Il 21 gennaio di un secolo fa un pugno di militanti e dirigenti, per lo più giovani o giovanissimi, ruppe con il Partito Socialista riunito per il suo XVII Congresso al Teatro Goldoni e, nella sala del non lontano teatro San Marco di Livorno, fondò il Partito Comunista d’Italia.
Iniziava così una storia importante per il movimento comunista e lo stesso occidente capitalista durata fino al 1991.
Tra i fondatori c’erano dirigenti di prima grandezza come Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Amadeo Bordiga, Umberto Terracini, Onorato Damen, Bruno Fortichiari, Angelo Tasca, ma anche Nicola Bombacci che – a conferma della debolezza teorica e del trasformismo sempre in agguato – successivamente aderì al fascismo.
Solo cinque anni dopo la sua fondazione, il Partito Comunista d’Italia fu messo fuorilegge e perseguitato dal regime. Per i comunisti italiani si aprirono le strade dell’esilio, della galera o della clandestinità. Eppure in meno di venti anni seppero ricostruire quello che sarebbe diventato il principale partito comunista dell’Europa occidentale.
Alcuni giorni fa abbiamo pubblicato un ampio e articolato contributo sulle pagine del nostro giornale, al quale rinviamo per una ricostruzione più ampia sull’esperienza del PCI, ma anche sulle possibilità di una opzione comunista oggi in Italia.
Colpisce in questi giorni l’accanimento con cui gli intellettuali liberal e progressisti cercano di dipingere quella del PCI come una storia maledetta dal peccato originale: quella di voler abbattere il potere della borghesia. Contestualmente molti di coloro che hanno attraversato quella storia, oggi nel Pd e dintorni, operano sistematicamente per renderla perfettamente biodegradabile dentro il modello politico e sociale occidentale, fino a neutralizzarne ogni istanza trasformatrice. Una operazione però non del tutto nuova.
Per decenni il PCI di lotta e di governo ha utilizzato strumentalmente Gramsci contro Togliatti e l’interpretazione riformista dell’elaborazione gramsciana contro Gramsci stesso e la sua elaborazione rivoluzionaria.
In Italia ci sono poi almeno quattro partiti comunisti (nati tutti da varie scissioni del PRC e successive), che sentono l’esigenza di ricordare la fondazione del PCI salvaguardandone il patrimonio storico e politico, ma declinandolo ognuno sulla base della contingenza e dell’identità politica dell’oggi. Ognuno di essi ha dato vita a celebrazioni del centesimo anniversario motu proprio.
Proprio in questi giorni è uscito il secondo volume de “La storia anomala”, l’opera che ricostruisce la storia ormai quarantacinquennale delle compagne e dei compagni che hanno dato vita a questo giornale. Una storia che proviene dalla sinistra rivoluzionaria ed extraparlamentare e non dal PCI. Nel secondo volume viene ricostruito il percorso che ha portato dall’Opr alla Rete dei Comunisti durante gli anni '80 e '90.
Parlando di questi ultimi, si documenta anche come questa esperienza politica abbia attraversato – in modo inevitabilmente tumultuoso – gli anni dello scioglimento del PCI (e della dissoluzione dell’URSS e della crisi del movimento comunista internazionale), della nascita del PRC e della scelta di un pugno di militanti comunisti di non aderirvi sulla base di una ipotesi alternativa di riaffermazione di una opzione comunista in Italia.
Non essendo una scissione da un altro partito, nessun paragone è possibile con la scelta del 1921, ma con lo spirito di quella rottura sì.
In questi anni non abbiamo mai fatti sconti al PCI e alla sua traiettoria riformista con cui abbiamo fatto i conti materialmente e spesso duramente – soprattutto dal compromesso storico in poi per intendersi – ma non abbiamo mai buttato via il bambino con l’acqua sporca, né espresso giudizi sprezzanti e ingenerosi, riconoscendo al PCI un ruolo e una storia di straordinaria importanza nella storia del movimento comunista. Lo dimostra l’attenzione con cui si lavora alla formazione di nuove generazioni di militanti comunisti.
Il suo epilogo nel 1991 non ci ha colto di sorpresa né ci ha solleticato nostalgie, ma la rottura del 1921, il ruolo nella Resistenza, il carattere riformista ma di classe assunto dal PCI, vanno valutati e trattati con il dovuto rispetto.
Comunque.
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