Più di tre anni dopo la detenzione di Jordi Cuixart (Òmnium Cultural), Jordi Sánchez (Assemblea Nacional Catalana), Oriol Junqueras (Esquerra Republicana de Catalunya) e degli altri protagonisti della stagione che portò il movimento indipendentista ad organizzare il referendum del primo ottobre, il governo del PSOE e Unidas Podemos si è deciso a concedere l’indulto, una misura ad personam che non estingue il reato e che giustifica la concessione della libertà con motivazioni individuali (e protette dal segreto) per ciascuno dei nove detenuti interessati dal provvedimento.
La misura di grazia studiata dal governo presenta però due caratteristiche comuni a tutti gli ex-prigionieri. L’indulto socialista è parziale, perché mantiene l’interdizione dai pubblici uffici e impedisce così che i nove si possano presentare ad una competizione elettorale.
Non solo, l’indulto è revocabile, perché condiziona la libertà al fatto di non commettere un reato “grave” nei prossimi anni, un requisito che converte il provvedimento in poco più di un permesso dal carcere.
Secondo l’ultima stima di Òmnium sono circa 3.300 gli indagati per fatti legati alla rivendicazione della repubblica catalana, vittime di una ondata repressiva che il presidente del governo Pedro Sánchez ha cercato di nascondere accompagnando l’indulto con dichiarazioni piene di riferimenti alla concordia.
Più che una soluzione politica al tema catalano però, l’indulto del PSOE sembra un tentativo di ripulire l’immagine della Spagna macchiata da vicende diverse ma complementari, quali l’intervento della polizia nei seggi del primo ottobre e la carcerazione del rapper comunista Pablo Hasél.
Disinnescata con la repressione la mobilitazione per la repubblica, lo stato spagnolo può permettersi il lusso di indultare i prigionieri ribadendo contemporaneamente il netto rifiuto all’autodeterminazione del popolo catalano, la cui lotta continua ad essere misurata con il metro franchista della “sedizione e ribellione” (reati che permangono nell’ordinamento giuridico spagnolo).
Non a caso l’amnistia non è mai stata presa in considerazione dal governo socialista, che continua a ritenere colpevoli gli organizzatori del referendum d’autodeterminazione.
Con l’indulto e l’aiuto della stampa mainstream, Sánchez ottiene il massimo risultato (soprattutto davanti all’opinione pubblica europea) con il minimo sforzo, complice anche la virata tattica della direzione di ERC, che ha lentamente abbandonato la cosiddetta “via unilaterale all’indipendenza” per l’opzione del dialogo con lo stato, accreditando così il maquillage democratico del PSOE.
Una giravolta che neppure lo straordinario risultato delle ultime elezioni alla Camera Autonomica Catalana è riuscito ad impedire e che è culminata nella lettera di Oriol Junqueras al quotidiano catalano Ara, in cui il presidente di ERC ha sostenuto che qualsiasi via all’indipendenza non accordata con lo stato sarebbe impraticabile e addirittura indesiderabile.
La rinuncia al conflitto è stata recentemente esibita anche dal neopresidente della Generalitat, Pere Aragonès, nel corso di due brevi incontri con Pedro Sánchez, il primo svoltosi nella sede di Foment del Treball, l’associazione degli imprenditori catalani, il secondo alla Moncloa, coronati dalla nuova convocazione della “tavola di dialogo” tra il governo spagnolo e quello della Generalitat.
Il tutto all’insegna della normalità e della stabilità auspicate dall’associazione del grande capitale spagnolo, la CEOE, il cui presidente si è mostrato favorevole all’indulto. Per la CEOE l’indulto dovrebbe chiudere la stagione della “follia” indipendentista e rappresentare la pietra tombale sopra la radicale richiesta di democrazia e di cambiamento rappresentata dal movimento per la repubblica catalana.
E le trattative alla tavola di dialogo, la cui seconda riunione è prevista per settembre, sembrano fortemente ipotecate dalle forze unioniste: il governo socialista si è detto infatti disposto a parlare di “tutto” meno che di amnistia, di ritorno degli esiliati e di autodeterminazione (tre punti irrinunciabili per tutti i partiti indipendentisti).
Ciononostante ERC e la Candidatura d’Unitat Popular, con l’assenso implicito di Junts per Catalunya, hanno accordato due anni di tempo per avanzare nelle trattative con lo stato: una scommessa assai rischiosa che sembra spiegarsi con l’intenzione di prendere fiato e alleggerire momentaneamente il carico della repressione.
Una scommessa a favore del dialogo che è stata proposta dalla Generalitat e accettata dalla CUP in cambio di una svolta a sinistra formalizzata nel programma di governo (creazione di una banca pubblica catalana, reddito minimo universale, municipalizzazione dell’acqua, stabilizzazione dei lavoratori interinali del settore pubblico catalano, riforma degli affitti e sospensione degli sgomberi) che rimane tuttavia esposto sia ai prevedibili ricorsi del Tribunale Supremo spagnolo sia ai ritocchi degli alleati di Junts per Catalunya e perciò di difficile realizzazione.
Due anni per la trattativa che in ogni caso la CUP intende riempire di lotte: secondo la deputata dell’esquerra independentista e anticapitalista, Laia Estrada, la CUP non condivide la “strategia della stabilità” targata ERC, né l’idea secondo la quale il conflitto si risolverà con la trattativa.
Secondo la Estrada “indipendentemente da chi lo presieda, il governo spagnolo non permetterà mai un referendum come quello scozzese” e rimane perciò più che mai necessaria la mobilitazione popolare.
Anche sul piano della politica internazionale l’indulto sembra una mossa assai vantaggiosa per il PSOE. La recente relazione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (un organismo integrato da rappresentanti eletti dei singoli stati che si occupa di diritti umani), così come le reiterate prese di posizione di Amnesty International e la relazione di Human Rights Watch del 2020, assai critiche riguardo le pene inflitte ai leader catalani, non vengono sottovalutate nelle stanze del governo, soprattutto per l’influenza che potrebbero avere in sede di giustizia europea.
I socialisti sarebbero preoccupati per i ricorsi presentati dai leader indipendentisti al Tribunale Europeo per i Diritti Umani contro la dura sentenza del Tribunale Supremo. Una preoccupazione corroborata da vari precedenti in cui il Tribunale Europeo ha denunciato le irregolarità di diverse condanne pronunciate dai tribunali spagnoli contro la sinistra abertzale basca.
Ebbene anche nel caso di un ipotetico annullamento del processo ai leader del primo ottobre, che rappresenterebbe una tardiva e ininfluente sconfessione della giustizia spagnola, l’indulto metterebbe il governo del PSOE al riparo da molte delle prevedibili critiche.
Si badi bene, sullo scenario internazionale la Spagna continua a godere di un indiscutibile sostegno generalizzato: scontato l’appoggio di popolari e socialisti, i critici della gestione del referendum del primo ottobre (tra cui i verdi e la sinistra unitaria europea) non hanno finora interpretato il tema catalano come una questione di liberazione nazionale (sia pur nel cuore dell’Europa) e si sono limitati a invocare il rispetto delle minoranze, dei diritti umani e del dialogo.
Come ha recentemente ribadito il deputato della Linke, Andrej Hunko, membro dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, “siamo contro la repressione ma anche contro qualsiasi ipotesi d’indipendenza”. Una posizione equidistante che lascia sostanzialmente mano libera al nazionalismo spagnolo.
Grazie all’indulto e alla tavola di dialogo accordata con i partiti indipendentisti, il PSOE confida di poter arrivare tranquillamente alla fine della legislatura. Sulla giocata di Pedro Sánchez grava però un’incognita proveniente dal ventre profondo dello Stato: il pronunciamento del Tribunale Supremo.
Fedeli al proprio ruolo di sentinelle della Spagna una, grande y libre di sapore franchista, sia alcuni deputati di Ciutadans a titolo personale, sia Vox e il Partido Popular, hanno già presentato ricorso davanti all’alto tribunale per cancellare il provvedimento e riportare i leader catalani in carcere.
Secondo l’ex deputato della CUP Benet Salellas, attuale avvocato di Jordi Cuixart, “con un potere giudiziario così colonizzato dalla destra e dall’ultradestra, è possibile che la reazione alla decisione del governo spagnolo finisca per portare alla revoca dell’indulto. È uno scenario assolutamente contrario alla natura stessa dell’indulto, una misura che non dovrebbe essere soggetta al controllo dei tribunali in virtù del principio della separazione dei poteri, un principio tipico dei contesti di normalità democratica. Ma il problema è che non viviamo in un contesto simile”.
A parte la retorica trionfalistica del PSOE, sia la qualità democratica dello stato spagnolo sia il conflitto catalano sono questioni ancora del tutto aperte.
Una sintesi dell’intervista a Laia Estrada si trova qui, mentre l’intervista a Andrej Hunko si può leggere qui.
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