La competizione internazionale tra blocchi si fa ogni giorno sempre più accesa
Usa, Unione Europea e Cina sono di fronte ad un passaggio che le obbliga a decisioni epocali rispetto al livello di interconnettività conosciuto durante i trent’anni della globalizzazione neo-liberista.
Fino a quando persisteva un rapporto di scambio ineguale profittevole tra le prime due e la Repubblica Popolare, il gioco ha retto; ma, risalendo progressivamente la catena del valore delle merci prodotte, la Cina è diventata un competitore mondiale a tutti gli effetti in grado di fare le scarpe in alcuni settori sia agli Stati Uniti che alla UE, e quindi un antagonista tout court.
Se Pechino sta divenendo un attore di peso anche nel campo finanziario ed una potenza militare in grado di esercitare una diplomazia assertiva, lo può fare grazie ad un solido sistema economico pianificato ed allo sviluppo di settori strategici prevalentemente in mano pubblica – pensati all’interno di questo processo di pianificazione – per quello che sarà il futuro ciclo di accumulazione post-pandemico: dall’intelligenza artificiale alla mobilità elettrica, dalle energie rinnovabili all’agricoltura.
Gli USA come l’UE stanno correndo ai ripari
L’amministrazione Biden, “richiederà una revisione delle catene di approvvigionamento che presentano delle criticità per ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina e da altri rivali per qualunque prodotto, dalle terre rare ai principi attivi dei farmaci fino ai semiconduttori”, recita l’introduzione dell’articolo che abbiamo tradotto.
Vediamo come gli USA intendono muoversi rispetto a due settori strategici, per altro interconnessi, come l’Intelligenza Artificiale e le “materie rare”.
Dopo due anni di studi, la Commissione nazionale della Sicurezza sull’Intelligenza Artificiale statunitense, suggerisce di costruire una “base domestica resiliente” per la progettazione e la costruzione dei semiconduttori, sganciandosi progressivamente da Taiwan che potrebbe, tra l’altro, tornare ad essere parte della Cina continentale.
Nel rapporto di 756 pagine la Commissione non usa mezzi termini e parla di “momento di vulnerabilità strategica”, visto che la Cina investe in tecnologie avanzate. Questo pericolo naturalmente ha delle ripercussioni sul settore militare.
Il rapporto – citato dal Financial Times – afferma che: «La Cina è già alla pari nell’intelligenza artificiale, ed è più tecnicamente avanzata in alcune applicazioni. Nel prossimo decennio, la Cina potrebbe sorpassare gli Stati Uniti come maggiore potenza dell’Intelligenza artificiale».
Un monito esplicito inteso ad aumentare la spesa dello Stato in ricerca e formazione, considerato per esempio che gli studenti iscritti a programmi di dottorato in intelligenza artificiale sono gli stessi negli ultimi trent’anni.
Non c’è stata una progressione nella capacità di coltivare talenti, sufficienti un tempo quando il gap tra gli USA ed il mondo in questo campo sembrava incolmabile, ma ora scarsi.
Per rendere evidente a tutti che l’espressione "guerra fredda di nuovo tipo" non è una iperbole retorica, la Commissione suggerisce alla Casa Bianca la creazione di un “Consiglio di Competizione Tecnologica” (Technology Competitiveness Council) che richiama chiaramente il Nation Security Council creato dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Prendiamo in considerazione un altro settore, quello delle “terre rare”
Recentemente tre aziende nord-americane hanno cominciato a configurare una catena di approvvigionamento per questi metalli vitali nella produzione di armi, veicoli elettrici e tecnologia avanzata.
La canadese Neo Performance Materials e la statunitense Energy Fuels hanno scoperto un modo efficiente per la produzione sicura dalle sabbie radioattive di monazite, un prodotto collaterale dell’estrazione mineraria di Zircone, Uranio e altri materiali, che verrà fornita dall’azienda chimica Chemours negli Stati Uniti.
La Cina controlla ben l’80% della catena di forniture di “materie rare”, e sta esplorando la possibilità di limitarne l’export.
Jet da caccia come gli F-35 dipendono pesantemente dalle “materie rare”, per intenderci. Un rapporto del Congresso riporta che una areo della Lockheed Martin contiene 417 kg di materiali prodotti con questa tipologia di minerali, mentre un sottomarino nucleare ne contiene più di 4 tonnellate.
È chiaro che un eventuale stretta dell’export cinese sarebbe un disastro per il complesso militar-industriale statunitense ed europeo, così come per gli altri settori di punta.
Questo per dare una idea di che tipo di partita si gioca nel processo di sganciamento – decoupling in inglese – e di ri-internalizzazione – reshoring – delle catene del valore.
