Con il Quinto Report pubblicato da ISTAT e ISS viene certificato il dato incontrovertibile e più indicativo della pandemia, troppo spesso trascurato nel dibattito pubblico, nei media e nei luoghi della politica: il totale dei decessi del 2020 è stato il più alto mai registrato nel nostro Paese dal secondo dopoguerra.
746.146 decessi totali, 100.526 decessi in più rispetto alla media 2015-2019, numeri che ovviamente intaccheranno la posizione dell’Italia che fino ad oggi veniva considerata fra i paesi con più alta speranza di vita al mondo.
Centomila morti. Questa la cifra che paghiamo dopo un anno di epidemia.
Ma i dati non dicono solo questo. Il Nord del Paese, colpito pesantemente all’inizio dell’epidemia, non ha imparato la lezione e ha subito una ininterrotta epidemia di vasta scala in cui le cosiddette “ondate”, tanto care ai telegiornali, sono solamente i picchi dell’infezione che è sempre stata circolante, sempre presente, sempre mortale.
È ormai evidente a tutti che i numeri riportati dalla Sorveglianza sono affetti da tutta una serie di distorsioni, in particolare il fatto che dipendono dalle regioni e in un sistema sanitario così parcellizzato chi è in grado di controllarle? Invece, il dato della mortalità, essendo regolato da un rigido obbligo di legge, impone di certificare i decessi allo stesso modo in tutto il Paese ed è da quella conta che derivano certezze.
Per tutto l’anno la Lombardia mantiene il primato del maggior numero di decessi registrati nel 2020 (il 18% dei decessi totali) e complessivamente il Nord registra un numero di decessi altissimi. E questo è solo in parte spiegabile con la popolosità della Lombardia e delle altre regioni interessate, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna, che hanno registrato eccessi spaventosi rispetto agli anni precedenti.
Il report sfata anche un altro mito mediatico. Se la fascia di età più colpita resta quella degli ultra 80enni (con un eccesso di mortalità del 29% rispetto agli anni precedenti), il report mostra con chiarezza come vi sia eccesso di mortalità anche nella fascia di età 50-64 (14%) e 65-79 (19%), coinvolgendo più gli uomini che le donne.
E allora da questi dati viene spontanea la domanda: non sarà che il motore produttivo del Paese non si è voluto fermare di fronte allo scenario pandemico mondiale e ha sacrificato i lavoratori e le loro famiglie in nome della continuazione del profitto? Scelta che, peraltro, non ha funzionato granché visto che il dato riguardante il PIL per il 2020 ci dice che l’Italia ha registrato un calo dell’8,8% rispetto al 2019.
La realtà che si è resa drammaticamente evidente è l’impossibilità di conciliare la difesa del profitto con la riduzione delle vittime. A nulla è servito l’articolato sistema dei colori messo in atto col DPCM del 3 novembre: anche nella seconda ondata più della metà dei casi si è concentrata al Nord, con Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte a pagare il costo più alto in vite umane.
Particolarmente interessante il confronto con l’Europa che ci vede nettamente in perdita nella strategia di contenimento della pandemia e di tutti i suoi correlati. I dati ci collocano tra i paesi che hanno gestito peggio la situazione dal punto di vista economico e avuto più morti.
L’Italia secondo i dati pubblicati da Eurostat e aggiornati da Istat è tra i Paesi col maggior eccesso di mortalità, peggio di noi la Spagna, il Belgio, la Polonia e La Slovenia, ma il Report ci dice di più. Infatti risulta chiaro che non è esaustiva la motivazione che la nostra popolazione è più “anziana”.
La Germania ha una percentuale di anziani abbastanza simile a noi, ma ha un terzo dell’eccesso di mortalità italiano! Cosa ci ha diversificato dalla grande Germania? Il sistema sanitario fatto a pezzi dal susseguirsi dei piani di rientro e dei tagli draconiani che ci ha imposto l’UE, l’incapacità della politica di dare risposte chiare, centralizzate e di imporre una politica unica in tutte le regioni, ma anche l’ostinazione di mantenere aperte le attività produttive in una situazione di inadeguatezza delle norme di sicurezza presenti nei nostri posti di lavoro e nelle nostre fabbriche.
Insomma, c’è materia per esser molto preoccupati anche perché nulla è stato fatto per invertire questa tendenza e nulla farà il Super-Mario nazionale, il cui compito non è davvero salvaguardare la salute della popolazione, ma tutelare il profitto, oltre che preparare il Paese alla gestione dei fondi del Recovery Fund, indispensabili per Confindustria, e organizzare il piano di rientro attraverso le “Grandi Riforme” che ci chiedeva già nella famosa lettera Trichet-Draghi del 5 agosto 2011.
Siamo sempre di più dentro la più grande crisi di sostenibilità del sistema capitalista, che sta provocando un numero di vittime senza eguali nel dopoguerra. In quest’ottica la battaglia sulla nazionalizzazione dei brevetti e della produzione vaccinale diventa centrale così come l’utilizzo di strumenti epidemiologici consolidati, lockdown reale e immediato, per contrastare la diffusione del Sars-Cov-2.
Altrimenti c’è il rischio estremamente concreto che tra un anno, o forse anche meno, saremo di nuovo qui a contare 200 mila e più morti.
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