Tutta la strategia di contrasto della pandemia, nei paesi neoliberisti occidentali, si basava sui vaccini. Avendo messo l’attività delle grandi imprese private al posto di comando, invece che la salute dei cittadini, per questi paesi si è trattato di “convivere con il virus”.
In pratica, sono stati freddamente messi in preventivo centinaia di migliaia di morti (la sola Europa si avvia rapidamente verso il mezzo milione, mentre gli Usa sfiorano già i 420mila), sapendo fin dall’inizio che sarebbero stati soprattutto gli anziani a lasciarci la pelle.
Ma proprio l’aver messo le aziende private al posto di comando ha provocato ora gli “intoppi” sulla fornitura delle dosi dovute in base a contratti commerciali regolarmente firmati con i governi dei vari Paesi.
Dopo Pfizer, che ha unilateralmente ridotto di oltre il 30% le forniture ai paesi europei, ora anche AstraZeneca – il cui prodotto sarà esaminato dall’Ema il 29 gennaio ed eventualmente distribuito a partire dal 15 del mese successivo – ha annunciato il taglio del 60% delle forniture dovute nel primo trimestre.
Del vaccino Moderna non si sa più nulla, e la mancanza di dosi ha fatto velocemente rivalutare quello russo – Sputnik 5 – di cui era vietato parlare fino a qualche giorno fa, etichettato come “non sicuro” mentre era ancora in fase di studio.
Pfizer è azienda statunitense. Il neopresidente Biden ha promesso di vaccinare velocemente almeno 100 milioni di statunitensi ed è evidente che la società privata si è rivelata “sensibile” a questa esigenza, corroborata peraltro da un robusto aumento del prezzo offerto del nuovo governo Usa.
AstraZeneca è invece britannica, ma anche lì il governo – messo all’angolo dalla stupidità della classe politica locale e dal dilagare della “variante inglese” del virus (più contagiosa e, pare, anche più letale) – ha messo sul piatto patriottismo e soldi per assicurarsi che Londra sia privilegiata rispetto ad altri acquirenti.
Non c’è da stupirsi troppo. Se lasci fare alle aziende private la soluzione è obbligata: i vaccini (o qualunque altra cosa) vanno a chi paga meglio, o a chi ha più strumenti di “pressione”. Come ha denunciato pochi giorni fa l’Organizzazione Mondiale della Sanità – non più guardata dai media con sospetto, visto che ora gli Usa ci sono rientrati – fin ad ora circa 28 milioni di dosi sono state iniettate in 46 Paesi. Quelli a più alto reddito. Per gli altri niente. È la “linea Moratti”, in fondo; una linea classista e velatamente eugenetica: muoiano i poveri, chissenefrega, ce ne saranno sempre abbastanza...
Arriviamo dunque al governicchio italico, svillaneggiato più della media europea dalle scelte dei privati di Big Pharma, nonostante il suo servilismo senza riserve.
Davanti alla necessità di fermare e riprogrammare la campagna di vaccinazione – con relativa crescita dei contagi e dei morti nel frattempo – il presidente del consiglio Conte ha annunciato una decisione ridicola: “Promuoveremo azioni legali anche contro di loro”.
Campa cavallo... ve la immaginate quanto sarà rapida ed efficace una causa legale contro multinazionali che possono giocare su più passaporti e “sedi legali” sicure?
In ogni caso, anche un’eventuale “vittoria” legale non salverebbe neanche una delle sicure vittime in più che dovremo registrare nei prossimi mesi.
Il post su Facebook di Conte è un inquietante miscuglio di impotenza e spirito patriottico, ma disarmato: “I rallentamenti delle consegne dei vaccini costituiscono gravi violazioni contrattuali, che producono danni enormi all’Italia e agli altri Paesi europei, con ricadute dirette sulla vita e la salute dei cittadini e sul nostro tessuto economico-sociale già fortemente provato da un anno di pandemia. Se fosse confermata la riduzione del 60% delle dosi che verranno distribuite nel primo trimestre significherebbe che in Italia verrebbero consegnate 3,4 milioni di dosi anziché 8 milioni. Ricorreremo a tutti gli strumenti e a tutte le iniziative legali, come già stiamo facendo con Pfizer-Biontech, per rivendicare il rispetto degli impegni contrattuali e per proteggere in ogni forma la nostra comunità nazionale”.
Il problema concreto da affrontare è decisamente un altro: vaccinare quanti più cittadini si può, nel più breve tempo possibile. E qui si vede la differenza tra uno Stato serio e uno scafesso.
Uno Stato serio – che ha tra le priorità la salute pubblica di tutti i suoi cittadini – non avrebbe mai permesso che la capacità tecnologica di produrre vaccini e altri medicinali salvavita fosse delegata agli interessi esclusivi di aziende private. Le quali – lo hanno già fatto, non è un’ipotesi – si fondo, si vendono, fanno accordi, delocalizzano, chiudono eccellenze.
Ma questo riguarda il passato, direte voi. Bene. Nel presente uno Stato serio manderebbe a quel paese ogni “diritto di brevetto” e obbligherebbe alcune aziende farmaceutiche basate sul proprio territorio a riconvertire la propria produzione sfornando vaccini. Ci sono certamente problemi tecnologici seri (i vaccini con Rna messaggero sono prodotti con tecniche diverse da quelli fin qui utilizzati), ma niente impedisce di acquisire (comprandole) quelle tecnologie.
L’unica cosa che non può fare uno Stato è dire “io non ci posso fare niente”. Mentre la gente si contagia e muore.
Ed è quello che sta facendo lo Stato italiano, senza fanfare e inni, tra una minaccia legale e il nulla operativo.
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