Il “governo dei migliori”, tra le priorità in vista della “legge di stabilità” da approvare entro Natale, deve mettere mano a una riforma delle pensioni. La milionesima, ma “lo vuole l’Europa” – altrimenti saltano le prossime rate del Recovery Plan – in vista del ritorno alla “normalità”, che in questo caso significa ritorno alle regole del Fiascal Compact e del taglio della spesa pubblica per il welfare.
Il problema è come farla.
La cosa più semplice, per dei tecnocrati che guardano solo alle cifre (mentendo spesso...), sarebbe tornare alla famigerata “legge Fornero”, ossia tutti in pensione solo dopo i 67 anni, ecc.
Il problema è che una mossa del genere è altamente impopolare e provoca, di conseguenza, parecchi malesseri dentro l’amplissima maggioranza che sostiene questo governo (Draghi può fregarsene dei voti alle prossime elezioni, i partiti ovviamente no).
A parte la risibile “resistenza” offerta dai sindacati confederali – come sempre pronti a firmare qualsiasi cosa, purché “coinvolti” – c’è la Lega che già deve ingurgitare la fine di “quota 100” (comunque varata in via temporanea fin dall’inizio). E anche i Cinque Stelle, che vedono già in pericolo il loro unico “successo” programmatico, il reddito di cittadinanza.
Dunque i tecnici del ministero dell’economia devono scartare le due ipotesi estreme – lasciare le cose come stanno e tornare alla Fornero – e lavorare ad un pasticcio con regole astruse, differenziali, incomprensibili e spesso irrazionali, che diano il risultato sperato (un taglio alla spesa pensionistica) senza aggregare un’opposizione sociale e politica importante.
Una “riforma” in stile green pass, insomma, per cui sarà difficile trovare due pensionandi sottoposti alla stessa regola a parità di condizioni soggettive (età, anni di lavoro, tipologia di mansioni, ecc.). Così tutti si metteranno a discutere del “perché tu questo e io quest’altro”, invece di dirigere lo sguardo su quei criminali che si inventano “regole” fatte per dividere e impoverire tutti.
C’è anche un problema oggettivo, per i tagliatori di pensioni. La pandemia ha bloccato, anzi ha fatto arretrare, “l’aspettativa di vita”. Fino al 2019, infatti, questo indicatore preso a parametro fondamentale per allungare l’età pensionabile, e che prometteva di portare presto il diritto alla pensione al di là dei 70 anni, cresceva in modo quasi regolare.
La strage degli over 70 realizzata dal Covid-19 nel 2020 (ora, con la “variante Delta”, è diventato più “imparziale”, colpendo duramente anche fasce più giovani) aveva – sì – migliorato i conti dell’Inps e dunque anche quelli dello Stato, però aveva abbassato in modo rilevante quella ”aspettativa”. Impedendo insomma l’ulteriore aumento dell’età pensionabile.
Di qui, oltre che alle difficoltà politiche (certo meno irrisolvibili), la necessità di “inventare” letteralmente un dispositivo schizofrenico e divisivo.
Nel linguaggio del confindustriale Sole24Ore questo rovistare nell’arsenale dell’azzeccagarbugli viene chiamato “metter mano alla cassetta degli attrezzi previdenziali”.
Drizzate le orecchie, a sentire questa frase. Ne vedremo delle belle. Cioè degli orrori...
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