La prima regola che ti insegnano i professori bravi, già al liceo, è “agli esami, parla soltanto di quello che hai studiato davvero; non ti buttare ad indovinare”. Più drastico e serio, il comandamento di Mao Zedong: “chi non ha fatto inchiesta non ha diritto di parola”.
Altrimenti ti esponi a figuracce come quella del neo sottosegretario leghista all’istruzione – all’istruzione! – Rossano Sasso, che spara una citazione da Topolino attribuendola a Dante. Ognuno ha il suo curriculum letterario, certo, ma il silenzio è d’oro, se non sai niente di una certa materia...
Coi parvenu della politica parlamentare è fin troppo facile sparare a palle incatenate, ma se ti chiami Mario Draghi dovresti essere un po’ più accorto. Non è che ti puoi appellare alla mancanza di esperienza...
I media hanno servilmente glissato sulla stupidaggine pericolosa che ha proposto addirittura in sede di Consiglio Europeo (il vertice dei capi di stato e di governo), aprendo alla possibilità di vaccinare le persone soltanto con le prime dosi, invece che due, in modo da coprire una platea più vasta.
Persino una immunologa molto “democratica” e ammiratrice del neo presidente del consiglio, come Antonella Viola, è stata costretta a balzare sulla sedia.
“Draghi ha azzardato a dire di somministrare una sola dose. Ha fatto un gravissimo errore. Non si deve giocare a dadi con la salute delle persone“. La spiegazione scientifica è semplice, per chi come lei conosce la materia:
“Con una sola dose di vaccino avrò pochi anticorpi che spariscono rapidamente. Ci sono due grandi problemi: uno è quello di salute pubblica l’altro è quello di metodo scientifico E noi ci possiamo basare sull’evidenza o sull’intuito. L’idea di vaccinare con una sola dose è intuitiva. Ma non ci sono dati scientifici per dire che così proteggiamo adeguatamente i vaccinati. C’è invece evidenza che potremmo favorire lo sviluppo di varianti“.
Che è insomma un modo educato di dire “ma di che parli? Informati, prima”.
Perché in medicina (come in fisica e altre “scienze dure”) non sempre la metà di una grandezza (una dose invece di due) equivale davvero alla metà. Quella è un’idea che può venire in mente a un matematico, oppure a un ragioniere e persino a un banchiere: “mezzo stipendio è meglio che niente”, così come “mezzo pasto è meglio che niente”.
In sede di virologia, invece, come spiega anche la prof. Viola, “la metà” può equivalere addirittura a niente, dopo qualche settimana o mese. Dal mondo matematico a quello fisico, il salto può essere infinito. E quell’idea di “dividere” il dosaggio diventa una fesseria degna di Boris Johnson o Bolsonaro, non una strategia con possibilità di riuscita.
L’esordio in Europa di Draghi en travesti – da banchiere a premier non eletto – ha comunque rivelato debolezze strategiche persino inaspettate, sia in lui sia nell’intera Unione Europea.
Per tutti i paesi il problema è la mancanza di vaccini. Ci si può girare intorno quanto si vuole, seminare i discorsi con “perle di saggezza” generica, come “Dobbiamo mantenere rigorose restrizioni e nel contempo intensificare gli sforzi per accelerare la fornitura dei vaccini”. Ma se materialmente non hai le dosi necessarie, quelle resteranno parole.
E la tua credibilità come “salvatore della patria” scende...
Ma non è che l’insieme dei leader europei stia messa meglio. Nel comunicato finale si legge che “le vaccinazioni sono ormai cominciate in tutti gli Stati membri e, grazie alla nostra strategia vaccinale, tutti gli Stati hanno accesso ai vaccini. Ciononostante, dobbiamo accelerare con urgenza l’autorizzazione, la produzione e la distribuzione dei vaccini, nonchè le vaccinazioni”. Ossia parole senza conseguenze pratiche.
Da cui emerge persino qualche preoccupante angoscia. Se i capi di Stato europei sono costretti ad invocare “l’accelerazione dell’autorizzazione” ai vaccini che verranno presentati all’Ema, significa che la carenza di rifornimenti è tale da far loro chiedere “controlli frettolosi”, invece che ben fatti. Aumentando così i rischi...