Legato a questo sta il fatto che se l’economia USA non si riconfigura attorno ad alcuni settori core, la finanza statunitense rischia di essere ancora maggiormente un castello di carta e di poter perdere in prospettiva l’attrattività a discapito di altre piazze borsistiche, come quelle cinesi o quelle europea post-brexit. Il dollaro potrebbe perdere la sua “rendita di posizione” egemonica.
Agganciare valuta e finanza ad una economia più solida e competitiva è un passo obbligato, quindi, senza dismettere la propria macchina bellica, e per riprodurre il potere delle oligarchie economico-finanziarie stesse che governano il mercato.
In tutto questo, lo stimolo economico dato dallo Stato assume un peso preponderante nella competizione internazionale, come dimostra il pacchetto da 1900 miliardi di dollari passato alla Camera Bassa sabato scorso negli Usa e che dovrebbe essere approvato entro la metà di marzo al Senato, senza che nelle misure previste sia stato incluso l’incremento del “salario minimo” a 15 dollari, dai poco più di 7 attuali.
Completa il quadro quelli che saranno i futuri investimenti nelle infrastrutture, che potrebbero far impallidire l’ordine di grandezza di questa storica misura, considerato che The American Society of Civil Engineerings ha dato una valutazione piuttosto negativa del sistema infrastrutturale, quantificando a più di 2000 miliardi di dollari il gap tra le spese preventivate e i reali bisogni che l’amministrazione dovrebbe affrontare nel prossimo decennio.
La pandemia ha reso evidente i vari punti di criticità della rete digitale nord-americana, e la recente crisi climatica in Texas ha reso evidenti le disfunzioni nell’erogazione di energia proprio in uno Stato che ne è uno dei maggiori produttori al mondo.
Come riporta il New York Times: «gruppi economici e molti Repubblicani hanno espresso il desiderio di lavorare con l’amministrazione per approvare un piano da mille miliardi o più in spese per le infrastrutture. Le aree dell’accordo con i progressisti includono le spese in autostrade, ponti, banda larga rurale, acqua e impianti fognari».
È chiaro che il compimento della transizione politica negli USA, con Trump che comunque è pronto a lanciare la sfida per le prossime elezioni presidenziali, ha significato un punto di svolta per il rilancio del proprio progetto egemonico.
Bombardare la Siria, non aumentare il “salario minimo”, e sottrarre i vaccini agli altri Paesi dando priorità a sé sono tre aspetti del progetto statunitense. Alla fine è il tentativo di sostenere ancora una volta l’american way of life...
Buona lettura.
Usa, Unione Europea e Cina sono di fronte ad un passaggio che le obbliga a decisioni epocali rispetto al livello di interconnettività conosciuto durante i trent’anni della globalizzazione neo-liberista.
Fino a quando persisteva un rapporto di scambio ineguale profittevole tra le prime due e la Repubblica Popolare, il gioco ha retto; ma, risalendo progressivamente la catena del valore delle merci prodotte, la Cina è diventata un competitore mondiale a tutti gli effetti in grado di fare le scarpe in alcuni settori sia agli Stati Uniti che alla UE, e quindi un antagonista tout court.
Se Pechino sta divenendo un attore di peso anche nel campo finanziario ed una potenza militare in grado di esercitare una diplomazia assertiva, lo può fare grazie ad un solido sistema economico pianificato ed allo sviluppo di settori strategici prevalentemente in mano pubblica – pensati all’interno di questo processo di pianificazione – per quello che sarà il futuro ciclo di accumulazione post-pandemico: dall’intelligenza artificiale alla mobilità elettrica, dalle energie rinnovabili all’agricoltura.
Gli USA come l’UE stanno correndo ai ripari
L’amministrazione Biden, “richiederà una revisione delle catene di approvvigionamento che presentano delle criticità per ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina e da altri rivali per qualunque prodotto, dalle terre rare ai principi attivi dei farmaci fino ai semiconduttori”, recita l’introduzione dell’articolo che abbiamo tradotto.
Vediamo come gli USA intendono muoversi rispetto a due settori strategici, per altro interconnessi, come l’Intelligenza Artificiale e le “materie rare”.
Dopo due anni di studi, la Commissione nazionale della Sicurezza sull’Intelligenza Artificiale statunitense, suggerisce di costruire una “base domestica resiliente” per la progettazione e la costruzione dei semiconduttori, sganciandosi progressivamente da Taiwan che potrebbe, tra l’altro, tornare ad essere parte della Cina continentale.
Nel rapporto di 756 pagine la Commissione non usa mezzi termini e parla di “momento di vulnerabilità strategica”, visto che la Cina investe in tecnologie avanzate. Questo pericolo naturalmente ha delle ripercussioni sul settore militare.
