Lunedì 11 gennaio il Direttore dell’Agenzia delle entrate Ernesto Maria Ruffini, in audizione alle commissioni Finanze e tesoro di Camera e Senato, ha parlato di IRPEF, l’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche, regina della struttura fiscale dello Stato, sin dal 1973.
Questo primato ha fatto dire (giustamente) a lavoratori e pensionati – come noto tassati alla fonte, appunto con ritenuta IRPEF – che lo Stato era poggiato interamente sulle loro spalle, e che loro, a differenza degli autonomi e (soprattutto) dei commercianti, pagavano le tasse, e che i politici non dovevano scassare, perché se percepivano ancora uno stipendio era proprio per merito loro.
Nel 2018 i contribuenti IRPEF sono stati 41,4 milioni: 21,2 milioni hanno presentato il modello 730, 9,9 milioni hanno optato per il Modello reddito persone fisiche (ex modello Unico) e 10,6 milioni non hanno compilato una dichiarazione dei redditi e il dato reddituale è stato acquisito tramite CU (ex CUD, ex Modello 101).
Il dato che risulta da queste dichiarazioni, ha detto Ernesto Maria Ruffini, è che, sempre con riferimento al periodo d’imposta 2018, «la distribuzione dell’IRPEF è schiacciata verso il basso, con un reddito dichiarato dalla metà dei contribuenti italiani non superiore a 16.795 euro».
Nel 2018 la metà dei contribuenti ha percepito meno di 17 mila euro. In particolare 8 milioni 330 mila lavoratori dipendenti (quasi tutti del settore privato) hanno percepito un reddito inferiore a 15 mila euro lordi annui, idem 6 milioni di pensionati.
Ciò vuol dire che 21 milioni di contribuenti sono stati (considerando un ammontare minimo di deduzioni e detrazioni) quasi sulla soglia della no-tax area – non hanno pagato tasse, non hanno pagato IRPEF.
Questo cambiamento della struttura fiscale è confermato da un altro dato che si ricava dal bilancio dello Stato 2018: l’IRPEF complessiva pagata dai dipendenti pubblici (3 milioni circa) è stata pressoché pari all’IRPEF pagata dai dipendenti del settore privato (15 milioni circa).
Inoltre, bisogna considerare che tra i lavoratori a tempo indeterminato ci sono stati circa 2 milioni di lavoratori con 2 sostituti (due datori di lavoro o sostituti diversi) e 460 mila con 3 sostituti; che trai i lavoratori a tempo determinato ci sono stati 2 milioni e 800 mila con 2 sostituti, 1 milione con 3 sostituti e 250 mila con 4 sostituti. Sono segni di frammentazione e povertà del lavoro.
Per quanto riguarda il dato IRPEF, si tratta di un cambiamento epocale; si tratta della fine della tassazione alla fonte, della fine della “superiorità morale” di dipendenti e pensionati, della fine del racconto che opponeva operi e bottegai, della fine di quel periodo in cui dare del bottegaio era un insulto.
Se nel bilancio dello Stato l’IRPEF diventa sempre più marginale, su cosa si reggono le finanze pubbliche?
Si reggono su una flat tax mascherata.
Falt tax vuol dire un’aliquota uguale per tutti. Che tu sia povero o ricco, che tu sia dottore o spazzino, che tu sia accattone o brokers, scienziato o caprone, milionario o straccione, su ogni euro che spendi per comprare il pane e il latte, il vestito e la benzina, il caffè e la varechina, paghi sempre il 22% di iva, paghi sempre una stessa accisa.
Ci smeni sempre lo stesso ammontare assoluto di denaro, sia che tu abbia un reddito di 100, sia che tu abbia un reddito di 1.000 o di un milione di euro.
La Flat tax è già tra noi. Il direttore dell’Agenzia delle entrate non può urlarlo in Parlamento. È pur sempre un dipendente dello Stato – anche se di alto livello. Lo dice in silenzio, tra le righe; dice che la tassazione è schiacciata, eccetera.
Poi attacca con la musica che fa sciogliere in lacrime il parlamentare e il contribuente medio – il contribuente modello delle logomachie da propaganda televisiva; attacca e dice che (virgolette) il sistema tributario italiano è oscuro, che (virgolette) quest’oscurità è un freno per gli investimenti, anche esteri; che (virgolette) le normative sono eccessivamente lunghe, di difficile lettura sia dal punto di vista lessicale che sintattico, soggette a continue variazioni nel tempo; che ci vuole semplificazione; che (virgolette) occorre una riduzione del cuneo fiscale sul lavoro; che anche se (questo lo aggiungo io) il cuneo non c’è più, bisogna rosicchiare, bisogna portare tutti i lavoratori a pagare zero IRPEF; bisogna eliminare l’IRPEF e sostituirla con una bella tassa sulla strisciata, una bella tassa piatta sul consumo: se consumi paghi, se non consumi non paghi. Cosa c’è di più democratico!
Bisogna solo capire come meccanizzare il processo di riscossione, bisogna costruire due-tre App intelligenti, un sistema di BigData, introdurre un paio di algoritmi, una moneta virtuale, e altre misure extra-parlamentari che il Direttore accenna e che vi illustrerò nella prossima puntata.
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