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13/07/2021

Repubblica Centrafricana: la presenza russa va “molto stretta” agli interessi UE

Tra le varie regioni africane in cui la Russia sta cercando, lentamente ma persistentemente, di innestare e portare a maturazione i propri virgulti, sembra che su un’area in particolare si accentri l’attenzione di quei soggetti cui tali innesti vanno un po’ stretti: la Repubblica Centrafricana.

Non che la presenza russa in altre aree (Libia, Ciad, Sudan, Nigeria, Egitto, Algeria, ecc.), sia con colossi economici dei settori energetici, minerari o bancari, sia con compagnie militari private, oppure con forniture di armi, venga trascurata; ma quella nella RCA, soprattutto per la peculiare posizione del paese, viene tenuta costantemente sotto stretta osservazione.

Se il tema della complessiva penetrazione russa in Africa (che non ha nulla a che vedere con la presenza dell’URSS sul Continente e il sostegno, pur anche in diversi casi interessato, ai movimenti di liberazione) richiede una trattazione a parte, ben più ampia, la questione dei rapporti Mosca-Bangui è quella al momento considerata “più immediata” dalle cancellerie UE.

Le agenzie stampa russe rilevano infatti come soprattutto la UE stia esercitando pressioni sempre più forti su Bangui, scontenta della sua cooperazione con Mosca: in predicato, aiuti finanziari per 30 milioni di euro, con la Francia che avrebbe già sospeso il proprio sostegno di 6 milioni di euro.

Il pretesto addotto è quello della presenza di coloro che i media russi chiamano “istruttori” e i media occidentali “mercenari della Compagnia militare privata Wagner”, controllata dal miliardario Evgenij Prigožin.

Ora, prendendo per quello che sono le affermazioni occidentali su presunti crimini degli uomini della “Wagner” contro civili centrafricani, è però difficile pensare che la loro presenza in un paese ricco di diamanti e di oro, su cui sono puntati anche gli occhi, come minimo, di “Alrosa” o “Rusal”, serva solamente ad “addestrare l’esercito governativo” contro le incursioni di “radicali filo-occidentali”.

Può darsi che fosse così nel 2018, quando «grazie all’aiuto russo», come scrive il giornalista centrafricano Ndjoni Sango, ripreso dalla russa IARex, «fu possibile fermare il dilagante banditismo nella repubblica».

Certamente, gli istruttori russi hanno contribuito a liberare l’area di Alindao e di una trentina di cittadine dalle bande della “Unione per la pace nella RCA”, segmento del raggruppamento “Coalizione dei patrioti per il cambiamento”.

Addirittura gli analisti dell’americana “International Foundation for Better Governance” sembrano spendere una parola a favore degli istruttori russi, mentre ritengono che le forze del MINUSCA (United Nations peacekeeping mission in the CAR) operino spesso in combutta con le bande radicali, che ripagano il sostegno con pietre e metalli preziosi.

Rimane d’altro canto abbastanza misteriosa la questione dei tre giornalisti russi – a quanto sembra, a libro paga di Mikhail Khodorkovskij, l’ex magnate della “Jukos” da anni emigrato in Gran Bretagna – assassinati nella RCA nell’estate di tre anni fa: Khodorkovskij avrebbe sponsorizzato un documentario sulla presenza della “Wagner” nel paese.

È comunque difficile credere che, nella disputa euro-atlantica contro la presenza russa, si tratti solo di “priorità nell’addestramento”, del tipo: “gli istruttori europei sono migliori di quelli russi”, e viceversa. Le ricchezze del paese fanno troppo gola sia ovest che a est, per lasciarle all’avversario senza combattere.

E allora, scrive Sango, ecco che Bruxelles proclama che «solo gli istruttori europei dell’EUTM (European Union Training Mission) hanno l’autorità per addestrare l’esercito centrafricano. Se le condizioni verranno soddisfatte, Bangui non sarà privata dell’assistenza finanziaria».

Ma, nonostante tutto, è la Russia che, con Cina e Turchia, sta scalzando diversi vecchi attori tradizionali – Francia in testa – dal Maghreb: a giugno, a fronte di un carico di grano francese respinto al mittente dall’Algeria perché avariato, Mosca è stata prontissima a sostituirlo con 28mila tonnellate di grano russo.

Si tratta, scrive Jonathan Gorvett su Asia Times, di una competizione che non si limita solo al grano, ma comprende anche armi, soldati e influenza politica e che interessa una geografia molto più ampia, che include non solo i paesi del Maghreb strettamente inteso, ma si estende a tutta l’area del Sahel. Dunque Marocco, Algeria, Libia, Tunisia, ma anche Mali, Niger, Ciad, ecc.

