«Essere comunista vuol dire “agire nel luogo dove la sorte ti ha gettato”; e rovesciare la sorte in destino comportandosi da individuo sociale, dalla coscienza enorme, all’altezza della specie. Comunista è colui che cerca l’attività che lo attrae, cerca il proprio “demone”; e una volta riconosciuto non lo lascia fuggir via. Come scrive Agnes Heller, nel senso comune l’azione è attribuita a chi sceglie. Il comunista non sceglie cercando il consenso degli altri, men che mai quello elettorale. Il comunista sceglie la libertà.»
Così, Franco Piperno introduceva nel 2014, il volume collettaneo, Briganti o emigranti. Sud e movimenti fra conricerca e studi subalterni, a cura di Orizzonti Meridiani, una rete di realtà sociali e politiche del Mezzogiorno, il cui scopo era quello di istruire una cassetta di attrezzi adoperati dai movimenti sociali meridionali.
Le molteplici riflessioni contenute in questo volume muovevano anche dagli studi sul Mezzogiorno iniziati a cavallo degli anni Ottanta e Novanta, e tesi a una sua reinterpretazione al di fuori dei parametri del “meridionalismo”.
Vale a dire oltre quella corrente di pensiero, di politiche e di interventi che, nata dal progetto post-unitario di eliminazione del divario tra Nord e Sud, ha finito per fare del Sud l’antitesi del Nord e lo ha giudicato sulla base della sua incapacità e resistenza a diventare come il Nord, per rimanere al confronto arretrato, sottosviluppato e carente in «tradizioni civiche».
Queste posizioni, anche note come “nuovo meridionalismo” per aver messo in discussione il meridionalismo classico, erano accomunate dalla convinzione che è necessario considerare il Mezzogiorno nel suo specifico contesto storico, sociale, geografico e ambientale e nella sua diversità economica interna – cioè le sue varie “economie” – per poterlo capire e individuare le politiche adatte a promuoverne la crescita economica e sociale al di là delle tradizionali politiche di “sviluppo”.
Nondimeno, in “Briganti o emigranti. Sud e movimenti fra conricerca e studi subalterni”, si è cercato di andare oltre e contro queste posizioni, superandone i limiti a cominciare dai blocchi esperienziali e politici che molti degli studiosi – non tutti a dir il vero – del “nuovo meridionalismo” proponevano, cioè i contenitori politico-elettorali oppure gli stessi partiti che, nei paesi del Mezzogiorno – della «polpa» e soprattutto «dell’osso» – adoperano il clientelismo come dispositivo di egemonia e di garanzia degli interessi di poteri locali, e ancor più di conservazione dello status quo.
Il che fa il paio con il gattopardismo tipico delle classi intellettuali e dirigenti meridionali: «tutto deve cambiare perché tutto resti come prima». Anche e soprattutto nel pensiero.
Essi smentivano, così, quella che era l’idea di autonomia tanto professata nei loro studi, e che in realtà è espressione del senso di libertà e autodeterminazione che le comunità del Sud, in determinati momenti della loro storia, hanno radicalmente incarnato: esemplari, fra le tante, sono state le lotte lucane del 2003 contro l’insediamento delle scorie nucleari a Scanzano, le mobilitazioni per un’altra gestione della crisi ambientale in Campania o le lotte per un altro sviluppo nel brindisino, No Tap e gasdotto.
Nel solco delle riflessioni di quel volume, il «pensiero meridiano» elaborato da Franco Cassano, nell’omonimo libro del 1996, è stato certamente un attrezzo apripista di un punto di vista autonomo sul Mezzogiorno e sulla molteplicità dello stesso.
Cassano ha rivalutato quelle caratteristiche del Sud che erano state stigmatizzate dal meridionalismo e viste come patologie che ne hanno impedito la crescita e la modernizzazione. Il pensiero di Cassano si fonda su due idee principali: gli interventi imposti sul Sud, finalizzati a rimediare allo scarto con il Nord, invece di agire da cura, hanno aggravato queste patologie – in certi casi le avrebbero persino determinate – e promosso il sottosviluppo; il Sud deve diventare soggetto di pensiero, cioè deve pensarsi da sé per poter riconquistare la propria autonomia.
