Il 23 febbraio si celebra in Russia il 103° anniversario della fondazione dell’Esercito Rosso Operaio-Contadino, una delle poche feste di epoca sovietica ancora marcate in rosso sul calendario.
Da settimane, il KPRF di Gennadij Zjuganov ha indetto per il 23 febbraio manifestazioni in tutta la Russia che, nei propositi degli organizzatori, dovranno essere di celebrazione dell’anniversario, ma anche di protesta contro le politiche socio-economiche del Cremlino. A Mosca, uno degli slogan già lanciati dal KPRF in vista del 23 febbraio è “Per la giustizia, il potere popolare e il socialismo! Contro repressioni, corruzione e oligarchia!”.
Il problema delle repressioni contro l’opposizione comunista e di sinistra è da tempo al centro della politica delle organizzazioni comuniste russe (per semplicità, esaminiamo qui solo quelle riferite dal KPRF, ma ogni organizzazione comunista può “vantare” decine di denunce, arresti, condanne), anche se non sembra scuotere più di tanto la tranquillità governativa, impegnata quasi esclusivamente a rintuzzare gli attacchi occidentali per la “persecuzione del principale oppositore di Putin”, il pregiudicato filo-fascista Aleksej Naval’nyj.
D’altra parte, la “questione Naval’nyj” è da tempo appiccicata alle controversie internazionali tra Mosca e l’Occidente e, dunque, su quella si concentrano i riflettori; mentre, chi vuoi che a Bruxelles o Washington si scomponga per qualche decina di comunisti che vengono menati in strada e poi messi in galera: quella è pratica comune a ogni latitudine e l’Occidente può anzi impartire lezioni a chiunque.
Così, il governo ha preso per tempo a negare le autorizzazioni per i meeting o i picchetti pubblici del 23 febbraio; attivisti di sinistra vengono fermati dalla polizia anche solo se presi a diffondere volantini che invitano alle manifestazioni.
L’ex governatore della regione di Irkutsk, il comunista Sergei Levčenko, ha detto che in 19 capoluoghi della regione in cui erano state comunicate le richieste di manifestazione, queste sono state respinte con le motivazioni più varie (fino alla necessità di sgomberare le strade dalla neve) e in barba alla legge.
La Procura della regione di Lipetsk (400 km a sud di Mosca) è andata direttamente alla sede locale del KPRF per ammonire a non organizzare alcunché. A Penza (oltre 600 km a sudest di Mosca), già da tempo si è cominciato a fermare attivisti e deputati delle assemblee locali del KPRF e del Fronte della sinistra, che stavano pubblicizzando l’iniziativa del 23 febbraio, pur anche come semplice “incontro con gli elettori”, dato che si sapeva in anticipo che altri tipi di manifestazioni non sarebbero stati permessi.
Alla Duma, il segretario di Mosca del KPRF, Valerij Raškin, ha fatto un elenco degli episodi di repressione ai danni di rappresentanti del suo partito, qualificati come «vero e proprio terrore», a partire da bastonature squadristiche, nel 2005, a Mosca, Krasnojarsk, Orël, Samara, per non parlare dei casi di omicidio di vari deputati e militanti del KPRF, sin dagli anni ’90, tuttora non “scoperti” dalla polizia.
Indicativo del clima «medievale», ha detto Raškin, è il caso di Andrej Levčenko, arrestato (tutt’ora in isolamento) non appena apparsa la notizia che il padre, Sergej, si sarebbe nuovamente candidato all’assemblea regionale di Irkutsk.
A Saratov (200 km a sud di Penza), si è agito con più finezza: accolta la domanda del KPRF per il 23 febbraio, la Procura ha chiesto di inoltrare una nuova domanda, con un numero di partecipanti dimezzato; ma la domanda deve pervenire con 10 giorni di anticipo sul meeting!
Tra l’altro, la frazione del governativo “Russia Unita” all’assemblea legislativa della regione di Saratov, ha posto all’ordine del giorno la revoca del mandato a due deputati locali del KPFR, Aleksandr Anidalov e Nikolaj Bondarenko, per il fatto di aver partecipato a manifestazioni non autorizzate il 31 gennaio.
È stato proprio Bondarenko, pochi giorni fa, a ironizzare sulle dichiarazioni di Putin a proposito del fatto che la Russia «non ha ancora raggiunto il picco del proprio sviluppo storico»: quasi mezzo milione in meno di popolazione nel 2020, ha scritto Bondarenko, un numero di ospedali pari a quello di prima della rivoluzione, ¼ di fanciulli che vivono sotto la soglia di povertà e il 70% della popolazione con redditi inferiori a 25.000 rubli e quasi il 50% con redditi al di sotto dei 15.000 rubli.
Riguardo le privatizzazioni cominciate negli anni ’90, Vladimir Putin, in un’intervista a Oliver Stone, ha detto che, nella Russia di oggi, avrebbero avuto un minor impatto sociale, ma che comunque va dato merito alla risolutezza di uomini come Egor Gajdar, Anatolij Čubajs, Andrej Nečaev, artefici allora delle privatizzazioni che, a detta di Putin, non devono esser fermate nemmeno oggi, tanto che il governo programma per il prossimo anno di privatizzare ancora un paio di centinaia di imprese a partecipazione statale, oltre a un migliaio di altri asset.
Non fermare dunque le privatizzazioni, nemmeno ricordando che, ad esempio, tra il 1991 e il 1999, “epoca d’oro” dei Gajdar, Čubajs, Nečaev e simili, i redditi della stragrande maggioranza dei russi si dimezzarono e la mortalità in quegli anni superò di circa 7 milioni di persone la mortalità media.
A proposito dei vari Gajdar, Chubajs & Co., elogiati da Putin, e degli omaggi resi dal Presidente alla memoria di Aleksandr Solženitsyn, tra i comunisti russi circola oggi un aforisma che dice: «La storia viene riscritta per riscrivere la proprietà. Prima vengono i Solženitsyn e dietro a loro arrivano i Čubajs».
PS – all’ultimo momento il KPRF ha rinviato «a marzo l’incontro degli elettori coi deputati della Duma», dizione con cui erano presentate le manifestazioni per il 23 febbraio e domani si limiterà a «deporre corone di fiori alla tomba del milite ignoto». Il dietro-front era stato indirettamente annunciato allorché i leader del KPRF avevano scritto che se il Governo avesse confermato il divieto a manifestare, il KPRF non avrebbe «scatenato la guerra civile». Non a caso altre organizzazioni comuniste definiscono il KPRF «opposizione di sua maestà»...
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