La storiografia sull’Italia contemporanea, che prosegue nel proprio lavoro di scavo cercando di analizzare le tante pagine poco note della nostra Resistenza, ci consente di conoscerle e approfondirle continuando a fornirci, nel contempo, interessanti spunti di riflessione.
Appare dunque di fondamentale importanza il tentativo – intrapreso da un cospicuo numero di studiosi – di sottoporre a indagine gli aspetti rimasti finora nell’ombra di una vicenda la cui complessità va progressivamente emergendo in tutta la sua vastità e stratificazione.
Quanto mai stimolante si rivela pertanto questa raccolta di saggi che intende ripercorrere qualche profilo biografico dei circa diecimila soldati tedeschi e austriaci che, tra il 1943 e il 1945, scelsero di abbandonare l’esercito del Terzo Reich per unirsi alle formazioni partigiane.
Alcuni dei quali, in seguito, sarebbero morti in combattimento; altri avrebbero invece deciso di restare nel nostro Paese spinti dal desiderio di integrarsi nelle comunità che avevano contribuito a liberare.
Meticolosamente curato da Mirco Carrattieri e Iara Meloni, Partigiani della Wehrmacht. Disertori tedeschi nella Resistenza italiana (Le Piccole Pagine, pp. 359, euro 20), questo volume collettaneo – corredato inoltre da un buon numero di fotografie che ritraggono in particolare i cosiddetti Überläufer o Fahnenflüchtige – si caratterizza tanto per la lucidità dell’indagine quanto per l’originalità dell’ambito che è stato oggetto delle varie disamine.
Va appunto messo in rilievo, al riguardo, come gli autori abbiano concentrato la propria attenzione sulla molteplicità delle situazioni individuali e delle motivazioni che indussero quei militari a optare per la diserzione esponendosi così, per un verso, alle severissime punizioni previste dal codice penale di guerra e mettendosi, per l’altro, nella necessità di convincere i partigiani della sincerità delle proprie intenzioni.
Osserva, nella prefazione al libro, Lutz Klinkhammer: «La decisione di raggiungere le file della Resistenza fu una scelta esistenziale estremamente rischiosa. E, nella maggior parte dei casi, solitaria».
Da Genova all’Oltrepò pavese, dalla Maremma alla Carnia fino alle colline di Sarzana e di Cuneo, tante sono state le zone nelle quali i vari disertori hanno preso parte alla lotta partigiana.
I diversi saggi ne ricostruiscono l’itinerario individuale, determinato certo da convinzioni di ordine religioso, politico, etico ma talvolta dalla casualità, dai rapporti umani, dalle contingenze, dall’opportunismo: contributi che tracciano un quadro estremamente diversificato delle loro vicende, come emerge dalle pagine dedicate ad Alfred Andersch, a Jakob Hoch, a Werner Goll – singolare figura di pastore evangelico e partigiano – a Günter Frielingsdorff, a Heinz Riedt e ad altri ancora.
Quello dei disertori tedeschi passati in seguito nelle file nemiche fu insomma un fenomeno assai sfaccettato del quale Partigiani della Wehrmacht dà conto in maniera esauriente utilizzando una forma narrativa felicemente in bilico tra storia e letteratura.
Alla luce di questo ambito sembra opportuno, in conclusione, fare riferimento agli studi che delineano il profilo dei summenzionati Heinz Riedt e Alfred Andersch: due intellettuali – traduttore e italianista il primo, narratore il secondo – che vivono però la guerra, la diserzione e l’adesione alla Resistenza in maniera pressoché antitetica.
Due esperienze che, tra entusiasmo e delusione, coinvolgimento e disincanto, invitano il lettore ad approfondire un tema tanto complesso.
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