Insieme a Biden sulla Casa Bianca è planato il nuovo segretario di stato Antony Blinken, definito dal New York Times un «interventista liberale», ovvero un «falco democratico» che per non smentirsi è subito passato all’attacco di Europa, Russia e Cina. Linea dura con i nemici e anche con i presunti alleati, trattati da sottoposti.
Del resto Sanders ci aveva avvertito, sfoggiando alla cerimonia di insediamento voluminosi guantoni di lana che hanno spopolato sui social network: forse un suggerimento che questa amministrazione va trattata con una certa cautela, soprattutto in politica estera. L’entusiasmo degli europei per Biden potrebbe presto raffreddarsi.
Il «falco» Blinken infatti ha subito sfoderato gli artigli. Che per altro già conoscevamo. Come consigliere del vicepresidente Biden nel 2011 si pronunciò per una intromissione nella crisi egiziana e appoggiò con convinzione i raid contro Gheddafi: ce lo conferma lo stesso ex presidente Obama nel suo libro “Una Terra Promessa”.
Non solo. Blinken, secondo il Financial Times, nel 2013 era un convinto sostenitore dell’intervento militare contro Assad, senza neppure passare dal Congresso, dopo il presunto uso di armi chimiche da parte di Damasco: una strada che Obama si rifiutò di seguire.
Il nuovo segretario di stato ha inoltre apprezzato pubblicamente la decisione di Trump di colpire la Siria nel 2017 con un’azione dimostrativa. Ovviamente, mai da lui una critica per l’assassinio ordinato da Trump del generale iraniano Soleimani, oppure per quello dello scienziato di Teheran Fakhrizadeh a opera del Mossad.
L’«interventista liberale» nell’audizione al Senato, alla vigilia dell’insediamento, ha preso subito di mira il gasdotto russo Nord Stream 2 minacciando sanzioni a Berlino. «Bisogna utilizzare ogni strumento persuasivo anche verso la Germania per impedire il completamento di Nord Stream e se serve imporre sanzioni ai partner europei».
Blinken ha espresso la stessa posizione di Trump e Pompeo per sanzionare le compagnie che lavorano alla pipeline, ormai in via di completamento. Non c’è da meravigliarsi. Michael McFaul, ex ambasciatore Usa in Russia che ha lavorato a stretto contatto con Biden, ha detto che Blinken e altri democratici, dopo la sconfitta di Kerry contro Bush jr. nel 2004, avevano fondato un gruppo chiamato “Iniziativa Phoenix”, sostenendo che il partito democratico avesse bisogno di un approccio sulla sicurezza nazionale più «duro». Un interventismo perfettamente in linea con i neoconservatori del partito repubblicano.
Blinken ha attaccato anche gli accordi commerciali europei con la Cina appena firmati dalla cancelliera Merkel e da Macron. La Cina, ha detto, è l’avversario principale con il quale «bisogna assumere una posizione di forza». E per fugare ogni dubbio dei senatori ha aggiunto: «Credo che il presidente Trump avesse ragione. Non sono molto d’accordo con il modo in cui ha affrontato la questione cinese in una serie di settori ma il principio di base era quello giusto e penso sia utile alla nostra politica estera».
Blinken non è stato neppure turbato dall’ultima mina vagante lanciata da Pompeo contro Pechino: la decisione di definire la condotta cinese contro gli uiguri «genocidio». «Questo sarebbe stato anche il mio giudizio», ha tagliato corto.
Quanto all’Iran Blinken è apparso meno ottimista del suo capo per un rientro nell’accordo sul nucleare del 2015 cancellato da Trump. «È ancora molto lontano – ha detto – e qualora dovesse accadere, ci consulteremo prima con Israele e gli stati del Golfo».
Blinken ha messo subito i paletti per una nuova intesa: «Qualsiasi accordo con Teheran dovrà includere il programma missilistico e la fine del sostegno alle milizie “per procura” in Medio Oriente». Esattamente come avrebbe voluto Trump che aveva già incassato il rifiuto dell’Iran a un negoziato sui programmi militari.
È evidente che il Patto di Abramo in funzione anti-iraniana tra Israele e le monarchie arabe e il riconoscimento di Gerusalemme capitale con il trasferimento dell’ambasciata Usa non sono in discussione. Ma queste eredità di Trump renderanno ancora più inestricabile il dossier palestinese.
In realtà alle mine vaganti lasciate da Trump – sanzioni rafforzate all’Iran, lista nera per Cuba e gli Houthi yemeniti – se ne è appena aggiunta un’altra: Avril Haines, nuova direttrice dell’intelligence, ha annunciato che il governo declassificherà una nota segreta della Cia sull’assassinio, nell’ottobre del 2018, del giornalista saudita Jamal Khashoggi.
Per la Cia l’ordine di ucciderlo sarebbe arrivato direttamente dal principe ereditario Mohammed bin Salman. Biden, oltre a detestare Erdogan, non ama neppure i sauditi verso i quali ha avuto parole poco affettuose in campagna elettorale lasciando intendere che gli Usa potrebbero ridurre la vendita di armi a Riad, il maggiore cliente di Washington.
Se come diceva Frank Zappa «la politica in Usa è la sezione intrattenimento dell’apparato militar-industriale», questo evento, qualora si verificasse, sarebbe davvero una novità planetaria.
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