Ho sempre avuto antipatia per il concerto di Capodanno al Muzikverein di Vienna, trasmesso dalla Tv di molti paesi tra cui l’Italia. Quando ero ragazzo, la mattina di Capodanno avevo voglia di dormire, essendo in genere rientrato all’alba, ma mia madre mi svegliava regolarmente per assistere al concerto in TV.
Tra l’altro a un certo momento mi veniva fame, ma per poter pranzare si doveva attendere che fosse finita la Marcia di Radetky, con tanto di tradizionale battito di mani. Insomma, una seccatura da sopportare per la pace famigliare.
Cresciuto, ho cominciato a chiedermi cosa ci trovassero tante persone in un concerto che, salvo alcune facezie del direttore e di qualche orchestrale si ripete ogni anno quasi uguale, con l’esecuzione pressoché esclusiva di valzer, polke e mazurke composte dai quattro Strauss. Forse la forza di tale concerto sta proprio in questo: è una celebrazione che, come tale, si ripete ogni anno uguale.
Chiediamoci però cosa si celebra.
In realtà tale concerto è una commemorazione della grandezza e della bella vita dell’aristocrazia imperialista viennese, che tanto sangue sparse in mezza Europa, ma in particolare nel Lombardo-Veneto, oltre che, naturalmente, opprimere i lavoratori del proprio paese.
Già questo sarebbe sufficiente a spegnere ogni entusiasmo per tale concerto.
Ma non basta. È tradizione che il concerto si concluda con la Marcia di Radetky, alla cui esecuzione il pubblico viene invitato a partecipare con battiti di mani e manifestazioni d’entusiasmo “augurale”.
Ora, forse è il caso di ricordare che il Feldmaresciallo Radetky, per molti anni comandante militare del Lombardo-Veneto, fu in realtà un criminale di guerra, responsabile della repressione sanguinosa dei moti popolari del Nord Italia.
La marcia in questione fu composta da Johan Strauss padre per onorare il rientro di Radetky a Milano, dopo che aveva dovuto fuggire dalla città nascosto nella paglia di un carro a seguito delle cinque giornate di Milano, nel 1848.
L’anno successivo, Radetky fu alla testa dell’assedio di Venezia, per reprimere la Repubblica di San Marco, sconfitta con l’aiuto della fame e di un’epidemia di colera.
Negli anni seguenti Radetzky inventò la “pubblica bastonatura” dei patrioti, fece eseguire un migliaio di condanne a morte, tra cui le più note quelle di Amatore Sciesa, Luigi Dottesio e dei “martiri di Belfiore”, espropriò i beni dei patrioti più facoltosi, impose multe e tasse vessatorie.
La Marcia di Radetzky viene di solito proposta nell’orchestrazione di Leopold Weninger, musicista austriaco iscritto a Partito Nazionalsocialista che, nel 1932, ne elaborò una versione particolarmente militaresca ed eseguita dalla Filarmonica di Vienna, un’orchestra di tradizione fortemente conservatrice, dove sono pochissime le donne, ammesse a farne parte solo dagli anni 2000.
Personalmente, non trovo affatto edificante che il concerto di Capodanno ci mandi auguri del genere. Immaginiamoci quanto numerose e vibrate sarebbero le proteste se da Berlino si trasmettesse una Marcia di Kesselring o da Roma si librasse nell’etere una Marcia di Graziani.
Tuttavia il luccichio del Musikverein, il prestigio dei direttori che si alternano sul podio, l’atmosfera scherzosa creata dagli scherzi dei musicisti, fanno passare in seconda linea quanto criminale fu il Feldmaresciallo Radetky.
Ma non è giusto.
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