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18/08/2021

L’industria italiana ed europea frena sulla transizione ecologica

A parole tutti concordano sui rischi dei cambiamenti climatici riaffermati con forza dal Rapporto dell’Onu. In pratica le industrie (ed in particolare quelle dell’auto) e gli Stati, mettono le mani avanti perché una seria transizione ecologica ne mette in discussione gli interessi economici.

In questi giorni, mentre sul piano concreto ancora nulla si è mosso, è un fiorire di distinguo, di inviti alla prudenza nel leggere i risultati del Rapporto Onu sul clima, che vengono da parte degli esponenti delle industrie e dei loro centri studi contro l’idea di una terapia d’urto tesa ad abbattere le cause del riscaldamento globale.

Qui di seguito ne segnaliamo alcune che però ci restituiscono la cifra delle resistenze “di classe” contro cui occorrerà combattere se si vorrà effettivamente realizzare qualcosa di concreto sul piano della transizione ecologica. Si denunciano i rischi del “neo-luddismo” o ci nasconde dietro le sorti dell’operaio Volkswagen che perderà il lavoro se si passa alle auto elettriche. Insomma il solito armamentario di ragioni nobili che nascondono il dato per cui lo sviluppo capitalistico fa del bene all’uomo e alla natura ma qualche volta eccede un po’.

Il primo a suonare la tromba è quel Chicco Testa che, dopo un passato ambientalista (fino a diventare presidente di Lega Ambiente), ha preferito arruolarsi armi e bagagli nel mondo delle imprese private. Oggi presiede l’organizzazione delle imprese legate che fanno affari sul “green”.

Secondo Testa il ministro della Transizione ecologica Cingolani “lancia giustamente degli allarmi. Mi sembra che ci stiamo imbarcando in un’impresa nobile senza aver fatto bene i conti. Si corre il rischio dell’indebolimento dell’industria senza aver individuato filiere alternative”.

Per Testa “sarà molto difficile produrre la quantità di energia (richiesta dagli obiettivi europei, ndr) prodotta da fonte rinnovabile perché in Italia ci sono delle resistenze enormi anche sulle energie verdi. Bisognerebbe studiare bene e avere un rapporto sulle conseguenze economiche e le opportunità per l’Italia dalla transizione ecologica. Un bel rapporto su cui ragionare. E poi ci dovrebbe essere un organismo scientifico serio che sovraintenda a tutta questa transizione”.

Perché, afferma Testa, “la transizione si farà. È inutile stare a discutere su quanto è allarmista il rapporto dell’Onu sul clima. Lo abbiamo capito tutti – sottolinea – che bisogna fare delle cose. Ma in questo quadro bisogna capire quali sono le cose da fare, quelle migliori, quelle che costano meno e quelle che salvaguardano gli interessi economici del nostro paese”.

"Tutti vogliono la transizione ecologica ma tedeschi e americani difendono i loro interessi nazionali. Siccome l’Europa pesa per il 9% di emissioni totali e l’Italia per l’1% non vorrei che noi fossimo i primi della classe che però fanno la fine di Tafazzi...”.

“La domanda che bisogna porsi è: le politiche che vengono proposte sono efficaci? Se come pensano molti ambientalisti la soluzione si trova esclusivamente nelle fonti rinnovabili siamo ben lontani dal risultato perché sappiamo benissimo che non si risolvono i problemi energetici di Cina, India, Pakistan, Indonesia solo con le fonti rinnovabili per evidenti problemi di dimensioni e continuità. Forse possiamo pensare che l’auto elettrica potrà affermarsi in Europa. Ma come si può ipotizzare
– si chiede il manager – in città come Lagos, Nairobi, Nuova Delhi o Giacarta dove ci sono milioni di automobili e sono paesi con reti elettriche tenute insieme con lo spago? Allora la mia domanda è: chi venderà auto in quei paesi? La Toyota che ha eletto come mercati di riferimento la Cina e l’India e non l’Europa. E noi nel frattempo ammazziamo la Fiat, la Mercedes, la BMW?"

Poi è arrivato il Centro Einaudi, che tramite l’economista Giorgio Arfaras, riferendosi al Rapporto dell’Onu sul clima, sottolinea come “Le obiezioni al rapporto sono due e concernono non solo la climatologia ma gli strascichi delle politiche che verranno intraprese per evitare che accada quello che il rapporto adombra. La prima obiezione riguarda il problema del ‘free riding’. In Europa possiamo fare quello che l’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) chiede, negli Stati Uniti già un po’ meno. Ma non si capisce per quale motivo paesi appena avviati all’industrializzazione come Cina e India, che da soli hanno una popolazione di circa 3 miliardi di persone, dovrebbero frenare la propria crescita facendo degli investimenti ecologici e costosissimi”.

“Questo è il problema del free riding: quelli che non riesci a costringere a seguire il percorso che si sta facendo. Si tratta di una questione molto seria. Hai voglia a parlare di ecologia. I cinesi prima o poi faranno qualcosa perché da loro non si respira più, ma nel frattempo aprono nuove centrali a carbone. Quindi mi sembra difficile che queste nazioni dall’oggi al domani si mettano sulla strada dei ‘Grunen’ (i verdi tedeschi, ndr)”, afferma l’economista.

“Tali paesi – osserva Arfaras – per fare quello che gli viene chiesto dovranno avere degli incentivi. Ma per non farlo avranno due argomentazioni. La prima è quella negazionista, quella che dice che non è vero. La seconda risposta che daranno è: perché quando era il vostro turno non vi siete fatti scrupoli a inquinare”.

La seconda obiezione al Rapporto Onu riguarda i risvolti industriali. L’Ipcc chiede “che si intraprendano determinate azioni ma non valutano le implicazioni delle richieste né gli effetti che possono suscitare le trasformazioni. Le auto elettriche sono migliori di quelle a combustione tradizionale, si dice. A parte che è tutto da dimostrare che quelle diesel di nuova generazione siano così inquinanti. Ma questo e’ l’aspetto minore. Si chiede di ristrutturare un intero settore, quello dell’automotive, dove in Europa c’è il maggior numero di occupati”, sottolinea l’economista. “Ci si può immaginare una specie di neo-luddismo per cui la difesa delle tecnologie esistenti porti chi lavora a opporsi alla trasformazione tecnologica verde. Se io fossi un operaio della Volkswagen non sarei così felice di essere mandato a casa perché le nuove auto elettriche inquinano meno”, dice ancora Arfaras.

Alla luce di queste dichiarazioni, si pone con forza la questione che abbiamo posto anche recentemente sul nostro giornale, se cioè sia ancora possibile adagiarsi sull’idea che il capitalismo possa gestire le conseguenze dell’infarto ecologico del pianeta.

Il Rapporto dell’Ippc sui cambiamenti climatici presenta certamente qualche contraddizione. Le ha segnalate qualche giorno fa sul nostro giornale Angelo Baracca. Ma qui ci troviamo di fronte a osservazioni di tutt’altra natura e fondate su altri interessi. Per questo deve e dovrà essere chiaro che il terreno della transizione ecologica non potrà che essere un terreno decisivo della lotta di classe.

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