Ancora nel 2019, Francia, Italia e Spagna sono stati i primi tre partner commerciali per Algeria, Tunisia e Marocco, mentre più della metà di tutti gli scambi nel Maghreb sono stati effettuati con paesi UE.

Ora, la Turchia, con truppe di terra a Tripoli, è protagonista in Libia, aziende e prodotti turchi campeggiano in Marocco, Algeria e Tunisia, mentre prendono forza partiti locali associati ai Fratelli Musulmani, il movimento islamista sostenuto da Turchia e Qatar contro Egitto, Emirati Arabi e Arabia Saudita.

E se la la Germania annuncia la sospensione del programma di aiuti da 1 miliardo di dollari al Marocco, la Cina interviene prontamente con progetti come il Rabat Sale Bridge da 32,5 milioni di dollari, il più lungo del continente, e con la Grande Moschea di Algeri (1 miliardo di dollari), la più grande in Africa.

Anche se, per ora, la Cina non sembra poter ripetere a nord il “successo avuto nell’Africa subsahariana”, il suo interscambio commerciale con paesi africani supera di 10 volte quello russo: secondo il Servizio doganale russo, nel 2018 era stato di 20,4 miliardi di dollari, contro i 204,2 della Cina, i 275 della UE e i 37 degli Stati Uniti.

Da parte sua, sostiene Gorvett, la Russia evita qualsiasi presenza diretta nella regione, operando attraverso la “Wagner” e presentandosi quale importante fornitore di armi. In Algeria, principale acquirente di armi russe in Africa, Mosca è però saldamente presente con “Gazprom” e “Lukoil”.

In effetti, però, notano Aleksandra Fokina e Ekaterina Pervyševa su lenta.ru, se a conclusione del Forum economico Russia-Africa nel 2019 a Soči, gli organizzatori avevano parlato di contratti per 800 miliardi di rubli, definendo l’evento come “l’inizio dello storico ritorno russo in Africa”, poi le cose sembrano essersi alquanto arenate, al punto che, come ricordava un paio di mesi fa il politologo Vladimir Pavlenko, c’è tutt’oggi incertezza anche sulla progettata base navale russa in Sudan (Khartum avrebbe congelato la ratifica dell’accordo sottoscritto a settembre 2020) “grazie” anche all’intervento di USA, Gran Bretagna e Norvegia e alla concessione di prestiti della Banca Mondiale.

Tornando alla Repubblica Centrafricana, l’Istituto russo Russtrat riporta la notizia dell’incontro tra il Direttore del EUMS (European Union Military Staff) il vice ammiraglio francese Hervé Bléjean e il Presidente della RCA, Faustin-Archange Touadéra.

In una conferenza stampa a Washington, Bléjean ha raccontato di aver tentato di convincere Touadéra a rinunciare ai servigi dei consiglieri militari russi, a favore di quelli occidentali, offrendo in cambio «l’assistenza di ONU, UE e USA», con cui sarebbe «più vantaggioso collaborare».

Secondo Russtrat, dopo che a dicembre 2020 il Ministero degli esteri russo aveva annunciato l’invio di ulteriori 300 istruttori nella RCA, oggi il totale di tali istruttori sarebbe di circa 500 uomini che, secondo l’ambasciatore russo a Bangui, Vladimir Titorenko, «non prendono parte alle ostilità».

In generale, scrive Russtrat, l’Unione europea continua la politica del bastone e della carota nei confronti della Russia. La sezione “Russia” del comunicato finale del vertice UE del 24-25 giugno scorsi, recita che «Per quanto riguarda il rafforzamento della nostra stabilità, il Consiglio europeo sottolinea la necessità di una risposta decisa e coordinata da parte UE e dei suoi Stati membri a qualsiasi ulteriore attività dannosa, illegale e sovversiva della Russia», con «ulteriori misure restrittive, comprese sanzioni economiche», contemporaneamente a una «interazione selettiva con la Russia in aree di interesse per la UE... quali clima e ambiente, salute, politica estera e sicurezza» e temi trasversali «come JCPOA, Siria e Libia».

Insomma, nella competizione per ammantare di buoni propositi di “aiuto e sostegno” la corsa ai tesori africani, pare non ci siano grosse innovazioni: scalzare i concorrenti per insediarsi il più a lungo e il più saldamente possibile nelle aree di un Continente ricco del 30% delle riserve minerarie (platino, diamanti, oro, cobalto, palladio, cromo, ecc.) mondiali e il cui potenziale di risorse, sommato a quello russo, raggiunge il 50-52% dell’intero potenziale mondiale.

Ma di questo, più dettagliatamente, un’altra volta.

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