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19/02/2021

Addio, vecchia cara “sovranità popolare”

Passano i giorni, non è cambiato ancora nulla, anche se i media di regime ci raccontano splendide favole sul nuovo governo. Esempi? Repubblica di oggi, con la sua prima pagina entusiastica “Vaccini, Draghi accelera”.

Non dubitiamo che il nuovo premier abbia dato ordine di darsi una mossa per accelerare una campagna vaccinale segnata da defaillance assurde (a Varese sono stati convocati tutti – tutti – gli over 80 alle 8 di mattina, facendoli mettere in fila per ore al freddo e al gelo). Sa bene che sulla copertura di una fascia considerevole della popolazione si gioca anche la ripresa delle attività economiche in stand by (non quelle industriali, che non si sono mai fermate).

Però sappiamo per certo – sempre dalla stampa mainstream – che i vaccini mancano perché le multinazionali (Pfizer, Moderna, AstraZeneca) non stanno rispettando le forniture previste nei contratti (peraltro secretati, come fossero armi). Dunque, “accelerare” sui vaccini, con buona pace del nuovo direttore di Repubblica, è piuttosto difficile.

La situazione è ulteriormente complicata da iniziative propagandistiche di governatori scombiccherati, come quello del Veneto, che asserisce di star cercando “milioni di dosi sul mercato”. Ben sapendo che non esiste un “mercato”, se non quello dei contratti e delle consegne tra multinazionali e governi (nel caso italiano il contratto è stato firmato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen).

A meno che, per trovare dosi “eccedenti”, non si stia compulsando il dark web, come i normali cercatori di pasticche miracolose... Di vaccini attendibili, in giro, non ce ne sono.

Si potrebbe firmare un contratto con la Russia per quello chiamato Sputnik, riconosciuto molto valido dalla rivista inglese Lancet, ma la UE – per stoppare ogni richiesta su questo fronte – pretende di far “ispezionare gli impianti di produzione da esperti europei”. Possiamo facilmente immaginare la risposta di Mosca (“tenetevi pure il virus, se vi piace tanto”).

Altre notizie, per ora, dal governo non arrivano. E dunque sarà il caso di riflettere meglio sulle cose importanti che Draghi ha messo sul piatto fin qui, con il suo discorso. Il passaggio essenziale, secondo noi, è questo:

“Questo governo nasce nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione Europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica, nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori. Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro, significa condividere la prospettiva di un’Unione Europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione. Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa. Anzi, nell’appartenenza convinta al destino dell’Europa siamo ancora più italiani, ancora più vicini ai nostri territori di origine o residenza.”

Non è una “stoccata a Salvini”, come i media hanno provato a stemperare, ma la definizione del perimetro entro cui – non solo a giudizio del neo-premier – è ammessa una dialettica politica e sociale. Unione Europea e Nato. Punto.

Un “orizzonte”, come si dice, verso cui si sta andando per realizzare “un’Unione Europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune”.

Per ora sappiamo che i bilanci dei singoli Stati membri vengono stilati sotto l’attenta vigilanza della Commissione Europea, secondo i criteri e la tempistica definiti da alcuni trattati (Fiscal Compact, Six Pack e Two Pack). Ma è chiaro che con un “bilancio comune” anche quei piccoli margini di trattativa sulla destinazione d’uso delle risorse finanziarie nazionali – reperite tramite la tassazione e il finanziamento sui mercati – verranno meno.

È questa, infondo, la differenza fondamentale tra un’alleanza di vari Stati indipendenti e uno Stato sovranazionale, sia pure in lentissima e non facile costruzione. Il resto ne discende di conseguenza.

E infatti Draghi, che è certamente persona precisa, ha voluto rafforzare il concetto: “Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa”.

Apprendiamo quindi anche da lui (non che sia una vera novità...) che la sovranità non è una parolaccia da appiccicare ai Salvini o alle Meloni (che infatti hanno calato subito la maschera), ma un attributo fondamentale di uno Stato.

Insomma, che qualsiasi cosa si intenda fare, c’è il potere sovrano che consente o no di farla. Può essere un uomo (il “re”, ossia la monarchia), può essere un gruppo ristretto (oligarchia), un esercito (dittatura militare), un popolo (democrazia, parlamentare o socialista), oppure “i mercati” (manca ancora la definizione). Ma il potere sovrano ha dei titolati.

“Sovrano” non significa infatti un tizio con una corona in testa, ma semplicemente quel potere che non ne ha altri al di sopra di sè.

Nella Costituzione italiana nata dalla Resistenza la sovranità appartiene al popolo. Prevede insomma una sovranità popolare che si esercita, per forza di cose, su un territorio delimitato da confini. Non puoi comandare a casa d’altri, se non facendo follie come le guerre. Nessuno può comandare su di noi, se non in quel modo o di comune accordo.

E Draghi proprio questo ha voluto ricordarci: quella sovranità popolare è in via di cessione, da parecchi anni, verso altre istituzioni. Sovranazionali.

Non è vero dunque che sia scomparsa “la sovranità”. È stata invece cancellata la sua proprietà popolare, per usare un termine “economico”, trasferendola a un organismo sovranazionale non eletto da nessuno. Ricordiamo che il Parlamento europeo ha questo nome, ma non il potere legislativo tipico di ogni Parlamento. A Strasburgo, insomma, non si fanno “leggi europee”, ma si approvano – oppure no, ma è raro – leggi formulate dalla Commissione (che equivale entro certi limiti al nostro “governo”).

Perché ci soffermiamo con tanta attenzione su questi concetti?

Perché bisogna sapere chi comanda davvero e dove sta il potere sovrano che determina il modo in cui viviamo.

Ogni lotta popolare ha un bisogno disperato di “non sbagliare indirizzo” nel rivolgere le proprie rivendicazioni. Inutile prendersela con il Comune per un problema creato dal governo nazionale, e viceversa.

Così, quando avremo davanti le “riforme” che Draghi promette fin dalle prime righe, dobbiamo sapere chi e dove ha deciso che dovremo avere pensioni e salari più bassi, meno diritti sul lavoro, più precarietà e incertezza, meno copertura sanitaria (non appena passata la pandemia), una scuola come semplice formazione professionale, ecc.

La “sovranità”, insomma, è il nostro potere popolare di influire su quelle scelte.

Oppure no, come ci dice Draghi.

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