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19/02/2021

L’Immuni-deficienza della comunicazione istituzionale

di Gianluca Cicinelli

A voler capire come funzionano i circuiti informativi di resistenza alle informazioni istituzionali basterebbe la vicenda dell’app Immuni, scomparsa dai radar. Qui non si parla di complottismo o negazione del virus, ma di come, tra gli altri scollamenti sociali, i cittadini utilizzano le informazioni che provengono dall’autorità costituita. Intanto, per la maggior parte, negandole; che siano vere o false non fa differenza, se la fonte è governativa o ministeriale, che sia la Regione o il Comune dove si vive, il risultato è lo stesso: il primo approccio è di non credere che siano informazioni vere. E questo è un grosso problema, che è diventato evidente e stranamente evitato dai commentatori del mainstream informativo, anch’essi del resto ritenuti inaffidabili ai fini della formazione di un’opinione pubblica.

L’app Immuni, dicevamo, è l’esempio più lampante del fallimento. Fallimento è una parola che poco significa (e vedremo perchè) di questa comunicazione dello Stato verso i cittadini. Riassumiamo. Per essere minimamente efficace doveva essere installata sullo smartphone di almeno il 60 per cento degli italiani, parliamo di 36 milioni di persone: a oggi risulta installata e funzionante per circa 4 milioni di persone a fronte di 10 milioni di download. Fino allo scorso novembre i positivi tracciati erano soltanto 500. Qualcosa di più che un fallimento. La spiegazione ufficiale ci lascia intravedere lo svolgimento futuro dei rapporti fra cittadino e istituzioni. Secondo il commissario Domenico Arcuri, in una conferenza stampa dello scorso novembre, “Il messaggio che abbiamo veicolato non è stato abbastanza potente”. La falla è chiara: se non è potente il messaggio per cui senza quest’app rischi il contagio e la morte è difficile trovarne uno più potente.

I “tecnicisti” dell’informazione 3.0 danno la colpa alla tecnologia arretrata. Secondo loro ci sono ancora pochi smartphone in circolazione e una rete insufficiente per il tracciamento. Sono quelli secondo cui la fortuna di un articolo non è più basata sull’esattezza delle informazioni che fornisci ma dall’aver apposto i giusti tag nell’app che edita l’articolo; sono coloro per cui il mezzo è più importante del contenuto, sono quella genia che ha portato allo svuotamento dell’informazione. Verrà una Norimberga anche per loro, mi auguro. Uscendo in strada questa teoria viene completamente smontata, gli smartphone proliferano e “Qual è la password del tuo wifi?” ha sostituito nelle visite in casa il più antico “Come stai?”. Esiste naturalmente una parte di popolazione ancora tagliata fuori dalla rete – nel caso, ad esempio, della didattica a distanza, che necessita di una ampia banda – ma non è il caso di App Immuni.

L’altra “colpa” del fallimento viene identificata con l’indisponibilità a fornire dati sensibili su se stessi da parte dei cittadini. Gli stessi dati che forniamo tutti i giorni a decine di altre applicazioni verrebbero negati all’App Immuni. Anche questa teoria, che pure trova alcuni estimatori – pochi, tra i puri e duri del “mai con lo Stato” – non basta a spiegare una debacle di proporzioni così ampie. Perché le spiegazioni degli esperti si concentrano su quel 10% del totale della popolazione attiva che ha scaricato l’app e non sul restante 90%. E allora bisogna dire cose un po’ sgradevoli per arrivare a qualcosa che assomigli a una spiegazione seria.

Il punto è cosa sarebbe dovuto accadere dopo il rilevamento di un contagio tramite l’app. Il passo successiva alla notifica di contatto con i positivi al Covid è la notifica ai medici di base e alle Asl. Numerose cronache di giornale riportano dal marzo scorso a oggi lo spaesamento di chi ha provato a contattare queste strutture per poi essere sballottato da un ufficio a un altro, da un numero di telefono a una altro, da una musichetta d’attesa classica a una scelta pop. Ma non sono le cronache dei giornali bensì le persone che frequentiamo a raccontarci di essere tornate dall’estero, aver comunicato la quarantena e di aver avuto il primo contatto con la Asl dopo un mese, cioè venti giorni dopo la fine della quarantena. Così come nei drive in del tampone attrezzati alla periferia delle città dopo essersi prenotati si sono ritrovati scavalcati nella fila da chi era andato comunque anche senza prenotazione.

L’applicazione equivalente in Germania (Corona-Warn-App) è collegata simultaneamente con il 70% dei laboratori dove si eseguono i tamponi e con la totalità delle amministrazioni regionali sanitarie. Quando in Italia dal mondo virtuale delle conferenze stampa scendi in quello reale devi fare i conti con una struttura amministrativa dello Stato semplicemente ridicola e negligente. Oggi questo elemento viene fuori con più evidenza perchè c’è una strage in corso, migliaia di morti che rendono impossibile negare l’incapacità delle istituzioni di offrire rifugio ai cittadini o almeno la certezza del diritto. Accade in tutti i gangli amministrativi ma in quello sanitario diventa sinonimo di pericolo se non di morte.

Per questo motivo quando il messaggio viene dallo Stato italiano quasi nessuno ci crede: che sia l’app Immuni o l’annuncio della lotta all’evasione fiscale. Come aspettare dieci anni per una casa popolare. Come non ricevere dopo un anno i soldi della cassa integrazione. Come non ricevere il contributo per l’affitto un anno dopo lo stanziamento. Come non trovare lavoro con i Navigator del Reddito di Cittadinanza. Come perdere mesi di vita per sbloccare una pratica burocratica nel proprio municipio. Come non essere vaccinati pur avendone diritto.

La povertà istituzionale consiste in questo costante intralcio alla qualità possibile della vita pubblica sostenuto in vita da un sistema informativo formato da persone che sembrano vivere in un mondo parallelo in cui non ci sono ambulatori, autobus, cassonetti, scuole scassate.

Non sarà il governo Draghi a sanare questa rottura. Ci darà qualche soldino, accelererà – speriamo – qualche pratica per i fondi, ma non metterà mano alla struttura amministrativa dello Stato. La stampa continuerà a puntare l’indice contro i complottisti, che fanno colore ma non bastano a spiegare le pieghe di una rottura sociale che comporta in questo caso conseguenze sulla salute di tutti. Le Università continueranno a formare i futuri addetti alla comunicazione istituzionale come venditori di pentole che devono dar via il loro prodotto, magnificatori della bontà ambientale di aziende che sventrano foreste. E tutto questo corto circuito scaturito dalla non credibilità delle informazioni istituzionali avrà come unico risultato di rinforzare l’apprendimento d’informazioni artigianali dell’utente, basato su siti improbabili, pagine Fb di ciarlatani in buona o cattiva fede ma pur sempre venditori di fumo. Il fallimento dell’app Immuni dovrebbe essere oggetto di un apposito corso di studi all’interno delle facoltà di Scienze della Comunicazione.

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