I Kings of Leon hanno venduto oltre 21 milioni di Album e 38 milioni di singoli in tutto il mondo. Siamo molto lontani dai numeri di Rihanna (250 milioni), cantante che Forbes ha inserito nella lista delle America’s Richest Self-Made Women – donne che si son fatte da sé più ricche d’America, e che perciò hanno sfondato (dice Forbes) il famoso tetto di cristallo.
Nell’elenco dei cantanti che hanno venduto un pelo meno di Rihanna ci sono Taylor Swift (200 m.), U2 (170), Lady Gaga (120), Nicki Minaj, Eric Clapton, Prince, Julio Iglesias, The Doors, Bob Dylan (100), George Micheal, Tom Petty, Meat Loaf (80), Nirvana, Green Day, Enya, Bob Marley, Kiss, Aretha Franklin (75). Al di sopra, irraggiungibili, ci sono i Beatles (500-600 m).
A Marzo i Kings of Leon hanno pubblicato il loro ultimo album, When You See Yourself, utilizzando un canale distributivo gestito dalla YellowHear e alternativo allo streaming.
Josh Katz, CEO della YellowHeart, dice che negli ultimi 20 anni – due decenni perduti – abbiamo assistito alla svalutazione della musica. La musica è diventata bravissima a vendere tutto tranne che la musica. C’è stata una corsa al ribasso. Per pochi spiccioli, dice, è stato consentito ai consumatori di ascoltare o scaricare ogni cosa.
In precedenza, per ascoltare una canzone bisognava sganciare almeno 20 dollari. Gli abbonamenti basati sullo streaming hanno danneggiato irreparabilmente gli artisti.
Bisogna risalire la china, e per farlo bisogna inventare un nuovo modo di distribuire la musica. Lo streaming è stato un fallimento. Bisogna trovare il modo di far tornare il fan a desiderare di possedere di nuovo la musica (rollingstones.com).
Il fenomeno Napster, con l’uso della tecnologia MP3, sembra aver determinato la fine del vecchio mondo della musica pop, di quel segmento di prodotti di largo consumo che avevano trovato nel disco di vinile e nel CD gli strumenti perfetti della loro commercializzazione.
Napster e lo streaming sembra abbiano sottratto al consumatore proprio l’oggetto materiale del culto. Con la (apparente) smaterializzazione del disco, lo streaming ha sottratto al consumatore il feticcio di plastica che poteva essere esposto in salotto insieme ai libri di carta.
Il compito (la mission) di YellowHeart è implementare uno strumento tecnico in grado di riprodurre e tornare a vendere il feticcio materiale, e ciò in virtù di una nuova tecnologia che sembra in grado di superare (Aufhebung) il limite rappresentato proprio dall’MP3 e dallo streaming.
Si tratta di una capriola dialettica. L’MP3 ha (per così dire) succhiato (negato) la musica dal disco, rendendola impalpabile. Ora si tratta di fissare (negazione della negazione) il sugo musicale su un nuovo supporto.
Questo supporto non può essere il disco di plastica (vinile o CD). Non è assolutamente pensabile credere di tornare a macinare i record di vendita dell’era d’oro della musica pop riproponendo la plastica. La plastica vivrà in eterno, ma come prodotto di nicchia. I grandi affari non possono prescindere dalle nuove tecnologie.
L’obiettivo è rimuovere l’MP3 conservando la potenza di calcolo elettrotecnica. E ciò può esser fatto con uno strumento che eredita tutte le caratteristiche di Napster, dell’MP3 e dello streaming, ma che resuscita l’oggetto materiale, il feticcio da mettere nelle mani del consumatore.
Questo feticcio si chiama NFT, una bizzarria iper-tecnologica che il fan, come dice Josh Katz, può desiderare di possedere – può collezionare.
Il lamento di Josh Katz deve essere compreso bene, come deve essere compreso bene il ruolo della tecnologia.
Una innovazione tecnica, di per sé, non necessariamente produce un cambiamento nei rapporti di produzione. Il personal computer (PC) esiste dalla fine degli anni Settanta, la tecnologia di digitalizzazione del suono (DAT) è stata inventata da Sony negli anni Ottanta e la tecnologia di Internet negli anni Sessanta. Eppure, tutte queste tre invenzioni non hanno intaccato il mercato musicale, che ha continuato a macinare i suoi record con le stesse tecnologie inventate più di un secolo fa.
È stato necessario che queste nuove macchine venissero iscritte in nuovi rapporti di produzione, distribuzione e consumo.
La produzione non deve produrre solo un prodotto per il consumatore, deve anche produrre un consumatore per il prodotto.
La produzione, dice Marx, offre esteriormente l’oggetto del consumo, mentre il consumo pone idealmente (ideal setz) l’oggetto della produzione, come immagine interiore, come bisogno, come impulso (trieb) e come scopo.
Il macchinario, chiarisce Marx (Per la critica…, Manoscritti 1861-63), può essere impiegato (su base capitalistica) soltanto in condizioni nelle quali in genere sia possibile produzione di massa, produzione su vasta scala.
Il computer o il telefonino sono macchine che ricevono la forza motrice da altre macchine, le centrali elettriche, dislocate anche a migliaia di km di distanza, e ricevono le istruzioni e i semi-lavorati da altre macchine collegate ai nostri device (terminali) tramite cavi di rame o ottici stesi su tralicci, o sottoterra o sotto il mare, e da ponti radio etc.
