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13/02/2021

India - La lotta contadina smaschera il neo-liberismo

Dopo il blocco delle maggiori arterie stradali nazionali e statali nella giornata di sabato 6 febbraio in tutti gli Stati Indiani, la lotta degli agricoltori continua. Allo stesso tempo si intensifica la cappa repressiva con cui si sta caratterizzando l’azione dell’esecutivo.

Questo mercoledì Twitter ha ceduto alle minacce del governo indiano bloccando almeno cinquecento account legati alla lotta dei contadini.

Con tale scelta l’azienda con sede a San Francisco ha deciso di privilegiare i suoi possibili guadagni in un mercato di più di un miliardo e trecento milioni di persone rispetto alla “libertà di espressione”. Poco importa se nella vulgata liberal-democratica la libertà di esprimersi andrebbe a braccetto con tecnologie digitali occidentali.

Come riporta un articolo Karan Deep Singh sul New York Times: il Paese ha spedito 5.500 richieste legali, compresi ordini giudiziari, per bloccare i contenuti. Ha anche spedito 5.900 richieste per l’accesso alle informazioni personali degli utilizzatori dal gennaio 2012 al giugno 2020.

Praticamente un tracciamento di otto anni di quasi 6 mila attivisti!

Certamente nelle scelte dell’azienda oltre alle ragioni commerciali hanno influito anche ragioni geo-politiche, tenendo contro che il governo Modi sarà uno dei pilastri della strategia di contenimento della Cina in Asia della nuova amministrazione nord-americana.

È il secondo giro di vite imposto dal governo indiano, ben disposto ad usare due pesi e due misure: da un lato non fa nulla per fermare le campagne d’odio della destra indù che hanno ripetutamente portato a dei veri e propri massacri contro le “minoranze”, dall’altra mette in campo un ingombrante arsenale comunicativo contro gli agricoltori in lotta e chi li appoggia, tra cui tutte le formazioni del variegato ed influente panorama comunista indiano.

Modi ha messo in campo una pletora di strumenti fatti di censura vera e propria come nel caso di Twitter, o il taglio della connessione internet ai contadini accampati ai bordi di Nuova Delhi e di repressione delle esperienze giornalistiche che seguono da vicino la lotta dei contadini (The Wire, The Carnival e non ultimo Newsclick) spesso accusati di “sedizione”. L’esecutivo ha soprattutto articolato una campagna sistematica di disinformazione strategica nei confronti degli agricoltori attraverso i corporate media, la cui proprietà è saldamente in mano ad una manciata di miliardari indiani, gli stessi – guarda caso – che si avvantaggerebbero delle riforme legislative riguardanti l’agricoltura messe in discussione dalla lotta contadina.

L’ultimo caso di assalto all’informazione libera è stato il 9 febbraio contro Newsclick, importante punto di riferimento del giornalismo investigativo. Come ha dichiarato in un comunicato il sindacato dei giornalisti di Nuova Delhi (DUJ) : “Newsclick sta fornendo una piattaforma per dare spazio a giornalisti d’inchiesta come Paranjoy Guha Thakurta e trasmettere giornalisti come Abhisar Sharma e P.Sainath, tra gli altri. Ha anche seguito in maniera estensiva la lotta dei lavoratori agricoli negli ultimi due mesi. È divenuta una voce differente con notizie e analisi nazionali ed internazionali”.

L’8 febbraio Modi ha rincarato la dose d’odio in un intervento in parlamento in cui ha definito chi sta protestando né più né meno che un parassita (Andolan Jeevi in Indù), etichettando il variegato mondo degli militanti che sostengono i movimenti sociali come “cospiratori”, e stigmatizzando negativamente gli attivisti internazionali e le figure con un profilo pubblico che sostengono il movimento dei contadini, vettori di “una ideologia straniera distruttiva”.

È un linguaggio che precede il genocidio ha giustamente commentato il partito comunista indiano d’ispirazione maoista, CPIML.

