Nelle diverse parti del mondo, ognuno ha acclamato a modo proprio l’insediamento ufficiale del quarantaseiesimo presidente yankee: chi sperimentando i limiti di tolleranza dei telespettatori; chi confezionando orazioni di perpetua fede al “Caro Presidente”; chi esplodendo petardi, ma di quelli veri.
È stato il caso, per dire, degli uomini della 36° brigata di fanteria di marina ucraina, che hanno bersagliato per alcune ore, con mortai e lanciagranate, i villaggi di Zaičenko, Oktjabr’, Bezymennoe, Sakhanka, nella Repubblica popolare di Donetsk, uccidendo un miliziano e ferendone gravemente un altro.
Che l’elezione di Joe Biden non lasci sperare in nulla di particolarmente positivo per il Donbass, lo insegna la cronaca del periodo in cui l’allora vice Presidente USA era praticamente di casa a Kiev, a curare gli affari di famiglia, suoi e di suo figlio Hunter, e recapitare gli ordini di Washington.
E possono continuare, con tutta l’asetticità tipica del giornalismo yankee, inviati d’oltreoceano a denunciare il nazismo di “Azov” e “Corpo nazionale”: cambia forse qualcosa per gli inquilini della Casa Bianca, repubblicani o democratici? Cambia forse qualcosa per i battaglioni neonazisti ucraini, che anzi, tra un martellamento e l’altro del Donbass, si sollazzano a impallinare i droni da ricognizione della missione di monitoraggio OSCE, come accaduto, ad esempio, a metà gennaio, nelle aree di Širokino e Jasinovataja, nella DNR?
E non fanno mistero della propria gagliardia, a Kiev, proclamando a gran voce che Joe Biden avrebbe lanciato chiari segnali di appoggio contro “l’aggressione russa”. In particolare, secondo il giornalista Ivan Jakovina, che ne ha parlato al canale Ukraina24, sarebbero importanti le parole di Biden secondo cui «l’America tornerà a giocare un ruolo chiave in tutti gli eventi importanti nel mondo e io ritengo che ciò possa esser valutato come l’annuncio che l’Ucraina disporrà presto di un serio partner e sostenitore, nella contrapposizione con varie cattive persone, che vivono a nordest di Kiev».
E l’intensificarsi dei martellamenti su LNR e DNR testimonia che Kiev intende portarsi avanti col lavoro. Tant’è che il politologo ucraino Mikhail Pogrebinskij osserva che Mosca potrebbe riserbare una «risposta radicale» a un evolversi bellicista dell’approccio USA: «Se la squadra di Biden dovesse orientarsi verso una prassi del tipo “obbligheremo Mosca a regolare la crisi alle nostre condizioni”, allora potrebbe verificarsi che, alla fine, Mosca riconosca quei territori come parte della Federazione russa».
Anche se lo stesso Pogrebinskij, come sembra ormai chiaro da tempo, ammette che difficilmente Mosca potrebbe davvero risolversi a un tale passo.
Come che sia, l’orientamento “ucraino” dell’amministrazione “democratica” pare fuori dubbio, non foss’altro per la presenza in squadra, oltre al capitano stesso, di un’ala tornante quale la vecchia portatrice di quel francesismo atlantico che risponde al nome di Victoria-«Fuck the UE»-Nuland e che, come ricorda ad esempio Christian Müller su NachDenkSeiten, era sottosegretario di Stato per l’Europa con Barack Obama e fu, insieme al compianto John McCain, la «forza trainante del putsch» del 2014.
E se anche Biden dovesse fingere di accontentare quella ventina di organizzazioni sociali che hanno sottoscritto una dichiarazione di disapprovazione della nomina di cotanta letterata a sottosegretario agli affari politici, la linea d’azione è segnata.
Quella dichiarazione non fa altro che ricordare cose che solo i liberal-democratici italici fingono di ignorare – «Nuland ha svolto un ruolo chiave nell’agevolare un putsch in Ucraina che ha scatenato una guerra civile costata finora più di 10.000 vite e oltre un milione di profughi» – ma che lo stesso Biden conosce alla perfezione, per avervi messo mano direttamente e se, dunque, nonostante ciò, ha deciso di prenderla in squadra, che la faccia scendere in campo o la tenga in panchina, lo schema di gioco è chiaro.
Quella dichiarazione parla anche del ruolo della Nuland nell’armamento yankee dell’Ucraina, della sua intesa con l’organizzazione nazista “Svoboda”, del suo orientamento per ulteriori basi permanenti NATO ai confini russi; ricorda i biscotti da lei distribuiti a majdan, di come avesse imposto la nomina di Arsenij Jatsenjuk a primo ministro e sollecitato la rimozione dell’ex procuratore generale, Viktor Šokin, reo di indagare sugli affari della famiglia Biden in Ucraina con la “Burisma Holding”; e tanto altro.
Dunque, a Kiev, soprattutto dopo l’inauguration day, si sentono quantomai in sella, tanto che il cosiddetto Ministero per le questioni dei territori occupati ha elaborato un piano per il “periodo transitorio” in Donbass che, nei disegni ucraini, dovrebbe protrarsi per 25 anni e che contraddice in pieno gli accordi di Minsk. Tale piano prevede la creazione, nei territori di LNR e DNR, di “amministrazioni internazionali di transizione”, da cui dovrebbero essere esclusi rappresentanti dei paesi del ODKB (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva: Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirgizija, Russia e Tadžikistan), ritenuti “foraggiatori” di L-DNR, le quali vengono definite “amministrazioni di occupazione della Russia” e le loro milizie “forze di occupazione”.
Il processo di “de-occupazione” potrà concludersi – la fase attuale è definita “periodo conflittuale”, cui succederà un “periodo non conflittuale” con il reintegro dei territori di Donbass e Crimea – solo quando in Donbass non resterà un solo rappresentante di LNR e DNR. Va da sé che l’amnistia generale, prevista dagli accordi di Minsk, scompare da tale piano; anzi, tutti i funzionari e collaboratori delle “amministrazioni di occupazione” e le loro forze militari e di sicurezza ricadranno sotto il processo di “lustratsija”: tanto per intendersi, il “repulisti” di mussoliniana memoria e la “limpieza” franchista.
I cittadini di LNR e DNR che abbiano ottenuto il passaporto russo, verranno privati della cittadinanza ucraina. Tocco finale: nei territori di L-DNR dovranno erigersi monumenti e memoriali “alle vittime dell’aggressione russa”.
Il rappresentante della LNR al gruppo di contatto a Minsk, Rodion Mirošnik, ha detto che, con tale piano, Kiev vorrebbe imporre la capitolazione alle Repubbliche popolari, ma «se il disegno di legge verrà approvato, non ci sarà più nulla di cui discutere. Dei 51 punti del documento, 40 contraddicono in pieno gli accordi di Minsk».
In effetti, il “piano di pace” ucraino occupa oltre settanta pagine e il suo esame richiederebbe spazi diversi da queste righe. Il succo autentico consiste comunque nella volontà dei nazi-golpisti di Kiev di respingere qualsiasi accordo con la popolazione del Donbass e spingere invece per una radicale soluzione di forza. Pochi dubbi che debbano sentirsi le spalle molto ben coperte e l’amministrazione Biden gioca un ruolo di primo piano in tale copertura. Vedremo se Berlino e Parigi – insieme a Mosca garanti degli accordi di Minsk – sapranno scegliere una strada diversa da quella di Washington.
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