Il rapporto – citato dal Financial Times – afferma che: «La Cina è già alla pari nell’intelligenza artificiale, ed è più tecnicamente avanzata in alcune applicazioni. Nel prossimo decennio, la Cina potrebbe sorpassare gli Stati Uniti come maggiore potenza dell’Intelligenza artificiale».
Un monito esplicito inteso ad aumentare la spesa dello Stato in ricerca e formazione, considerato per esempio che gli studenti iscritti a programmi di dottorato in intelligenza artificiale sono gli stessi negli ultimi trent’anni.
Non c’è stata una progressione nella capacità di coltivare talenti, sufficienti un tempo quando il gap tra gli USA ed il mondo in questo campo sembrava incolmabile, ma ora scarsi.
Per rendere evidente a tutti che l’espressione "guerra fredda di nuovo tipo" non è una iperbole retorica, la Commissione suggerisce alla Casa Bianca la creazione di un “Consiglio di Competizione Tecnologica” (Technology Competitiveness Council) che richiama chiaramente il Nation Security Council creato dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Prendiamo in considerazione un altro settore, quello delle “terre rare”
Recentemente tre aziende nord-americane hanno cominciato a configurare una catena di approvvigionamento per questi metalli vitali nella produzione di armi, veicoli elettrici e tecnologia avanzata.
La canadese Neo Performance Materials e la statunitense Energy Fuels hanno scoperto un modo efficiente per la produzione sicura dalle sabbie radioattive di monazite, un prodotto collaterale dell’estrazione mineraria di Zircone, Uranio e altri materiali, che verrà fornita dall’azienda chimica Chemours negli Stati Uniti.
La Cina controlla ben l’80% della catena di forniture di “materie rare”, e sta esplorando la possibilità di limitarne l’export.
Jet da caccia come gli F-35 dipendono pesantemente dalle “materie rare”, per intenderci. Un rapporto del Congresso riporta che una areo della Lockheed Martin contiene 417 kg di materiali prodotti con questa tipologia di minerali, mentre un sottomarino nucleare ne contiene più di 4 tonnellate.
È chiaro che un eventuale stretta dell’export cinese sarebbe un disastro per il complesso militar-industriale statunitense ed europeo, così come per gli altri settori di punta.
Questo per dare una idea di che tipo di partita si gioca nel processo di sganciamento – decoupling in inglese – e di ri-internalizzazione – reshoring – delle catene del valore.
Legato a questo sta il fatto che se l’economia USA non si riconfigura attorno ad alcuni settori core, la finanza statunitense rischia di essere ancora maggiormente un castello di carta e di poter perdere in prospettiva l’attrattività a discapito di altre piazze borsistiche, come quelle cinesi o quelle europea post-brexit. Il dollaro potrebbe perdere la sua “rendita di posizione” egemonica.
Agganciare valuta e finanza ad una economia più solida e competitiva è un passo obbligato, quindi, senza dismettere la propria macchina bellica, e per riprodurre il potere delle oligarchie economico-finanziarie stesse che governano il mercato.
In tutto questo, lo stimolo economico dato dallo Stato assume un peso preponderante nella competizione internazionale, come dimostra il pacchetto da 1900 miliardi di dollari passato alla Camera Bassa sabato scorso negli Usa e che dovrebbe essere approvato entro la metà di marzo al Senato, senza che nelle misure previste sia stato incluso l’incremento del “salario minimo” a 15 dollari, dai poco più di 7 attuali.
Completa il quadro quelli che saranno i futuri investimenti nelle infrastrutture, che potrebbero far impallidire l’ordine di grandezza di questa storica misura, considerato che The American Society of Civil Engineerings ha dato una valutazione piuttosto negativa del sistema infrastrutturale, quantificando a più di 2000 miliardi di dollari il gap tra le spese preventivate e i reali bisogni che l’amministrazione dovrebbe affrontare nel prossimo decennio.
La pandemia ha reso evidente i vari punti di criticità della rete digitale nord-americana, e la recente crisi climatica in Texas ha reso evidenti le disfunzioni nell’erogazione di energia proprio in uno Stato che ne è uno dei maggiori produttori al mondo.
Come riporta il New York Times: «gruppi economici e molti Repubblicani hanno espresso il desiderio di lavorare con l’amministrazione per approvare un piano da mille miliardi o più in spese per le infrastrutture. Le aree dell’accordo con i progressisti includono le spese in autostrade, ponti, banda larga rurale, acqua e impianti fognari».
È chiaro che il compimento della transizione politica negli USA, con Trump che comunque è pronto a lanciare la sfida per le prossime elezioni presidenziali, ha significato un punto di svolta per il rilancio del proprio progetto egemonico.