Questo linguaggio bellico dà la cifra di come i due partiti che sostengono l’esecutivo di Modi (BJP e RSS), stiano facendo letteralmente la guerra ai contadini – cioè a più della metà della popolazione dell’Unione – senza che nessuna anima democratica alle nostre latitudini si stia strappando le vesti di fronte alle numerosi violazioni dei più elementari diritti umani.

È dire che le parole della scrittrice ed attivista Arundhati Roy, universalmente conosciuta anche in Italia, sono state come sempre chiarissime a riguardo e che anche l’attivista Greta Thunberg ha apertamente preso posizione a favore degli agricoltori. Un silenzio assordante, quello dei nostri media, di cui cerchiamo di non essere complici.

Abbiamo tradotto questo contributo, scritto da uno dei maestri del giornalismo d’inchiesta indiano, nonché uno dei più profondi conoscitori del mondo agricolo del Paese, pubblicato proprio su uno dei giornali presi di mira da Modi. Quella “distruttiva ideologia straniera” di cui cerchiamo di essere vettori si chiama internazionalismo, specie contro quella mostruosa configurazione dell’establishment indiano che coniuga neo-liberalismo, nazionalismo hindu e torsione autoritaria dello Stato.

Buona Lettura.

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Contadini ricchi, trame locali, stupidità locale

È uno risultato stupefacente di questo governo, quello di aver unito un così ampio e variegato spettro di fasce sociali, anche quelle tradizionalmente antagoniste.

Tagliare l’acqua e l’elettricità a migliaia di esseri umani, esponendoli a seri pericoli per la salute, facendoli barricare all’interno di zone circoscritte dalla polizia e dai paramilitari, imponendo condizioni sanitarie inaccettabili, e rendendo impossibile ai giornalisti raggiungere i contadini in lotta, punendo un gruppo che ha già visto 200 dei suoi morire, molti per ipotermia, negli ultimi due mesi. In qualunque altra parte del mondo questa situazione sarebbe vista come un barbarico assalto ai diritti ed alla dignità umana.

Ma noi, il nostro governo e la classe dirigente, sono preoccupati da questioni ben più importanti. Ad esempio, come smontare la cospirazione delle temute terroriste globali, Rihanna e Greta Thunberg, mirata a diffamare ed umiliare la più grande nazione della terra.

Se fosse una fiction, sarebbe estremamente divertente. Come realtà, è semplicemente folle.

Sebbene tutto ciò sia scioccante, non dovrebbe comunque sorprendere. Anche quelli che hanno portato avanti lo slogan del “governo al minimo, massima governance” dovrebbero averlo capito ormai. Il vero patto prevedeva un governo al massimo della forza ed una governance al massimo della violenza. La cosa preoccupante è lo studiato silenzio di voci altrimenti articolate, alcune delle quali non si sono mai tirate indietro dalla difesa del potere e dal sostegno a certe leggi. Qualcuno potrebbe pensare che persino loro disapproverebbero questo quotidiano smantellamento della democrazia.

Ogni singolo membro del governo sa perfettamente qual è il vero ostacolo per la risoluzione della protesta dei contadini.

Sanno che non c’è mai stato alcun confronto con i contadini riguardo a queste tre leggi – nonostante i contadini lo stessero chiedendo dal giorno in cui hanno saputo che sarebbe state diffuse come ordinanze.

Non c’è stato alcun confronto con i contadini riguardo le tre leggi – nonostante l’agricoltura sia una questione di cui si deve occupare lo Stato in base alla costituzione. Non ce n’è stato alcun confronto neanche con i partiti di opposizione, o tra i parlamentari stessi.

I leader del Bharatiya Janata Party e i membri del governo sanno che non è avvenuto un confronto – perché non sono stati consultati neanche loro, né su questo né su altre importanti questioni. Il loro compito è quello di rimandare indietro le onde dell’oceano quando il leader lo ordina.

