di Ascanio Celestini
Il primo segretario del PD è Valter Veltroni.
Alle prime elezioni che si trova davanti decide lo strappo con la cosiddetta sinistra radicale. Ma è uno strappo nazionale in contraddizione con le romane (in quei giorni amministrava Roma). Così per la capitale si corre tutti insieme, cercando il consenso anche dei centri sociali.
Gli elettori di sinistra non afferrano il significato di questa dissociazione, ma quelli di destra capiscono benissimo.
Il PD lascia il governo nazionale a Berlusconi e quello romano ad Alemanno. Siamo nell’aprile del 2008 e perde su tutto il fronte.
Regge fino alla batosta che prende in Sardegna (febbraio 2009). L’isola abbandona Soru per Forza Italia e Valter si dimette.
Berlusconi commenta dicendo che si è «fatto fuori da solo» e parla di «implosione» nel PD.
I successivi segretari si defilano praticamente tutti.
Tranne Franceschini che fa il ministro in attesa di un grande salto e Orfini che resta come il famoso Moretti di Ecce Bombo, ...mi si nota di più se resto e me ne sto in disparte o se me ne vado? Ma intanto insinua che Zingaretti s’è dimesso per fare il sindaco a Roma.
Epifani e Bersani migrano in LeU, Martina scappa in FAO.
Renzi fonda un partito pirata con un manipolo di guastatori.
Dopo 14 anni anche Zingaretti se ne va sbattendo la porta.
Più o meno come tutti gli altri.
Si vergogna del PD, dice che «Non ci si ascolta più».
Ma a quale periodo si riferisce?
Quand’è che qualcuno nel partito era in ascolto se fu proprio Veltroni a andarsene dicendo «basta farsi del male» e aggiungendo che spesso si era «trovato i bastoni tra le ruote»?
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