C’è un governo nuovo, ma sembra già quello vecchio. Ogni ministro “politico” parla con i giornali sparando le sue idee come fossero impegni di governo. E dire che nel primo e unico consiglio dei ministri fin qui riunito Mario Draghi s’era raccomandato di “prima fare, poi parlare”.
Le Regioni sono come sempre all’opposizione di qualsiasi decisione del governo – anzi: del ministro della salute – in materia di “colori” e limiti alle attività commerciali, causa l’aggravamento della pandemia e delle nuove “varianti” che stanno prendendo il sopravvento a grande velocità.
Eppure, anche in questo caso, i sedicenti “governatori” leghisti dovrebbero aver capito che la Lega fa parte – e importante – di questo governo.
Salvini, che al governo c’è come partito ma non personalmente, fa lo stesso gioco, chiedendo già la testa di Lamorgese e Speranza, come quando stava (teoricamente) all’opposizione.
L’occasione è il provvedimento che rinvia al 5 marzo l’apertura degli impianti sciistici, ovviamente concentrati soprattutto al Nord, nell’arco alpino, di cui si parla come se la pandemia non fosse un problema e che “qualcuno” invece “non rispetta le filiere della montagna”. Sembra di sentire in sottofondo la voce di quell’industrialotto marchigiano – ma presidente della Confindustria locale – che voleva “tutto aperto, e se qualcuno muore, pazienza”.
Persino uno dei ministri “tecnici” – Patrizio Bianchi, dell’istruzione – si fa tentare dal protagonismo mediatico fino ad assicurare che “Riporteremo gli studenti in classe, come abbiamo riaperto le scuole in Emilia dopo il terremoto del 2012”. E c’è da essere preoccupati del fatto che il ministro sembra non sapere che un terremoto non è infettivo, e dunque solo in quel caso è facile ricostruire e ripartire, anche subito, se si vuole...
Restano ovviamente al coperto tutti i “tecnici” del governo vero, quelli messi da Draghi a presidio delle leve decisionali strategiche, da cui dovranno gestire i fondi del Recovery Fund e dunque la “ristrutturazione” del paese.
E più di tutti tace, come d’abitudine, Draghi, che sta preparando il suo discorso per la fiducia in Parlamento.
La stolida classe politica italiana, nel suo insieme e nessuno escluso, sembra non aver ancora metabolizzato il proprio azzeramento sul piano delle decisioni strategiche. O meglio, lo hanno capito, ma debbono trovare un ruolo “distintivo”, che giustifichi la richiesta di esser votati quando – dopo questo esecutivo targato Bce-Troika – si dovrà tornare alle urne, cercando di far dimenticare che sono tutti insieme, tutti egualmente al servizio di una progettualità superiore e per loro incontrollabile.
E dunque blaterano o gridano sul questioncelle quasi secondarie. In fondo sono il “governo due”, mica quello che decide davvero...
Questo bisogno di “sembrare diversi” spiega sia il rinato protagonismo di Salvini (alla faccia di chi diceva che era meglio un governo Draghi perché “se si va a votare ora torna Salvini”), sia il ruolo di “opposizione della corona” affidato a Giorgia Meloni, sia le contorsioni in atto in Sinistra Italiana.
Sulla destra fascista ci sarebbe poco da dire, se non esistesse il pericolo che il malessere sociale – che sarà nei prossimi mesi sicuramente accentuato dalle scelte “ristrutturative” del “governo vero” – possa incanalarsi in quella direzione. Vero è che la stessa Meloni sembra soffrire la parte, dichiarandosi ogni giorno incerta tra il votare contro Draghi o astenersi, con la riserva di votare comunque a favore di alcuni provvedimenti, in corso d’opera.
Soprattutto, lo star fuori dai ministeri e dalle linee di finanziamento, non dove essere piaciuto alle mille consorterie – anche para-mafiose – che sono buona parte della sua base elettorale.
Quasi comica la vicenda dell’ex Sel, ora nel gruppo parlamentare di LeU, che vede in pratica l’intera pattuglia dei parlamentari stare “convintamente” con il governo e il solo Fratoianni a dichiararsi contro (con la stragrande maggioranza assoluta del gruppo dirigente, peraltro).
Ma andateci piano con gli entusiasmi ingenui. La scelta di quest’ultimo non è affatto una dichiarazione di guerra o il primo passo verso la costruzione di un’alternativa “di sistema” rispetto a un quadro politico mai come oggi “tutto uguale”. In fondo sono il “governo due”, mica quello che decide davvero
Nel post in cui Fratoianni annuncia la “rottura”, infatti, c’è anche la rassicurazione che questo non cambia nulla. Propone infatti di “lavorare fin da subito per irrobustire l’alleanza con Pd, M5S, le forze della sinistra. Dell’ambientalismo e del civismo, a partire già dalle prossime elezioni amministrative”.
Roba da psichiatria, diciamolo semplicemente. Come si fa a stare all’opposizione di un governo e proporsi di “allearsi” con metà del governo alle amministrative? C’è o non c’è una differenza politica radicale, tale da costringerti a non stare in un governo? Ma se puoi comunque allearti con quel mezzo governo alle amministrative, ovvero là dove ricadono buona parte delle scelte nazionali, vuol dire che quella differenza conta poco.
Insomma, significa che fai finta di stare all’opposizione per poter recuperare o quantomeno impedire che nasca un’opposizione alternativa vera.
Mai più un Fratoianni tra i piedi. Sembra il minimo che si possa pretendere, in futuro.
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