Perché questo accada, esso deve operare un’inversione di marcia. In primo luogo, per Cassano, deve abbandonare la corsa allo sviluppo inteso come tecnicizzazione, industrializzazione e accumulo capitalistico, sviluppo che si è cercato di realizzare, senza successo, «prostituendo il territorio e l’ambiente, i luoghi pubblici e le istituzioni» e ricorrendo ad attività criminali, quando sono falliti metodi e forme legali.
In secondo luogo, deve aspirare a un diverso ideale di modernità e di sviluppo e creare questo ideale attingendo al proprio patrimonio culturale e al proprio deposito di risorse e valori, quelle risorse e quei valori che sono stati finora visti come «vincoli, limiti e vizi» dai sostenitori della modernità e che oggi esistono solo in forme disperse o malate.
Il primo valore che fa da fondamento agli altri è la lentezza, ciò che permette di percepire la vita (umana e naturale) nelle sue gradazioni e nella sua molteplicità, nelle sue relazioni e nella prossimità fisica dei suoi soggetti. Ciò che rende questo pensiero “meridiano” è la sua collocazione geografica al punto di incontro tra la terra e il mare – la costa – una collocazione di confine che simboleggia «la difficoltà di stare in un solo luogo», la coesistenza di più patrie e, quindi, la garanzia di identità complesse e di riscatto da soffocanti campanilismi.
«Il Mediterraneo e le sue coste garantiscono il viaggio ma anche il ritorno»: proprio perché mare interno e di frontiera, il Mediterraneo, e la sua gente, potrebbero fare da baluardo sia contro lo sradicamento e la perdita di identità postmoderna rappresentati dall’oceano e dall’esodo, sia contro l’assoluto e pernicioso radicamento rappresentato dalla terraferma, e perciò fare da argine al degrado e alla dismisura dell’Occidente.
Orizzonti Meridiani, per costituzione, è andata oltre e contro le traduzioni politiche di Cassano e del suo laboratorio di pensiero. Le sue posizioni molto spesso sono state incomprensibili rispetto proprio a quanto professato, ad esempio, il voto a favore del Jobs Act; sebbene egli abbia sempre mantenuto un confronto teso e critico con la sinistra riformista, tanto da recuperare negli ultimi anni l’arnese del Socialismo. Tuttavia, ci piace ricordarlo proprio per quello sguardo autonomo e molteplice, largo e profondo, sul Sud e sui Sud.
Così come ci piace ricordarne gli svolgimenti del suo «pensiero meridiano» anche negli studi di Mario Alcaro, il quale ha ricercato proprio le conformazioni comportamentali di un’identità meridionale: la pratica del dono e i legami comunitari, la natura, la «mentalità materna», la memoria e il dialogo con i defunti. La crisi della società industriale e capitalistica ha dimostrato che queste forme di vita precapitalistiche non sono da considerarsi «tare e cascami spirituali» del passato, bensì delle virtù da ripristinare perché il Sud possa rifondarsi e trovare un ruolo.
Per tornare da dove siamo partiti, Franco Piperno in “Vento del meriggio. Insorgenze meridionali e postmodernità nel Mezzogiorno”, documenta i tentativi di ricostruzione dell’anima meridionale nel decennio intercorso tra l’emergere del «pensiero meridiano» – e degli studi postcoloniali e i cultural studies – e il nuovo secolo.
Piperno, come indica già nella Prefazione a “Briganti o emigranti”, illumina quelle che è la potenza di trasformare le idee in azione locale, «la prassi politica del pensiero meridiano», che consiste in primo luogo nella «pratica di autorganizzazione delle città rurali che riprende senza saperlo il grande tema dell’estinzione dello Stato, dell’autonomia del Comune e dell’auto-governo»; e in secondo luogo nella «dimensione dell’individuo sociale», che concerne la capacità collettiva di rifiutare il lavoro salariato e ritornare alla concezione del lavoro come vocazione e fatica piacevole, che dovrebbe condurre alla buona vita, invertendo la realtà corrente di «mala-vita», cioè di una vita sprecata in attività lavorative tediose e stupide che non corrispondono alle passioni personali.
Ci piace ricordare Franco Cassano per quella «luce intellettuale» che ha illuminato l’autonomia di pensiero del Mezzogiorno, dischiudendo a nuovi punti di vista, anche se l’autonomia politica e materiale è enucleata nella storia delle lotte, piccole e grandi, di liberazione dalla posizione subalterna appiccicata al Sud, e dalle pratiche, micro e macro, di autorganizzazione del comune nelle comunità meridionali.
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