Ancora peggio: nessuno stato della Ue possiede la capacità autonoma di produrre i vaccini anti-Covid. Né ha messo in campo fin qui – dopo un anno! – alcuna iniziativa pratica per dotarsi di quella capacità. E dunque sono costretti a scrivere che: “Sosteniamo gli ulteriori sforzi profusi dalla Commissione per collaborare con l’industria e con gli Stati membri al fine di aumentare la capacità dell’attuale produzione di vaccini nonché di adeguare i vaccini alle nuove varianti, secondo necessità“.
Lo traduciamo per chi non è abituato al linguaggio viscido delle burocrazie continentali: “Stiamo cercando di fare pressione sulle multinazionali del farmaco perché ne producano e ce ne diano di più”. Ma neanche un accenno all’unica “misura di guerra” che potrebbe cominciare a risolvere la situazione: requisire gli impianti adatti alla produzione di vaccini, sospendere la validità legale dei brevetti, espropriare chi si rifiuta di collaborare.
In guerra si fa così. Fabbriche di automobili modificano le linee di montaggio per sfornare carri armati. Fabbriche chimiche vengono riconvertite per produrre munizioni. Ecc. Altrimenti di sicuro perdi la guerra, ovvio.
Tutta l’Unione Europa invece resta in rispettosa adorazione delle multinazionali di Big Pharma, alzando – al massimo – il livello della protesta quando queste non fanno pervenire neanche i quantitativi scritti nei contratti (meno del 50%, ormai). E dire che diversi stabilimenti di produzione di quei vaccini sono in territorio europeo! In Belgio, in Francia, ecc; l’inventore del vaccino Pfizer, BionTech, è addirittura una società tedesca. Ma neanche la Germania riesce ad averne quanti ne servono.
Anche su questo terreno Draghi ha sostanzialmente sparato a salve. Ha proposto infatti di ridurre l’export delle dosi prodotte in quegli impianti. Una sorta di “sovranismo europeo” per disperazione: visto che le produciamo qui, teniamoci almeno quei quantitativi.
Ma si è sentito dare dalla Von der Leyen la più scontata delle risposte neoliberiste: “questa strada potrebbe rivelarsi un vicolo cieco a causa dei contratti” sottoscritti con le multinazionali.
Perché quelle comandano e gli Stati possono solo “chiedere”, pagare (con le tasse dei cittadini) e al massimo lamentarsi se neanche i contratti vengono rispettati.
Questa è la realtà attuale dell’Unione. E neanche un anno di pandemia ha fatto correggere una virgola di questa sudditanza alle imprese più grandi.
E in questo pantano Mario Draghi ha cominciato a misurare la distanza abissale tra il suo ruolo precedente e quello attuale.
Da presidente della Bce poteva stoppare la speculazione sui mercati soltanto dicendo che avrebbe fatto whatever it takes per difendere la stabilità dell’euro. Era credibile perché una banca centrale di quelle dimensioni può in effetti stampare quanto denaro serve o vuole, in un fiat, a volontà, per annientare qualsiasi speculazione privata (che ha munizioni magari grandi, ma non estendibili a seconda delle necessità o volontà). Nel mondo magico delle monete e della finanza, se po’ ffà...
Tutt’altra cosa, invece, quando si deve affrontare una pandemia. Qui servono dosi di vaccino, almeno un miliardo (per mezzo miliardo di cittadini europei).
O sei in grado di produrli da solo o devi comprarli dai produttori privati. O sei davvero “sovrano” (“senza nessuno sopra di te”) nelle tue scelte, o sei dipendente da quelle altrui.
O ti imponi con la forza del potere pubblico, dello Stato, o resti uno schiavo del privato.
Benvenuto nel mondo dell’economia reale, mr. Draghi. Qui la finanza non aiuta granché, anzi. Qui servono cose materiali, prodotti fisici in grande quantità, che richiedono tempo per essere fabbricati. Qui non basta parlare o bloccare i bancomat, come fatto contro i greci nel 2015.
Qui, o si combatte contro lo strapotere dei “privati” oppure si resta servi o schiavi.
Di certo non draghi...
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