di Marco Santopadre
Bassem Awadallah, ex capo della Corte reale ed ex ministro della Pianificazione Economica della Giordania, e Sharif Hassan bin Zaid, membro della famiglia reale ed ex inviato del sovrano in Arabia Saudita, sono stati condannati lunedì rispettivamente a 15 anni e a 1 anno di carcere per il presunto complotto mirante a realizzare un colpo di stato contro il re Abdallah che avrebbe coinvolto il principe Hamza bin Hussein, fratellastro dello stesso sovrano.
I due si erano dichiarati innocenti di fronte al Tribunale per la sicurezza dello Stato ma la corte ha confermato le prove a sostegno dell’accusa di sedizione e cospirazione. Secondo l’emittente televisiva giordana Al Mamlaka, Awadallah, che ha anche il passaporto statunitense, è stato condannato ai lavori forzati, mentre Bin Zaid dovrà pagare una multa di 1.000 dinari (circa 1200 euro) ed è stato condannato anche per possesso di droga.
Anche se non è stata applicata la pena massima richiesta dall’accusa – 30 anni di reclusione – l’avvocato di Awadallah, Michael Sullivan, ha annunciato che farà appello contro il verdetto davanti alla Corte di Cassazione o alla Corte Suprema. Il legale ha parlato di un “processo ingiusto” denunciando che il suo assistito, durante la custodia, sarebbe stato picchiato e sottoposto all’elettroshock per estorcergli una confessione; inoltre la corte ha anche rifiutato la richiesta della difesa di far deporre dei testimoni a discarico.
I due imputati erano stati arrestati lo scorso aprile insieme ad altre 16 persone, che sono state successivamente rilasciate. Inizialmente il principe Hamza aveva diffuso un audiomessaggio nel quale accusava il governo di corruzione, avallando di fatto la ribellione; poi – dopo una mediazione dello zio del re Abdallah, il principe Hassan bin Talal – l’ex erede al trono aveva registrato un videomessaggio nel quale negava ogni suo coinvolgimento nel golpe e faceva esplicito atto di obbedienza nei confronti del sovrano.
Per non rendere troppo evidente la spaccatura nella famiglia reale, Hamza non è stato quindi arrestato e in seguito la monarchia ha affermato di aver risolto le controversie con l’ex erede al trono. In occasione del centenario della Giordania, l’11 aprile, re Abdallah II è apparso insieme al principe Hamza ad un evento pubblico. Attualmente, tuttavia, la sua condizione resta sconosciuta e di lui non si hanno più notizie.
Secondo indiscrezioni, colui che avrebbe dovuto sostituire sul trono il re Abdallah – d’altronde così aveva deciso in punto di morte re Hussein prima che l’attuale sovrano lo privasse del titolo – sarebbe costretto a un regime di isolamento agli arresti domiciliari.
Secondo le carte processuali pubblicate domenica dai media pubblici giordani, nei mesi scorsi Hamza avrebbe incaricato Awadallah e bin Zaid di sondare la disponibilità delle potenze occidentali e dell’Arabia Saudita a sostenere una sua eventuale ascesa al trono al posto dell’attuale sovrano. Contemporaneamente, Awadallah e alcuni funzionari avrebbero incontrato numerosi capi tribali giordani scontenti nei confronti dell’attuale governo per chiedere appoggio.
Nella trama, Riad avrebbe avuto un ruolo centrale e del resto con la corte saudita Awadallah intratteneva rapporti strettissimi dopo esser diventato consigliere economico del principe ereditario saudita e uomo forte del regime wahabita Mohammed bin Salman, mentre bin Zaid era stato ambasciatore di Amman proprio a Riad. Quando Awadallah fu arrestato, il 3 aprile, con l’accusa di aver ordito un progetto di golpe, il ministro degli Esteri saudita Faisal bin Farhad si precipitò ad Amman per chiederne la liberazione.
Secondo i documenti e le fonti citate da David Ignatius sul quotidiano statunitense Washington Post, dopo aver espresso la sua opposizione all’Accordo di Abramo che ha aperto la strada alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e le petromonarchie, re Abdallah è entrato nel mirino dell’amministrazione Trump e in particolare dell’ideatore della nuova architettura di alleanze mediorientale, il genero del presidente Jared Kushner, così come della casa reale saudita.
Insomma, dietro lo sventato tentativo di golpe – resta da capire quanto consistente – ci sarebbero stati non solo i Saud ma anche l’amministrazione Trump, che avrebbero deciso di destabilizzare la Giordania considerandola un ostacolo alla normalizzazione dei rapporti tra l’Arabia Saudita e Israele dopo il rifiuto di Amman di rinunciare alla “custodia” dei luoghi santi di Gerusalemme, da sempre fonte significativa di legittimità religiosa e politica per la monarchia hashemita sia all’interno sia a livello internazionale.
Dopo la sconfitta di Donald Trump e l’arresto di Awadallah e bin Zaid, le pressioni su Amman sarebbero notevolmente diminuite. Il presidente Joe Biden sembra avere un atteggiamento più cauto nei confronti della posizione della monarchia hashemita, e re Abdallah si recherà presto a Washington, primo capo di stato mediorientale ad essere ricevuto dal nuovo inquilino della Casa Bianca.
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