Diventa difficile archiviare come normale amministrazione il fatto che più di 80mila persone siano morte per il Covid in questi mesi. E diventa difficile anche abituarsi alle centinaia di morti che ogni giorno ci restituiscono in modo insopportabilmente asettico i bollettini quotidiani.
Ieri è stata comunicata la morte di altre 522 persone, mercoledi erano state 501. È come se ogni giorno sparisse un piccolo comune o due/tre condomini di una grande città. Tutto possiamo permetterci tranne che accettare come inevitabile questa situazione.
Il fatto che i numeri di decessi e di contagi sia alto anche in altri paesi capitalisti europei o negli Usa è un dato, ma non certo una consolazione. In altri paesi con sistemi sociali diversi, non è solo questa macabra contabilità ad essere diversa, è soprattutto lo spirito con cui si è affrontata e si affronta la pandemia, che sta facendo la differenza.
A questo inaccettabile contabilità avrebbero voluto invece abituarci quelli che sostenevano di dover “convivere con il virus” confidando nell’”immunità di gregge” – anche quando non c’erano i vaccini – omettendo però il lato oscuro di questo approccio: la selezione naturale in cui i più deboli periscono e i più forti sopravvivono. Eppure è a questo che ci stiamo avvicinando a grandi passi, pur continuando a negarlo.
Talvolta, e impropriamente, si è parlato della pandemia come di una guerra contro un “nemico invisibile”. Ma in guerra, come noto, le regole morali saltano tutte e tutto si piega allo stato di necessità. Ragione per cui desta sempre minore sorpresa che la logica dei medici di guerra – salvare chi ha una possibilità di sopravvivenza e lasciar morire chi ne ha meno o scarse – alla fine diventa norma e non eccezione.
E non per la perfidia dei medici ma perché è il contesto che sempre più spinge al raggiungimento di una soglia di normalità che ha alzato più in alto l’asticella del cinismo e della selezione sugli esseri viventi.
Poi c’è il dato sociale che viene a incardinarsi con quello sanitario, sotto molti aspetti. Mantenere alte le misure restrittive e quelle precauzionali incide sulle attività economiche, sia a causa delle chiusure e delle limitazioni, sia per le risorse che dovrebbero essere destinate alla salute pubblica, sia per gli effetti depressivi sulle persone che disincentivano consumi e attività sociali.
Infine, su questo aspetto, incide quella differenza tra pandemia e sindemia che molti si ostinano ancora a negare o rimuovere: i contagi sono più estesi e letali nei settori sociali più poveri che negli altri, nei quartieri popolari piuttosto che in altri.
Qui e lì veniamo a sapere che qualche personaggio ricco e famoso, o anche persone non di condizioni proletarie, è stato contagiato, ma nella conta dei morti non ve ne sono, se non in casi decisamente eccezionali.
Dunque anche il virus, pur essendo un problema oggettivo, ha una sua dimensione di classe; sia per quanto riguarda i soggetti che vengono colpiti con maggiore violenza, sia nelle soluzioni adottate per affrontarlo. Affrontare le ripetute quarantene in case ampie, con giardino, con dovizia di servizi (es: connessione ad internet e computer) è un conto; affrontarle in case piccole, senza balconi, in assenza o scarsità di servizi, è ben altra cosa. Essere costretti ad usare i trasporti pubblici per muoversi o andare al lavoro è una cosa, poter contare su un proprio mezzo è un’altra. In sostanza, non siamo mai stati né siamo “nella stessa barca”.
Dopo quasi un anno dai primi sintomi della pandemia (l’OMS la annunciò già il 5 gennaio 2020), a che punto siamo su questa inevitabile complessità di una imprevista e imprevedibile pandemia?
- Sono ormai troppi i morti e i contagiati rispetto a quello che poteva essere ritenuto un prezzo fisiologico di una pandemia per paesi avanzati del mondo capitalista;
- il tempo perso e le cose non fatte dalle autorità in termini di strutture sanitarie, assunzioni del personale necessario, trasporti, durante i mesi di tregua tra la prima e la seconda ondata, hanno reso quest’ultima più letale della precedente;
- le mezze misure adottate negli ultimi mesi del 2020 sono riuscite a produrre un forte danno economico, scarsi risultati sul piano del contenimento della pandemia, completo disorientamento della società sulle sfide da affrontare. Il patrimonio di credibilità conquistato dal governo nella prima ondata è andato completamente dissipato nella seconda. Ma se il governo ha le sue responsabilità, una spada ancora più affilata dovrebbe calare sui presidenti delle Regioni e su chi, nel 2001, ha voluto modificare il Titolo V della Costituzione, consegnando così maggiori poteri alle Regioni, che si sono confermate un’insopportabile sciagura nel momento dell’emergenza sul piano nazionale;
- il carattere “salvifico” dei vaccini dovrà comunque fare i conti con un periodo ancora lungo prima di essere efficace. Dunque le autorità ci dicono che dovremo “convivere con il virus” – e con le sue conseguenze sanitarie, economiche, psicologiche, sociali – ancora per mesi e mesi. L’unica attività sociale concessa è quella legata al processo produttivo (per chi ha un lavoro), tutto il resto viene negato, fin dentro le mura domestiche. Non solo. I dati che proprio in questi giorni sono stati esposti dalle autorità politiche e sanitarie in tutte le sedi, confermano che la situazione appare spesso fuori controllo e a rischio continuo di collasso delle strutture ospedaliere, nonostante il cognome benaugurante del ministro della sanità. Insomma la triste e feroce dottrina del “produci, consuma, crepa” sembra essere l’unico orizzonte che viene messo a disposizione della società;
- infine, e non certo per importanza, un’intera classe politica fatta di ministri, sottosegretari, presidenti di Regioni, parlamentari, in un contesto infernale come questo, ha dato prova – anzi conferma – della propria cialtroneria.
Lavoriamo affinché appena sarà possibile una parte di questa classe politica vada sotto processo per le scelte fatte in questi mesi. E non solo nei tribunali ma anche nelle piazze.
Lo dobbiamo alle oltre ottantamila morti già avvenute, ma lo dobbiamo anche a milioni di persone che vivono e abitano questo paese.
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