Pubblichiamo la versione italiana dell’articolo “Draghi’s Policy will be Schumpeterian Laissez-Faire rather then Keynesian Expansion” pubblicato dal Financial Times il 12 febbraio 2021.
La nuova avventura di Mario Draghi alla guida del governo italiano è stata presentata come un appello al miglior “tecnocrate” per gestire in modo ottimale la “enorme” somma di denaro che deriverà dal Recovery Plan europeo. In questa lieta narrativa tecno-keynesiana, tuttavia, qualcosa potrebbe non funzionare. Nella storia recente dell’Italia, l’avvento dei “tecnocrati” ha sempre coinciso con un’esigenza opposta: indebolire le forze parlamentari per aumentare l’autonomia del governo nella gestione delle poche risorse disponibili nel mezzo di gravi crisi economiche. Fu così durante la crisi valutaria del 1992 con i governi Amato-Ciampi, e anche con la crisi dell’eurozona del 2011 con la premiership di Mario Monti. Il caso di Draghi sarà diverso? Abbiamo dei dubbi. Se esaminiamo i 209 miliardi di euro che il Recovery Plan stanzierà all’Italia per i prossimi sei anni, 127 sono prestiti che prevedono solo un risparmio sullo spread tra tassi di interesse nazionali ed europei: anche con previsioni pessimistiche sui tassi italiani, non più di 4 miliardi all’anno. Per quanto riguarda i restanti 82 miliardi di euro di risorse a fondo perduto, l’importo netto dipenderà dal contributo dell’Italia al bilancio europeo. Considerato che un accordo su rilevanti imposte pan-europee appare improbabile, i paesi membri dovranno contribuire come di consueto in relazione al PIL nazionale, il che implica che l’Italia dovrebbe pagare non meno di 40 miliardi. La sovvenzione europea netta è quindi di soli 42 miliardi, o 7 miliardi all’anno. Infine, se si considera che nella prossima sessione l’Italia contribuirà alla parte restante del bilancio UE per circa 20 miliardi, il trasferimento netto totale scende a meno di 4 miliardi all’anno. In definitiva, l’Italia riceverà quindi molto meno di 10 miliardi all’anno dall’Europa per i prossimi sei anni: una somma molto modesta se paragonata a una crisi che ha distrutto oltre 160 miliardi di PIL solo lo scorso anno, molto più delle passate recessioni. Non è un caso che nel suo recente rapporto per il G30 Draghi abbia esortato i governi a sostenere la “distruzione creatrice” del libero mercato: non certo Keynes, ma una versione “laissez-faire” di Schumpeter. Se lo sforzo di ripresa dell’Ue non aumenterà, la politica di Draghi potrebbe rivelarsi non troppo diversa dall’austerità dei “tecnocrati” che lo hanno preceduto.
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