Spesso scrivo post su Facebook e poi ricevo messaggi di utenti della mia bacheca che chiedono riferimenti.
Ieri ho ricevuto un messaggio da una persona che chiedeva il mio numero telefonico perché voleva parlarmi con urgenza. Non ci ho pensato un attimo, gliel’ho dato.
Mi chiama e fa, “perché utilizzi il termine proletariato, non ti sembra un po’ datato?“. Gli rispondo dicendo che con quel termine intendo tutti i salariati, precari, disoccupati e pensionati che vivono soltanto della propria forza lavoro. È insomma una definizione che corrisponde a una condizione sociale, non una “moda” di qualche decennio fa.
Poi chiede: “Come fai ad essere così informato sulla Cina?“. Gli rispondo “Non capisco, dove vuoi arrivare?”
Ha cosi inizio una conversazione molto interessante. Sulla Cina, in fondo, seguo da decenni le evoluzioni economiche, i dati registrati anche dalle istituzioni internazionali, i piani quinquennali, ecc. tanto da averne fatto gran parte di un libro (Piano contro mercato). Ma non ci sono stato.
Lui spiega di essere un consulente, che possiede una Sas, di fatto un “imprenditore di se stesso”. Assieme ad altri professionisti progetta prodotti di alta tecnologia.
Da anni per lavoro va in Cina, l’ha girata in lungo e in largo, specie il Guangdong, dove il cuore è Shenzen, e la zona più industrializzata che va fino a Shangai. Ha visitato molte aziende hi-tech. Ci sono capannoni datati, ma moltissimi sono all’avanguardia.
La parte più interessante, di cui qui non sentiamo mai parlare, è però la condizione operaia, come vivono concretamente i lavoratori.
Gli operai, racconta, entrano in fabbrica alle 8:30, gli impiegati alle 9. Alle 12 tutti a mangiare, chi vuole può andare a casa, per gli altri c’è la mensa aziendale. Gli operai, dopo aver finito di mangiare, possono riposare fino alle 14. Alle 14 si riprende e si lavora fino alle 18, poi tutti fuori dalla fabbrica.
Quelli che vivono più distanti dal luogo di lavoro vengono raccolti e riportati a casa con pulmini aziendali, come qui da noi avveniva praticamente solo con il personale di volo dell’Alitalia, quando era una società pubblica e i lavoratori di quell’azienda venivano considerati “privilegiati” (in realtà era una misura di sicurezza, perché è meglio che il personale di volo prenda servizio nelle migliori condizioni fisiche possibili).
Nel weekend le aziende organizzano partite di basket, calcio o gite aziendali. I cinesi sono soliti cenare alle 18.30, dopo tutti per strada ad affollare i locali fino a mezzanotte. E così nell’intero weekend.
Nel Guangdong i salari sono più alti che da noi. Mi racconta che i cinesi del sud sono come i latini, ospitali, cordiali e calorosi (loro dicono: “non siamo come i giapponesi”), ma se ti senti superiore a loro, chiudono, e di te non vogliono più saperne.
Sentono molto il senso della comunità, che viene prima dell’individuo e le stesse forme di controllo sono da loro giustificate con il “senso della nazione“.
I cinesi, quasi tutti, sono molto grati al governo per il benessere che ha portato e tutti – ripeto: tutti, visto che anche le statistiche internazionali dichiarano ufficialmente estinta la povertà – lavorano prima per il Paese e poi per se stessi.
Ancora. Mi spiega che da tanti anni non ci sono più i “dormitori aziendali”. Quella era un altra epoca. È finita l’epoca della produzione a basso costo (e bassi salari), ora dettano loro al mondo il catalogo dei prodotti industriali. Investono tantissimo in istruzione e ricerca e ormai sovrastano tutti.
Il mio interlocutore al telefono maledice le privatizzazioni e i tagli alla ricerca e all’istruzione, fatti da noi negli ultimi 30 anni; dice che “la pagheremo cara, in futuro”. È sbalordito da come tv e giornali italiani vedono la Cina, “tutte falsità”. Ci siamo lasciati dicendo che leggerà il mio libro.
In serata ho chiesto conferma ad un altro consulente che vive da 12 anni in Cina. Mi dice che nel Guangdong è sicuramente così, mentre in altre aree i salari sono paragonabili a quelli del Portogallo, con la differenza che in Cina la vita costa meno e dunque il potere d’acquisto è più alto.
Ad esempio un biglietto della metro costa 40 centesimi di euro, un taxi per 10 minuti, diffusissimi, 1,30 euro.
Per finire, mi raccomando: date retta a chi dice che in Cina “sono schiavi”, per nascondere il fatto che gli schiavi ora siamo noi.
Ieri ho ricevuto un messaggio da una persona che chiedeva il mio numero telefonico perché voleva parlarmi con urgenza. Non ci ho pensato un attimo, gliel’ho dato.
Mi chiama e fa, “perché utilizzi il termine proletariato, non ti sembra un po’ datato?“. Gli rispondo dicendo che con quel termine intendo tutti i salariati, precari, disoccupati e pensionati che vivono soltanto della propria forza lavoro. È insomma una definizione che corrisponde a una condizione sociale, non una “moda” di qualche decennio fa.