Bombardare la Siria, non aumentare il “salario minimo”, e sottrarre i vaccini agli altri Paesi dando priorità a sé sono tre aspetti del progetto statunitense. Alla fine è il tentativo di sostenere ancora una volta l’american way of life...
Buona lettura.
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Joe Biden chiede una revisione delle catene di approvvigionamento estere critiche
Joe Biden chiede una revisione delle catene di approvvigionamento estere critiche
Joe Biden richiederà una revisione delle catene di approvvigionamento che presentano delle criticità per ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina e da altri rivali per qualunque prodotto, dalle terre rare ai principi attivi dei farmaci fino ai semiconduttori.
Il presidente degli Stati Uniti ha firmato mercoledì un ordine esecutivo che richiede alle agenzie federali di tenere sotto controllo per 100 giorni le catene di approvvigionamento per i semiconduttori, i prodotti farmaceutici, batterie per veicoli elettrici e minerali critici utilizzati nella produzione di prodotti come automobili e armi.
“Usciremo dal circolo vizioso di reagire alle crisi della catena di approvvigionamento man mano che si presentano e ci impegneremo a prevenire futuri problemi” ha affermato Peter Harrell, direttore senior dell’NSC per l’economia internazionale.
Il Financial Times questo mese ha riferito che Biden si è preparato a emettere l’ordine. Durante la campagna presidenziale, si è impegnato a ridurre il tipo di shock della catena di approvvigionamento emersi all’inizio della pandemia a causa della mancanza di mascherine e dispositivi di protezione per gli operatori sanitari.
Mentre firmava l’ordine esecutivo, Biden ha affermato che la carenza di equipaggiamento protettivo per gli operatori sanitari americani “non sarebbe mai dovuta accadere”.
“Non dovremmo fare affidamento su un paese straniero, soprattutto uno che non condivide i nostri interessi o i nostri valori”, ha aggiunto Biden.
L’ordine richiederà anche controlli separati di un anno per sei settori, tra cui difesa, salute pubblica, biotecnologie, IT, trasporti, energia e produzione alimentare.
Un alto funzionario ha detto che “non stava puntando il dito contro alcun paese” ma avrebbe esaminato in che casi gli Stati Uniti sono “eccessivamente dipendenti” da un rivale, compresa la Cina.
“Stiamo esaminando i rischi posti dalla dipendenza dalle nazioni concorrenti”, ha detto il funzionario, citando per esempio il caso della Cina per le terre rare.
Nel governo degli Stati Uniti, le agenzie dovranno valutare sia gli appalti federali che le catene di approvvigionamento commerciale per prodotti e settori che rientrano nella loro giurisdizione.
Un critico dell’approccio ha affermato che la nuova amministrazione dovrebbe muoversi più rapidamente per affrontare le vulnerabilità della catena di approvvigionamento basandosi su studi condotti durante l’amministrazione Trump.
“La Cina si sta muovendo velocemente e il team di Biden non può permettersi il lusso di studiare da sei mesi a un anno prima di mettersi al lavoro“.
Ashley Craig, avvocato d’affari e partner di Venable, ha detto che il team di Biden si sta impegnando in un “attento atto di bilanciamento” perché vuole affrontare le vulnerabilità della catena di approvvigionamento ma “non vuole allarmare i partner commerciali che stanno lentamente scongelandosi” dopo l’approccio “America first” di Donald Trump.
La mossa arriva mentre la Casa Bianca si affretta ad affrontare una carenza di semiconduttori per l’industria automobilistica dopo che diversi stabilimenti statunitensi, compresi quelli gestiti da Ford e General Motors, sono stati costretti a interrompere temporaneamente la produzione.
Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, e Brian Deese, capo del Consiglio economico nazionale della Casa Bianca, hanno lavorato con l’industria automobilistica e gli alleati degli Stati Uniti per cercare di identificare i colli di bottiglia nella catena di approvvigionamento.
“Ci stiamo impegnando attivamente con i produttori per assicurarci che l’industria automobilistica abbia tutti i chip di cui ha bisogno“, ha detto il funzionario. “Ci siamo anche impegnati con paesi stranieri e società straniere al fine di incoraggiare una maggiore produzione in tutto il mondo“.
Ma il funzionario ha aggiunto che non esiste una “bacchetta magica per risolvere i problemi a breve termine“, il che ha sottolineato la necessità di rivedere le catene di approvvigionamento.
L’industria dei semiconduttori statunitense ha utilizzato la carenza di chip per fare pressioni per ottenere finanziamenti governativi per la produzione interna di essi, che a suo avviso è fondamentale per garantire le catene di approvvigionamento e mantenere un vantaggio sulla Cina.
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