Dopo il panico scatenato dalla sospensione dei sussidi sui carburanti, ieri pomeriggio una riunione straordinaria del governo ha dato mandato all’esercito per ispezionare le stazioni di benzina su tutto il territorio nazionale per verificare che non stessero stoccando indebitamente carburante sussudiato per rivenderlo a prezzi maggiorati. Il governo ha altresì dato mandato affinché, qualora trovati depositi illegali, questi venissero requisiti e i beni redistribuiti alla popolazione.
La totale assenza di trasparenza e di meccanismi di controllo con cui dal giorno zero l’intera questione dell’acquisto, dello stoccaggio e della distribuzione dei beni sussidiati è stata gestita, infatti, ha lasciato campo libero affinché importatori, distributori, e rivenditori potessero mettere in campo pratiche illecite di varia natura, dalla speculazione, alla distribuzione clientelare, al contrabbando verso la Siria che, a causa delle sanzioni imposte dal Cesar Act, è drammaticamente mancante di medicine, benzina, corrente elettrica.
Bene, si dirà. E, in effetti, qualcosa si è recuperato.
Non sono mancati tuttavia i punti oscuri e le contraddizioni.
Ieri pomeriggio, ad esempio, un’ispezione in una stazione di benzina di proprietà del Ministro dell’Agricoltura Abbas Mortada (Amal) aveva portato alla confisca di circa 65.000 litri (sì, mila) di benzina detenuti illegalmente. Per ordine dello stesso ministro, tuttavia, l’esercito è stato costretto dopo poco a restituirli al mittente.
Soprattutto, nella notte, è arrivata la tragedia.
La regione settentrionale dell’Akkar rappresenta storicamente una delle più povere e politicamente abbandonate del paese.
Data la prossimità con la Siria, nei mesi scorsi è diventata uno snodo di primo piano del contrabbando organizzato al di là del confine.
Nel pomeriggio di ieri, un gruppo di attivisti della zona segnala all’esercito la presenza di un deposito illegale di carburante nella cittadina di Tleil, che viene dunque identificato e sequestrato. Il bottino è di circa 20.000 litri, di cui la metà viene lasciata sul posto a disposizione dei cittadini.
Il terreno del deposito in questione è di proprietà di Georges Rachid, imprenditore locale con solide relazioni – come da queste parti è tristemente costume – con un deputato in quota al partito del presidente della repubblica.
A gestirlo pare fosse invece tale ‘al-Faraj’, contrabbandiere di Wadi Khaled arrestato quattro mesi fa per i suoi traffici illeciti verso la Siria.
Nel corso della notte, appena la notizia della disponibilità di carburante si diffonde, un gruppo di circa 200 persone, composto perlopiù da giovani uomini, accorre sul posto da varie località limitrofe. Non è dato sapere se e quanti uomini dell’esercito fossero presenti a presidiare le operazioni di distribuzione. Fatto sta che, non appena iniziate, il camion cisterna contenente la benzina esplode.
Il bilancio è da bollettino di guerra.
In questo momento i morti accertati sono almeno 25, più circa 80 tra feriti (di cui tantissimi grandi ustionati) e dispersi, che probabilmente verranno identificati nelle prossime ore dal solo DNA.
Date le dimensioni e le capacità ridotte degli ospedali locali, i casi più gravi sono stati affidati ai maggiori ospedali della capitale, i soli che in questo momento dispongono dei medicinali e del sangue necessario per poter tentare un salvataggio.
È altresì importante segnalare che le loro cure sono state possibili solo grazie alla presa in carico – date le dinamiche della tragedia – delle spese sanitarie da parte del Ministero della Salute, essendo la sanità Libanese quasi completamente privatizzata e dunque se non si è tra i pochi privilegiati ad avere abbastanza soldi o un’assicurazione sanitaria, si viene rispediti a casa.
Le dinamiche che hanno innescato l’esplosione sono ancora poco chiare. L’ipotesi che si sta facendo più strada tramite varie testimonianze è che sia scaturita da un colpo di pistola sparato dal figlio di Rachid per disperdere la folla. Il condizionale resta comunque d’obbligo.
Nel frattempo, mentre il balletto dello sciacallaggio politico ‘non si mette scuorno’ nemmeno di fronte alle morti che provoca, un gruppo di cittadini dell’Akkar ha da poco assaltato e dato fuoco alla villa di Rachid.
Spero che per oggi sia davvero tutto perché nessun luogo al mondo si merita tutto questo male.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento