive e rafforzando la trasparenza dei sussidi, ha affermato l’UE.
“Guardando oltre i negoziati, l’UE ha ribadito la sua aspettativa auspicando che la Cina si impegni in negoziati sui sussidi industriali anche in seno all’OMC”.
“I leader dell’UE hanno anche sottolineato la necessità di migliorare l’accesso al mercato per i commercianti dell’UE in settori come l’agroalimentare e il digitale, e di affrontare la gestione di settori tradizionali come l’acciaio e l’alluminio, nonché nell’high-tech“.
“I partecipanti hanno accolto con favore il ruolo attivo della presidenza tedesca del consiglio, e in particolare del cancelliere Angela Merkel, che ha posto un accento particolare sulle relazioni UE-Cina e ha sostenuto pienamente i negoziati dell’UE con la Cina“.
I leader dell’UE hanno anche invitato la Cina a partecipare pienamente agli sforzi multilaterali di cancellazione del debito nel quadro concordato dal G20, ma hanno anche sottolineato una serie di preoccupazioni per la situazione dei diritti umani in Cina, soprattutto in relazione ai fatti di Hong Kong.
Secondo il South China Morning Post si tratterebbe dell’accordo più ambizioso che la Cina abbia mai concluso, che aprirà alle imprese europee un migliore accesso ai mercati cinesi dei veicoli a nuova energia, dell’assistenza sanitaria privata e dei servizi cloud.
Conseguirà inoltre i termini per regolamentare le imprese statali cinesi e la trasparenza sui sussidi.
Definendo l’accordo “un punto di riferimento importante nelle nostre relazioni con la Cina“, Ursula von der Leyen ha ricordato che questo accordo “Fornirà un accesso senza precedenti al mercato cinese per gli investitori europei, consentendo alle nostre imprese di crescere e creare posti di lavoro. Impegnerà anche la Cina a rispettare principi ambiziosi in materia di sostenibilità, trasparenza e non discriminazione”. Inoltre, “l’accordo riequilibrerà le nostre relazioni economiche con la Cina“.
Il vice di Von der Leyen, commissario per il commercio Valdis Dombrovskis, ha poi aggiunto: “Ci siamo assicurati impegni vincolanti in materia di ambiente, cambiamento climatico e lotta al lavoro forzato. Ci impegneremo a stretto contatto con la Cina per garantire che tutti gli impegni siano pienamente rispettati. Questo accordo darà alle imprese europee un forte impulso in uno dei mercati più grandi e in più rapida crescita del mondo, aiutandole a operare e competere in Cina“.
Grande entusiasmo per l’accordo anche da parte della Camera di commercio dell’Unione europea in Cina: “ovviamente, l’accordo non entrerà in vigore fino a quando i testi finali non saranno sviluppati e ratificati da entrambe le parti, il che probabilmente richiederà il superamento di ulteriori ostacoli. La speranza è quella di vedere che i responsabili delle decisioni mantengano lo stesso spirito di impegno che ha portato alla conclusione dell’accordo politico, in modo che possano realizzare il patto esecutivo“.
Il presidente della Camera, Joerg Wuttke, ha dichiarato: “Attendiamo con impazienza la pubblicazione dei dettagli di questo accordo politico e speriamo di trovare una conclusione solida e coraggiosa. Un forte accordo sarebbe un’affermazione potente per dimostrare che un impegno costruttivo può produrre risultati“.
La conclusione dei negoziati potrebbe anche offrire una leva diplomatica per Pechino in vista dell’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, previsto per il prossimo 20 gennaio. Biden ha segnalato la sua intenzione di contrastare una Cina in ascesa e ha parlato della necessità di coalizioni più forti contro Pechino sul commercio.
La conclusione segnerebbe anche un altro accordo economico chiave per Pechino, quest’anno, dopo la firma a novembre del partenariato economico regionale globale, che comprende 15 paesi dell’Asia-Pacifico.
L’annuncio sarà anche visto come un’eredità politica per la Merkel, che si dimetterà da cancelliere tedesco il prossimo autunno.
La Commissione europea ha cercato di minimizzare le preoccupazioni sui tempi prima dell’insediamento, assicurando che l’accordo “non influirà sull’impegno del blocco per la cooperazione transatlantica, che sarà essenziale per affrontare una serie di sfide create dalla Cina“.
Getterà anche le basi per Pechino e Bruxelles per elaborare il piano d’azione di cooperazione nei prossimi cinque anni e per avviare i colloqui su un accordo di libero scambio.
La Cina ha anche accettato di lavorare alla ratifica delle principali convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro per vietare il lavoro forzato o obbligatorio, storica questione che in passato ha rappresentato la chiusura dei negoziati tra Cina e paesi occidentali.
Alla domanda su quale potrebbe essere la risposta degli USA all’accordo, Gao Feng, il portavoce del ministero del Commercio, ha affermato che “potrebbe essere più appropriato chiederlo al governo degli Stati Uniti“, aggiungendo anche che “la Cina continuerà a promuovere un’apertura di alto livello” e aprendo alla possibilità di “cooperare attivamente con tutte le parti – compresi gli Stati Uniti e l’UE – per raggiungere un più alto livello di vantaggio reciproco”.
Commentando il tentativo della Commissione europea di persuadere i legislatori ad accettare l’accordo, Reinhard Butikofer, presidente dell’alleanza del Parlamento europeo sulla Cina, ha dichiarato: “La Commissione europea cerca di mettere il rossetto sul maiale per raccogliere sostegno per l’accordo sugli investimenti in Cina. Ma dobbiamo, come diceva Deng Xiaoping, cercare la verità dai fatti“.
Un altro membro del Parlamento europeo, l’ex primo ministro belga Guy Verhofstadt, ha infatti messo in dubbio l’accordo alla luce della situazione degli uiguri nello Xinjiang. “Le storie che escono dallo Xinjiang sono puro orrore. La storia a Bruxelles è che siamo pronti a firmare un trattato di investimento con la Cina“, ha detto. “In queste circostanze, qualsiasi firma cinese sui diritti umani non vale la carta su cui è scritta“.
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