Poi chiede: “Come fai ad essere così informato sulla Cina?“. Gli rispondo “Non capisco, dove vuoi arrivare?”
Ha cosi inizio una conversazione molto interessante. Sulla Cina, in fondo, seguo da decenni le evoluzioni economiche, i dati registrati anche dalle istituzioni internazionali, i piani quinquennali, ecc. tanto da averne fatto gran parte di un libro (Piano contro mercato). Ma non ci sono stato.
Lui spiega di essere un consulente, che possiede una Sas, di fatto un “imprenditore di se stesso”. Assieme ad altri professionisti progetta prodotti di alta tecnologia.
Da anni per lavoro va in Cina, l’ha girata in lungo e in largo, specie il Guangdong, dove il cuore è Shenzen, e la zona più industrializzata che va fino a Shangai. Ha visitato molte aziende hi-tech. Ci sono capannoni datati, ma moltissimi sono all’avanguardia.
La parte più interessante, di cui qui non sentiamo mai parlare, è però la condizione operaia, come vivono concretamente i lavoratori.
Gli operai, racconta, entrano in fabbrica alle 8:30, gli impiegati alle 9. Alle 12 tutti a mangiare, chi vuole può andare a casa, per gli altri c’è la mensa aziendale. Gli operai, dopo aver finito di mangiare, possono riposare fino alle 14. Alle 14 si riprende e si lavora fino alle 18, poi tutti fuori dalla fabbrica.
Quelli che vivono più distanti dal luogo di lavoro vengono raccolti e riportati a casa con pulmini aziendali, come qui da noi avveniva praticamente solo con il personale di volo dell’Alitalia, quando era una società pubblica e i lavoratori di quell’azienda venivano considerati “privilegiati” (in realtà era una misura di sicurezza, perché è meglio che il personale di volo prenda servizio nelle migliori condizioni fisiche possibili).
Nel weekend le aziende organizzano partite di basket, calcio o gite aziendali. I cinesi sono soliti cenare alle 18.30, dopo tutti per strada ad affollare i locali fino a mezzanotte. E così nell’intero weekend.
Nel Guangdong i salari sono più alti che da noi. Mi racconta che i cinesi del sud sono come i latini, ospitali, cordiali e calorosi (loro dicono: “non siamo come i giapponesi”), ma se ti senti superiore a loro, chiudono, e di te non vogliono più saperne.
Sentono molto il senso della comunità, che viene prima dell’individuo e le stesse forme di controllo sono da loro giustificate con il “senso della nazione“.
I cinesi, quasi tutti, sono molto grati al governo per il benessere che ha portato e tutti – ripeto: tutti, visto che anche le statistiche internazionali dichiarano ufficialmente estinta la povertà – lavorano prima per il Paese e poi per se stessi.
Ancora. Mi spiega che da tanti anni non ci sono più i “dormitori aziendali”. Quella era un altra epoca. È finita l’epoca della produzione a basso costo (e bassi salari), ora dettano loro al mondo il catalogo dei prodotti industriali. Investono tantissimo in istruzione e ricerca e ormai sovrastano tutti.
Il mio interlocutore al telefono maledice le privatizzazioni e i tagli alla ricerca e all’istruzione, fatti da noi negli ultimi 30 anni; dice che “la pagheremo cara, in futuro”. È sbalordito da come tv e giornali italiani vedono la Cina, “tutte falsità”. Ci siamo lasciati dicendo che leggerà il mio libro.
In serata ho chiesto conferma ad un altro consulente che vive da 12 anni in Cina. Mi dice che nel Guangdong è sicuramente così, mentre in altre aree i salari sono paragonabili a quelli del Portogallo, con la differenza che in Cina la vita costa meno e dunque il potere d’acquisto è più alto.
Ad esempio un biglietto della metro costa 40 centesimi di euro, un taxi per 10 minuti, diffusissimi, 1,30 euro.
Per finire, mi raccomando: date retta a chi dice che in Cina “sono schiavi”, per nascondere il fatto che gli schiavi ora siamo noi.
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La risposta dal secondo consulente:
Carissimo, che dire?
Ti confermo assolutamente le notizie che hai avuto, solo un piccolo distinguo sul livello salariale. Nella zona del Guangdong i salari sono molto più alti rispetto al resto del paese, per tutta una serie di ragioni. In altre aree le retribuzioni non sono altissime, ma oramai arrivano mediamente a livello di paesi europei tipo Portogallo o paesi dell’est.
Con il vantaggio che la vita e i servizi sono molto meno cari, il che si traduce, come ben sai, in un potere di acquisto nettamente superiore a molti paesi europei.
Facciamo un esempio, la metropolitana qui a Tianjin (la quarta città della Cina per popolazione) costa per una corsa 3 RMB (circa 40 euro/cent), a Milano 2 euro (anche se a tempo).
I bus costano 1,9 RMB, circa 22 euro/cent, una corsa in taxi (diffusissimi) di circa 10 minuti, 11 euro/cent (1 euro e 30 circa).
Questo ti da un quadro un po’ più chiaro della reale situazione.
Fonte
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