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25/02/2021

Il governo matrioska

I “due governi in uno” procedono tranquillamente, al coperto della divisione dei compiti che li caratterizza e delle “distrazioni di massa” abilmente messe in piedi dalla “comunicazione istituzionale”. E intanto si fanno nella massima discrezione sia nomine decisive in Banca d’Italia sia per quanto riguarda i servizi segreti.

L’attenzione di tutti viene attirata sul solito, indecente, spettacolo dell’assalto alla diligenza, con 49 sottosegretari 49, scelti col manuale “Cencelli rinforzato”. C’era infatti da soddisfare non soltanto i vari partiti, ma le singole correnti di ognuno. E siccome mai come questa volta sono “tutti insieme”, la contrattazione è stata più scoperta e puzzolente del solito.

Nulla di tutto ciò sembra turbare il silenziosissimo monarca di Palazzo Chigi, che fin dal primo giorno ha assunto come suo obbiettivo esclusivo le “riforme di cui ha bisogno il paese” – quelle “necessarie” a rendere l’Italia un paese totalmente dipendente dalle filiere produttive in primo luogo tedesche e in parte anche francesi (e statunitensi, ci mancherebbe) – mentre “tutto il resto” viene lasciato agli appetiti e alle esigenze di visibilità della più inguardabile classe politica dell’Occidente.

In questo “tutto il resto” c’è anche la gestione della pandemia, che prosegue senza alcuna discontinuità nel solco criminale del governo Conte: “convivere con il virus”, decretando qualche lockdown temporaneo, ma senza campagna di tracciamenti di massa; qualche restrizione per alcune categorie commerciali, ma nessun limite per le attività industriali; e soprattutto nessuna iniziativa autonoma per produrre i vaccini, le cui forniture vengono sempre più spesso tagliate dalle varie multinazionali (Pfizer, Moderna, AstraZeneca), in violazione dei contratti firmati con l’Unione Europea.

I “due governi in uno” conoscono perfettamente i propri ambiti di amministrazione, e i partitucoli si assumono con entusiasmo il compito di occupare la scena mediatica con polemicuzze da due soldi. Pensano come sempre al “dopo”, quando dovranno presentarsi agli elettori con un carico di responsabilità identico per le decisioni sottoscritte tutti insieme, ma marcando una qualche differenza che proveranno a presentare come “decisiva”.

Ma intanto il “governo vero” – Mario Draghi e suoi uomini di fiducia nei ministeri-chiave – procedono, senza troppi riguardi per le norme costituzionali o, almeno, per le “convenzioni” rispettate in 75 anni di Repubblica nata dalla Resistenza.

Un primo allarme, due giorni fa, è stato lanciato da Angelo De Mattia, con un articolo su Milano Finanza. Il caso riguarda la nomina del nuovo Direttore della Banca d’Italia, visto che c’è da sostituire Daniele Franco, appena nominato ministro dell’economia.

“Sarà la prima volta in assoluto che l’attivazione dell’iter di approvazione, il quale termina con il decreto del Presidente della Repubblica, è promossa da due ex di Bankitalia, ai massimi livelli, il presidente del Consiglio Mario Draghi (ex governatore, ndr) e il ministro dell’economia Daniele Franco, che dovranno sottoporre al consiglio dei ministri per il prescritto parere le nomine”.

Il punto è decisamente delicato, perché a decidere la successione in Bankitalia (organo tecnico) non saranno dei “politici”, ma due ex altissimi funzionari di quell’organo tecnico medesimo.

Dice ancora De Mattia: “quanto ai rapporti che si stabiliranno tra governo (e in specie tra presidenza del consiglio e Tesoro) e Banca d’Italia, quest’ultima anche come parte del sistema di banche centrali, l’osservanza della netta distinzione e della reciproca indipendenza è fondamentale”.

Se tutti i protagonisti del rapporto (governo e Bankitalia) vengono dallo stesso giro (Bankitalia) qualche legittimo sospetto sulla “indipendenza” di quest’ultima può venire. Non solo ai bastian contrari come noi, ma persino – forse – ai partner europei.

