La maionese del secondo governo Conte alla fine è impazzita. Continuano a piovere pietre da ogni lato, anche da dentro la maggioranza, le soluzioni diventano perciò avventurose.
Per tutta la giornata di lunedì si sono rincorse voci di una nuova salita del premier al Quirinale per rassegnare le dimissioni, magari vedersi assegnare un reincarico per un nuovo governo – il Conte ter – e quindi proseguire una navigazione a vista che sembra ormai essere l’unica ginnastica consentita.
La “salita” è prevista per questa mattina. Le dichiarazioni parlano di un possibile governo Conte ter, ma sul fatto che lo scenario sia questo nutriamo più di qualche dubbio. Anche perché tutti attribuiscono a Conte l’intenzione di provare a fare un “governo di salvezza nazionale”, con le “forze europeiste”. E questo obbiettivo, obbiettivamente, potrebbe essere raggiunto – forse anche più facilmente – tramite qualche esponente “tecnico”, preso dalla ricca squadriglia di funzionari sovranazionali con passaporto italiano.
Qualche legittimo dubbio deve essere venuto anche a Conte. In questo circo di fratelli-coltelli, le assicurazioni che la prosecuzione della legislatura possa portare ancora la sua firma non appaiono così granitiche.
Al contrario. La fronda per sostituire Conte con un tecnocrate di comprovata fede europeista (da Draghi a Cottarelli, o qualcun altro della stessa genìa) e con l’austerity ben ficcata nel cuore e nel cervello – oltre che nei trattati – è ormai cresciuta a destra e a sinistra passando per il centro.
Il lavoro sporco per tutti lo ha fatto Renzi, ma insieme a lui possiamo annoverare tra i picconatori di Conte anche il giro de La Repubblica, Corriere della Sera, La 7 e dunque anche pezzi del Pd.
Quest’ultimo da tempo parla con lingua bi- o tri-forcuta, con il gran visir Bettini a dire che Conte va bene, anche ad andare allo sbaraglio in Parlamento, ed altri di matrice democristiana che evocano governi di unità europeista, ma con qualcuno che offra maggiori garanzie di Conte adesso che ci sono da spartire i miliardi del Recovery Fund senza irritare gli eurocrati.
Dopo aver portato a casa la pelle al Senato sul voto di fiducia, l’esecutivo di Conte era atteso alla verifica del programma sulla Giustizia, che porta la firma del più improbabile dei ministri: Bonafede. Un ministro giustizialista e mediocre ma che è anche il capo delegazione del M5S a Palazzo Chigi. Inconsistente e ingombrante allo stesso tempo. Un voto negativo sul suo operato sarebbe stato il piombo che avrebbe affondato il governo in aula.
Ed ecco quindi manovre da furbacchioni di palazzo, come quelle delle dimissioni di Conte per bypassare il dibattito parlamentare sulla giustizia, ma con l’incognita sul fatto che il Quirinale affidi proprio a Conte il reincarico.
Si ha l’impressione che, oltre alle serissime e concrete emergenze sanitarie ed economiche, qualcuno intorpidisca le acque il più possibile, di modo che il coniglio di un “governo di unità europeista” – ribattezzato “di salvezza nazionale” per renderlo più potabile – possa uscire dal cappello come la migliore e inevitabile soluzione possibile.
Se i nomi che verranno fuori per questo governo saranno quelli indicati (Draghi, Cottarelli o un altro tecnocrate del giro) saremmo di fronte al secondo commissariamento europeo sull’Italia in dieci anni.
Prima fecero le scarpe a Berlusconi nel 2011 (tra le feste dei fessi che si illudevano di veder così avanzare “la democrazia”) e adesso a Conte; allora in nome dello spread e adesso in nome del Recovery Fund. Stesso mandante (la Commissione europea), stessi interessi (Confindustria, Banche, Terzo Settore), stessi meccanismi e forse persino lo stesso personale politico (magari non Mario Monti, ma...).
Con il M5S andato al governo per “aprire le istituzioni come scatolette di tonno” e finito nel frullatore con tutte le scarpe, ancora impegnato a capire cosa sia successo.
L’unico dato certo, che trova nuovamente conferma, è che fino a quando i vincoli e la subalternità all’Unione Europea non verranno spezzati, non ci sono né ci saranno mai “governi amici”. Nel mirino ci sono già “Quota 100” e “Reddito di Cittadinanza”. Ma soprattutto una mega-“riforma” del sistema pensionistico da “regime del Terrore”. Non c’è solo la Grecia a ricordarcelo.
È sufficiente deviare anche solo un pochetto dai diktat e i governi, ed anche le forze politiche (vecchie o “nuove” che siano), vengono spazzati via.
Purtroppo non dalla rabbia e dalle istanze di lavoratori, disoccupati e settori popolari; ma dagli interessi di tecnocrati, imprese multinazionali, finanza speculativa, banche e Confindustria.
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