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20/01/2021

USA - Inaugurazione della presidenza o giorno del giudizio?

Fra una manciata di ore si compirà l’atto finale: Joe “Sleepy” Biden giurerà fedeltà al suo popolo e alla sua nazione in una capitale blindata dalla Guardia Nazionale.

Proseguono le indagini e gli arresti in un clima di diffidenza ed incertezza politica, mentre Trump vola in Florida snobbando il rivale, e lasciando fra le macerie un paese difficile da ricostruire.

Un’inchiesta federale potrebbe contribuire ad un inasprimento della crisi all’interno del Partito Repubblicano.

Nel frattempo, la falce della grande mietitrice recide migliaia di vite al giorno, andando ad ingrossare i numeri della pandemia da Covid-19 (oltre 400.000, ad oggi).

Ci siamo. Gli occhi del mondo sono di nuovo tutti puntati oltreoceano, verso il cosiddetto “Nuovo Mondo”. Ma se il giorno dell’Epifania, il giorno dell’assalto alla sede del Congresso USA, tutti – più o meno ipocritamente – inorridivano davanti ad una azione/reazione praticamente annunciata, oggi, verosimilmente, dovrebbe essere il Giorno della pacificazione. Il giorno in cui il Grande Paese formalizzerà la svolta che, simbolicamente, dovrebbe rappresentare l’inizio di una ricostruzione.

Dovrebbe... il condizionale è d’obbligo.

L’America, la “culla della democrazia”, si è scoperta come una nazione instabile oltre misura ed estremamente debole. Sarà un’impresa veramente improba tentare di ricostruire la frattura oramai incistatasi nel suo popolo, quel melting pot che ancora non è riuscito a trovare la sua unitarietà, dopo più di due secoli di indipendenza dal giogo della “pomposa ed arrogante” monarchia britannica.

La capitale del paese, a due settimane dall’assalto a Capitol Hill, è ancora blindata e sta ospitando 25.000 uomini della Guardia Nazionale che da giorni, ormai, dormono nella sede del Congresso.

Per le vie di Washington si respira un’aria da “effetto Sadat”, come lo chiamano gli americani: checkpoint agli ingressi della città, pattugliamento delle vie per paura di attentati imminenti, fermi continui per controllo documenti, il tutto in un clima sicuramente non disteso ed in un’atmosfera sospesa.

La potenza da tutti additata e riconosciuta come “arbitro” del mondo dimostra invece, in questi giorni, una debolezza ed una incertezza che provengono da un sentimento che i pionieri conoscevano bene, ma che i moderni americani hanno ormai dimenticato: la paura di essere attaccati, la paura dell’ignoto.

Continuano le indagini sull’assalto al Congresso, e tra le organizzazioni “sotto osservazione” ci sono una serie di gruppi appartenenti all’area delle milizie armate alt-right, gli Oath Keepers, i Three Percenters (che prendono il nome dalla percentuale di popolazione che partecipò alla guerra contro il “cugino” britannico, appunto il 3%), ma soprattutto una vecchia conoscenza – oramai – come The Proud Boys, il cui leader, Tarrio, rilascia interviste a raffica, fra proclami di guerra ed appoggio incondizionato al suo mentore Donald Trump e comunicati più rassicuranti.

Una studentessa è stata arrestata per aver trafugato il pc di Nancy Pelosi e per aver tentato di venderlo ai servizi russi. Diversi fermi sono stati effettuati in un numero imprecisato di stati dove si sono svolte, durante il week end, manifestazioni pro-Trump. Pacifiche, ma armate.

La notizia più sostanziosa però, trapelata da fonti attendibili, sta nell’audio di un video girato durante l’assalto: le frasi che si scambiano gli assalitori dimostrano senza ombra di dubbio che i “patriots” avevano almeno una talpa che li ha favoriti all’interno di Capitol Hill, fornendogli indicazioni sulle “vie di fuga” che avrebbero seguito i parlamentari e l’ubicazione delle loro stanze, accompagnandoli addirittura il giorno prima in un sopralluogo.