Tutta questa immensa mega-macchina – e vi invito a leggere i Manoscritti del ‘61 di Marx per trovare una descrizione chiara e lontana dalle panzane sociologiche – tutta questa immensa macchina, costituita da un insieme di macchine messe in serie e alimentate da una forza motrice centralizzata o distribuita, questa macchina per esser prodotta e avviata richiede investimenti immensi, investimenti che diventano sostenibili (ammortizzabili) solo se distribuiti su un numero enormemente elevato di merci prodotte. Produzione di massa significa ammortamento del capitale costante.
La musica pop richiede l’uso delle macchine, e l’uso delle macchine richiede la produzione di massa, e la produzione di massa richiede il mercato mondiale – l’imperialismo, il colonialismo, le guerre di occupazione, l’”esportazione di democrazia”, il controllo geopolitico, l’esportazione di un medesimo diritto e di una giurisdizione più o meno globalizzate, etc.
La produzione su vasta scala implica tre conseguenze dirette, conseguenze delle quali si lamenta Nathan Followill, batterista dei Kings of Leon. Oggi, dice (forbes.com), un ragazzino può registrare un album su GarageBand e pubblicarlo su TikTok, oppure farne un Nft o mille altre cose.
È come se non ci fosse più bisogno di appoggiarsi all’industria discografica come un tempo. Cosa che penso sia gettando nel panico le etichette.
Non si tratta di conseguenze che riguardano la produzione musicale in particolare. Si tratta di condizioni che riguardano il modo di produzione capitalista.
In primo luogo, la tecnica e il macchinario capitalisti (anche il macchinario elettrotecnico, compresi gli algoritmi di compressione e tutta la programmazione basata sull’algebra di Boole che permette di far funzionare gli strumenti musicali odierni), consentono al capitale di sostituire i lavoratori (o gli artisti) abili o virtuosi con lavoratori meno abili.
Si tratta, dice Marx, di coloro che svolgono una funzione di Sorveglianti, ma che DI FATTO sono operai. Una tale divisione del lavoro, dice, sorge dalla necessità di disciplina e controllo negli «eserciti» del lavoro, comune agli altri eserciti, e che non ha niente a che vedere con lo sviluppo della specializzazione salvo per quanto riguarda la specializzazione della sorveglianza, del comando, della punizione (Foucault?).
In secondo luogo, la macchina, anche la macchina musicale, richiede una materia prima o un prodotto semilavorato sottoposto a una lavorazione a macchina che lo renda ricevibile dalle macchine. L’omogeneità della materia prima, dice Marx, è la condizione dell’ulteriore lavorazione del materiale da parte delle macchine.
Non solo l’artista (o l’operaio) deve conformarsi alla disciplina militare, ma anche il suo contributo, il suo voler-dire (la cosiddetta ispirazione artistica), deve risultare idoneo ad essere riversato nella tramoggia musicale.
L’impiego degli agenti naturali, dice Marx, il loro incorporamento nel capitale, coincide con lo sviluppo della scienza come fattore autonomo del processo produttivo. La produzione capitalista pone per prima le scienze al servizio della produzione (Heidegger?).
In terzo luogo, l’eliminazione di ogni virtuosismo si realizza con la riduzione dell’artigiano a mero prestatore di forza motrice vivente, a lavoro vivente che mette in movimento un lavoro immobilizzato nelle macchine e da ammortizzare nelle merci. L’auto-tune è solo una implementazione di questo processo.
Nel periodo dei filatoi, dice Marx, esistevano al massimo dei singoli virtuosi (uomini-miracolo – le superstar dell’epoca pre-capitalista) che erano in grado di filare con entrambe le mani. La rivoluzione industriale, dice Marx, si realizza quando quelle operazioni alla cui esecuzione era prima necessario un virtuoso che «suonava» lo strumento, sono ora eseguite mediante la trasformazione del movimento, immediatamente provocato dall’uomo con un semplice impulso meccanico (girare una manovella, mettere in moto una ruota), in movimenti netti e precisi della macchina operatrice.
Dal momento in cui la partecipazione immediata dell’uomo alla produzione si riduce solo al fatto che egli comincia ad agire come semplice FORZA, da quel momento trae origine il principio della produzione mediante macchina.
La forza motrice potrà essere sostituita in seguito dall’acqua, dal vapore, dal vento, dal sole o dall’atomica, ma il principio è evidente. E questo principio ci racconta non solo la standardizzazione del prodotto derivante da movimenti netti e precisi della macchina operatrice, ma anche il fatto che questa macchina può girare e vomitare un maggior numero di pezzi aumentando l’intensità della forza.
Non c’è bisogno di dire che l’autonomia della forza – e tutto il discorso sul potere, sulla politica in quanto forza, sull’autonomia della politica dall’economico etc, la volontà di potenza quale ultima istanza, anche la forza illocutoria – può presentarsi quale fondamento della politica o dell’arte, solo e soltanto in un contesto capitalista.
Tutte le pippe sulla narrazione e sulla società disciplinare si elevano e nascondono le forze produttive e i rapporti di produzione, i quali non hanno reso autonoma la politica o l’arte, ma hanno tradotto un apporto qualitativo in uno quantitativo.
Solo in virtù di questa trasformazione capitalista, e non per una mera innovazione tecnica (TikTok e Auto-Tune), un ragazzino ha la forza di elevarsi all’altezza dei Beatles.
Ma la sua forza è la forza del capitalismo.
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