“La collaborazione (tra diversi organi, ndr) è un dovere istituzionale. Ma ciò esclude eventuali commistioni o ‘porte girevoli’ ovvero una ‘visione allargata’ delle attribuzioni del potere esecutivo”. E invece proprio queste “porte girevoli” sono in azione sotto gli occhi di tutti.

Sul punto c’è da aggiungere due cose. Noi non siamo tra i sostenitori dell’indipendenza della banca centrale rispetto al governo di un Paese (c’è in effetti solo all’interno dell’Unione Europea, ma non negli Usa o in Gran Bretagna, né tantomeno in Cina), perché questa separazione – che fa data qui da noi dal 1981 – consegna l’emissione di titoli di stato, e dunque la dinamica del debito pubblico, ai capricci speculativi dei mercati finanziari.

Ma se c’è un quadro di regole istituzionali – “l’indipendenza per la Banca è l’adempimento allo specifico obbligo del Trattato Ue che, per l’Italia, ha il rango di norma costituzionale” – non possono essere proprio gli organi dello Stato a violarle...

L’aspetto paradossale è però in agguato: avendo propri uomini alla guida sia di se stessa sia del governo sembrerebbe che la Banca d’Italia sia ancora più “indipendente” dal potere politico. Lo è così tanto da sostituirlo, in effetti...

Ma non può essere taciuto il fatto che Bankitalia, allo stesso tempo, è una filiale nazionale della Banca Centrale Europea. Dunque, la catena delle matrioske del potere si allinea in questo modo: a) il governo italiano è in mano a uomini della Banca d’Italia, b) ma la Banca d'Italia dipende gerarchimente dalla Bce, c) ergo, il “governo vero” italiano è in mano alla Bce (al suo ex presidente, addirittura).

In secondo luogo, non è affatto secondario sapere che Angelo De Mattia non è un semplice giornalista, ma è stato a sua volta direttore centrale della Banca d’Italia. Uno che ha ricoperto il ruolo di Daniele Franco e conosce dunque benissimo i limiti istituzionali entro cui dovrebbe essere agita quella funzione.

Si potrebbe pensare che si tratta di una “sgrammaticatura” sfuggita a Mario Draghi sotto la pressione delle decisioni da prendere, o per carenza di alternative valide (ma non mancano davvero economisti di vaglia in grado di agire sotto la sua guida).

Ma il pensiero passa subito quando, come stamattina, ci si trova di fronte a una forzatura ancora più pesante e gravida di conseguenze: la nomina di Franco Gabrielli a sottosegretario con delega ai servizi segreti.

Quel posto – istituzionalmente – sta ad indicare il controllo sui “servizi” da parte dell’autorità politica di governo. O, in altri termini, la supremazia del potere civile su quello militare (i “servizi”, al di là delle qualifiche formali, sono forse il più militarizzato dei corpi dello Stato).

Dunque, logica vuole e consuetudine istituzionale ha sempre voluto, che quel posto fosse assegnato a un “civile”, o meglio ancora a un “politico” incaricato di seguire la scottante materia in nome e per conto del Presidente del Consiglio.

Franco Gabrielli è l’esatto contrario: poliziotto di lunghissimo corso, è stato direttore del Sisde – servizio segreto “interno”, che ha cambiato nome in Aisi proprio sotto la sua direzione – e poi capo della Polizia.

È insomma un “militare” messo a controllare i militari, rovesciando il corretto rapporto costituzionale. E certo non basta a diminuire la “sgrammaticatura” il fatto che gli appartenenti alla polizia siano rubricati ufficialmente come “civili”, diversamente – per esempio – da Carabinieri e Guardia di Finanza.

Due punti fanno una linea, sia in geometria che in politica.

Mario Draghi sta disegnando un’altra Italia. Ma non è per nulla “democratica”. Né nel “programma di riforme”, né sul piano della prassi costituzionale.

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