A questo punto, le onde sembrano cavarsela meglio del paese. Rakesh Tikait è una figura molto più influente oggi di quanto non lo fosse prima che il governo provasse a demolirlo. Il 25 gennaio si è svolta un’imponente protesta dei contadini nel Maharashtra. Ce ne sono state di grandi anche nel Rajasthan e nel Karnataka – dove è stato impedito l’ingresso ai trattori a Bengaluru – come anche nell’Andhra Pradesh ed altri stati. Nel Haryana, il governo si sta sforzando di restare attivo, trovandosi nella situazione in cui il primo ministro non è disposto a partecipare a incontri pubblici.

Nel Punjab, quasi ogni proprietario è solidale con i protestanti – molti sono tentati di affiancarsi a loro, alcuni lo stanno già facendo. Il BJP ha faticato a trovare candidati per le prossime elezioni locali fissate al 14 febbraio. Quelli che ha trovato – vecchi alleati – sono cauti nell’usare il simbolo del proprio partito. Nel frattempo, un’intera generazione di giovani è stata alienata, con serie conseguenze per il futuro.

È uno risultato stupefacente di questo governo, quello di aver unito un così ampio e variegato spettro di fasce sociali, anche quelle tradizionalmente antagoniste, come contadini e arthiyas (agenti di commissione).

Ha anche unito i Sikhs, Induisti, Musulmani, Jat e non-Jat, perfino i khaps e anche la moltitudine del Khan Market. Impressionante.

Ma delle voci, ormai assopite, hanno passato due mesi ad assicurarci che tutto questo “riguardava solamente il Punjab e Haryana”. Nessun altro era coinvolto. Non era veramente importante.

Divertente. L’ultima volta che una commissione, non nominata dalla Corte Suprema, ha verificato, sia il Punjab che l’Haryana erano parte dell’Unione Indiana. Si potrebbe quindi pensare che quello che accade in quei paesi riguardi noi tutti.

Quelle stesse voci ci hanno anche detto – e continuano, con toni più sommessi – che sarebbero “ricchi agricoltori” quelli che si oppongono alle riforme.

Affascinante. Il profitto medio di un’azienda agricola nel Punjab secondo l’ultima ricerca di NSS è di 18.059 rupie [poco più di 200 Euro, una rupia equivale a circa 0,011 euro, NdC]. Il numero medio di dipendenti per azienda agraria era di 5,24. Quindi, mensilmente, ciascuno riceve circa 3.450 rupie. Molto meno del più sottopagato impiegato del settore delle organizzazioni.

Accidenti! Che benessere. Gli stessi dati corrispondenti all’Haryana (con una media di impiegati pari a 5,9 persone per azienda) riportano un guadagno medio di 14.434 rupie [poco più di 160 Euro, NdC], e quindi un ammontare di 2.450 rupie ciascuno. Certamente, questi terribili numeri li pongono comunque davanti ad altri agricoltori indiani. Ad esempio, nel Gujarat il guadagno medio di un’azienda agricola è di 7.966 rupie [circa 90 Euro, NdC]. Con una media di 5,2 impiegati, ognuno di questi riceve 1.524 rupie.

Il guadagno medio in tutta l’India di un’azienda agricola era di 6.426 rupie, (circa 1.300 rupie pro capite). In ogni caso – tutte questi dati medi includono i guadagni da tutte le fonti. Non soltanto quelli derivati dalla coltivazione, ma anche dal bestiame, dal commercio non agricolo, e dai salari.

Questa è la situazione dell’India fotografata dalla ricerca del National Sample Survey, “Key Indicators of Situation of Agricultural Households in India” del 2013. Ricordiamoci che il governo ha promesso di raddoppiare i guadagni dei contadini entro il 2022, quindi entro i prossimi 12 mesi. Un’impresa difficile, che rende la dirompente interferenza di Rihanna e Greta Thunberg ancora più fastidiosa.