Le intenzioni, secondo fonti dell’FBI, erano quelle di rapire probabilmente il vice presidente Mike Pence, considerato dai “trumpisti” un traditore e forse anche altri parlamentari. Al momento si sa che sono indagati tre parlamentari del GOP (repubblicani) e che il partito sta riflettendo sulla loro espulsione se verranno riconosciuti colpevoli.

Questo è un punto cruciale che dovrebbe far riflettere: il tycoon newyorkese uscente ha intenzionalmente indebolito il partito repubblicano, spaccandolo così come ha fatto con il proprio paese, sapendo che nel paese da tempo serpeggiano sentimenti di rancore e rivolta nei confronti delle istituzioni federali. E che tutto questo lo avrebbe portato ad avere un seguito significativo.

Per ora ha annunciato che non parteciperà alla cerimonia del giuramento di Biden, come fece il democratico Andrew Johnson che snobbò Ulysses S. Grant nel 1869, ed è in partenza per la Florida. Il saluto ufficiale l’ha lasciato fare alla moglie, Ivana.

Ultimo suo atto: è pronto a concedere la grazia e a commutare la pena ad una lunga lista di persone. Secondo la CNN, tra coloro ai quali verrà concesso il “perdono” giudiziario, ci sono diversi colletti bianchi condannati per reati vari, rapper di alto profilo, vecchi amici e alleati, ma non persone come Steve Bannon o Rudolph Giuliani. E non ci sarà lo stesso tycoon.

Il compito che attende Sleepy Joe, comunque non è da poco, perché la difficoltà estrema a mettere in pratica buona parte del suo ambizioso programma elettorale potrebbe favorire l’esplosione delle eterne contraddizioni interne alla potenza capitalistica occidentale, soprattutto in un paese diviso ed in piena crisi pandemica.

In 100 giorni, o poco più, il neo presidente prevede di vaccinare un terzo della popolazione, di rientrare nei Trattati di Parigi sul clima, di riformare il sistema di accoglienza, le leggi e le politiche sull’immigrazione, cancellando anche l’infame muslim ban, di prorogare (badate bene: prorogare, non cancellare) la restituzione dei prestiti accesi dagli studenti per la propria formazione, visto che in America, se vuoi formarti ad un certo livello, devi purtroppo indebitarti, accedendo a prestiti a tassi improponibili. Molto popolare dovrebbe invece risultare l’idea di “premiare” ogni cittadino – con i requisiti richiesti – con un assegno di 1400 dollari direttamente sul conto corrente.

Ma alla faccia dei numeri, un sondaggio, redatto dalla CBS YouGov mostra un paese alquanto singolare: per gli americani la minaccia più grande all’american way of life, tanto caro a The Donald e ai suoi patriots, non proviene dall’esterno (solo per l’8%), né lo sono i disastri naturali o i virus (17%), né le forze economiche (per il 20%). Il più forte pericolo percepito dall’americano medio, la vera minaccia, è “l’altro” (in inglese nel sondaggio statistico è proprio scritto “other people in America”).

Il 51% della popolazione pensa che la violenza politica crescerà, nel prossimo futuro, solo il 18% pensa il contrario.

Il 49% della popolazione pensa che Biden prenderà le giuste decisioni per il paese, mentre il 50%, no. La percentuale per Trump era molto più bassa, 38% mentre per Barack Obama era il 61%. Percentuali che fanno riflettere. Non sarà una passeggiata di salute.

È vero che 6 americani su 10 ritengono che Biden sia stato eletto legittimamente (poco più della metà in fondo), ma, per tornare alla riflessione sui partiti e sulla loro forza, per 7 repubblicani su 10 le elezioni sono state verosimilmente irregolari.

Joe “Sleepy” Biden ha intitolato la giornata dell’Inaugurazione, poco realisticamente “American United”.

Oggi assisteremo ad un’inaugurazione sotto l’ombra dell’incertezza, del timore, e con lo spettro della violenza sullo sfondo, oltre che nell'”allestimento”.

C’è già stata, nella storia americana, una cerimonia di inaugurazione che si è svolta negli stessi timori, con i medesimi stati d’animo, al cospetto di un paese altrettanto diviso: era l’11 febbraio 1861 ed il presidente eletto fu Abramo Lincoln.

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