Oh, questi ricchi contadini ai margini di Delhi, che dormono in scatole di metallo con 2° celsius o meno, che si lavano all’aperto a temperature bassissime – hanno certamente cambiato la mia idea di ricchezza in India. Sono un gruppo molto più resistente di quello che pensavamo.

Nel frattempo, la commissione nominata dalla Corte Suprema per parlare con i contadini sembra incapace di essere coerente con sé stessa – quattro dei suoi membri hanno dato le dimissioni poco prima del primo incontro. Rispetto al parlare effettivamente con i manifestanti, questo non è ancora avvenuto.

Il giorno 12 marzo la commissione nominata dalla Corte Suprema avrebbe esaurito il suo mandato di due mesi (riguardo la durata della vita degli insetti impollinatori, fondamentali per l’agricoltura). Entro quella data, la commissione avrebbe avuto una lunga lista di persone con cui non avevano parlato, ed una ancora più lunga di persone che non avrebbero parlato con loro. Probabilmente anche una lista di quelli che non avrebbero proprio dovuto parlare con loro.

Ogni tentativo di intimidazione verso la protesta ha avuto come effetto l’accrescimento del numero di manifestanti. Ogni azione mirata a screditare la protesta ha guadagnato l’attenzione dei media asserviti – ottenendo però l’effetto opposto. La cosa più spaventosa è che tutto questo non impedirà al governo di intensificare gli sforzi, che diventeranno più autoritari, fisici e brutali.

Molti dei media, ancor di più molti all’interno del BJP, sanno che forse l’ostacolo più insormontabile in questa faida è l’ego personale. Non la politica, non le promesse fatte alle ricche aziende che devono essere mantenute (lo saranno sicuramente, un giorno). Non la sacralità delle leggi (che, per stessa ammissione del governo, possono esse modificate tramite emendamenti). In questo modo il re non può commettere errori. Ammettere un errore e ancor peggio, ritrattare, è impensabile. Dunque, nonostante ogni singolo contadino del paese sia stato estraniato – il leader non può sbagliare, non può perdere la faccia. Non ho trovato neanche un articolo tra tutti i giornali che sfiori almeno l’idea di dire una cosa del genere, nonostante tutti ne siano a conoscenza.

Quanto è importante l’ego in questa faccenda? Consideriamo la risposta a un semplice tweet di una star del rhythm and blues sulla chiusura di Internet: “Perché non ne parliamo?” Ma il dibattito al riguardo passa al Ministero degli Affari Esteri che guida gli eroici kamikaze dell’antiterrorismo sulla questione, ispirando una patriottica Luminosa Brigata delle Celebrità a creare la propria accusa informatica. (Nella Digital Valley of Doom, dove i tweet risuonavano e tuonavano, indisturbati dalla crescente oscurità, cavalcavano il nobile Seicento.)

L’originale tweet offensivo, che chiedeva semplicemente perché non ne parliamo, non ha preso alcuna parte o posizione esplicita – a differenza delle dichiarazioni del capo economista e del direttore delle comunicazioni dell’FMI, che hanno entrambi elogiato pubblicamente le leggi agricole (aggiungendo “cautele” sulle “reti di sicurezza” – con tutta la sincerità che mettono i venditori ambulanti di nicotina negli avvertimenti legali che stampano sui loro pacchetti di sigarette).

No, un artista R&B e una studentessa attivista per il clima di 18 anni sono ovviamente quelli pericolosi qui, da trattare con fermezza e senza compromessi. È rassicurante sapere che la polizia di Delhi è al lavoro. E se si muovono oltre la cospirazione globale per scoprire una dimensione extraterrestre nella trama – oggi il globo, domani la galassia – non sarò tra coloro che li deridono. Come recita uno dei miei detti preferiti che girano in rete: “La prova più sicura dell’esistenza dell’intelligenza extraterrestre è che ci hanno lasciati soli”.

Note:

1) Sainath, fondatore ed editore di People’s Archive of Rural India.

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