0. Introduzione
Questa è una miniserie da leggere con lentezza. «Chi è veloce si fa male», cantava Enzo Del Re. «Se non vale la pena impiegare tanto tempo per dire, e ascoltare, una qualsiasi cosa, noi non la diciamo», dice Barbalbero.
Nelle settimane scorse abbiamo ospitato o segnalato contributi critici sul cosiddetto «green pass», posizioni e analisi altrui che non coincidevano in toto con la nostra.
La nostra posizione l’abbiamo espressa solo tra i commenti, esplicitandola e rifinendola man mano, il che va bene, ma anche sparpagliandola, il che va male. Mancava un testo in cui, sul «green pass» e su questa fase dell’emergenza pandemica, dicessimo come la pensiamo in modo dettagliato e dal principio alla fine.
L’occasione di scriverlo ce l’ha data l’imminente ritorno all’attività on the road. Ci attendono presentazioni all’aperto, presentazioni al chiuso, reading, spettacoli... Volenti o nolenti, col «green pass» avremo a che fare. Ma appunto, che fare?
In questa prima puntata spieghiamo perché secondo noi il «green pass», detta come va detta, è una merda.
A partire dal nome che gli hanno affibbiato, a rigore ufficioso ma usato onnipervasivamente sui media e dagli stessi governanti e amministratori. È lo stesso anglicorum di «Jobs Act», «spending review» e altre nefandezze. È l’inglese usato come dolcificante artificiale, per far sembrare nuovi e “smart” provvedimenti che invece sono abbastanza vecchi da avere un nome nella lingua di Dante. Se il governo Renzi l’avesse chiamata semplicemente «Legge sul lavoro» sarebbe sembrata meno “innovativa”. In effetti, la libertà dei padroni di licenziare in tronco non è poi questa grande innovazione…
Nel caso del «green pass», la parola che già esiste è lasciapassare. Un lasciapassare definito «green», cioè verde, come il semaforo verde, in opposizione alle zone rosse. Ma anche qui l’inglese «green» viene preferito in quanto è l’aggettivo del momento, l’aggettivo che dà un salvacondotto a qualunque politica voglia spacciarsi per ambientalista e quindi al passo coi tempi: è il cosiddetto greenwashing. Tanto per autocitarci: «Nel mondo in cui il vero della devastazione ecologica e climatica diviene un momento del falso del tran tran capitalistico, ogni schifezza va definita “green”, anche provvedimenti come il pass sanitario, che con l’ecologia non ha alcun legame diretto.»
Nella seconda puntata, tra qualche giorno, ragioneremo da lavoratori della cultura e dello spettacolo quali in effetti siamo, esporremo a lettrici e lettori i problemi che abbiamo di fronte, e si capirà bene il perché del titolo.
Prendiamo a prestito le parole da un recente comunicato dei Cobas Scuola di Bologna, che definisce il lasciapassare «uno strumento prima di tutto inefficiente ed illogico in relazione alle pratiche di contenimento della pandemia e della sicurezza nelle scuole in genere […], che contiene sia nella sua definizione che nel prospettare una serie di sanzioni pesantissime, spropositate e ingiustificate, un forte profilo di incostituzionalità, configurandosi, nei fatti, come una sorta di implicito obbligo vaccinale, imposto surrettiziamente e senza alcuna assunzione di responsabilità, che sarebbe doverosa, da parte delle autorità che impongono tale pratica».
Questa problematizzazione si può facilmente estendere dalla scuola alla società in generale. È quanto faremo, sviluppando le tre principali ragioni della nostra critica al lasciapassare:
1. È incongruo e inutile ai fini dichiarati – o dati per intesi – da chi lo ha introdotto.
2. È l’ennesimo diversivo che serve a scaricare verso il basso le responsabilità della malagestione della pandemia.
3. È presentato come “liberatorio” ma in realtà è restrittivo, discriminatorio, invasivo.
1. Il lasciapassare quel che dice non lo fa (e quel che ti fa non lo dice)
All’osso, i fini del lasciapassare dichiarati – o dati per intesi – dal governo sono:
■ ridurre numero e frequenza dei contagi (il lasciapassare come strumento di profilassi);
■ convincere la gente a vaccinarsi (il lasciapassare come nudge, “spintarella” persuasiva);
■ garantire al maggior numero possibile di persone il diritto al lavoro
e alla socialità in sicurezza (il lasciapassare come garanzia che «non
si tornerà a chiudere»).
Cerchiamo di procedere con ordine.
Come strumento di profilassi il lasciapassare è una presa in giroIl lasciapassare non può funzionare allo scopo di ridurre i contagi per la plateale incongruenza e incoerenza degli utilizzi prescritti. Le diverse disposizioni per diversi contesti e diversi comportamenti in diverse giurisdizioni sembrano buttate giù dal Cappellaio Matto e dalla Lepre Marzolina durante una gara di rutti al party di non-compleanno di Walter Ricciardi. Una cosa è certa: il criterio di fondo non è, non può essere sanitario.
Da oggi il lasciapassare viene richiesto per i treni a lunga percorrenza – «Frecce, Intercity, Intercity notte, EC, EN, Freccialink», come si legge sul sito di Trenitalia – ma non sui treni locali. Peccato che i primi siano usati da una piccola minoranza di viaggiatori, mentre sui secondi si ammassa ogni giorno la gente che va a lavorare. Secondo il Rapporto Pendolaria 2021, nel 2019 «il numero di coloro che ogni giorno prendevano il treno per spostarsi su collegamenti nazionali era di circa 50mila persone sugli Intercity e 170mila sull’alta velocità, [mentre] sui treni regionali e metropolitani […] superano i 6 milioni ogni giorno».
E una volta che ci sei arrivato, al luogo di lavoro? Riprendiamo da una chat su Telegram l’utile riassunto di un compagno della Wu Ming Foundation:
«Al lavoro per accedere alla mensa devi avere il green pass (ma per bagni e docce no, e immagino la disinfezione degli spazi in un’azienda a fine turno) mentre in albergo, sia per soggiornare che per mangiare se sei ospite non è richiesto. Se lavori in trasferta e quindi la tua mensa è il ristorante dell’hotel non hai nessun obbligo, se te ne stai in sede invece ne hai (e in trasferta spesse volte ci stai con dipendenti di altri millemila appaltatori o sub, mandando in vacca qualsiasi possibilità di tracciamento). Al bar prima si poteva stare solo seduti ora seduti al chiuso obbligo di green pass, al bancone (il luogo più a rischio) no […]»
Ancora: il lasciapassare è richiesto per entrare in musei, cinema, teatri, ristoranti al chiuso, mense aziendali, spogliatoi sportivi. In altri luoghi dove la gente si addensa tanto quanto o di più, come shopping mall e supermercati, il lasciapassare non è richiesto, perché intralcerebbe il flusso delle merci e del denaro in settori che il governo vuole tutelare. Né è richiesto per assistere alla messa nelle parrocchie, perché dopo il «lockdown» dell’anno scorso, che ha interferito addirittura con la celebrazione della Pasqua, la Chiesa cattolica deve aver fatto capire a chi di dovere che non sopporterà altre interferenze col culto.
Un ulteriore ginepraio di assurdità lo scopriremo dando un’occhiata a come funzionano eventi artistici e culturali. Tempo al tempo.
La gente si stava vaccinando anche senza lasciapassarePoiché quella in corso è una pandemia, è logico che se parliamo di immunità collettiva da raggiungere mediante vaccinazione la popolazione di riferimento è quella mondiale. Se ci tocca parlare della percentuale nazionale di vaccinati è perché un lasciapassare sanitario agganciato alla campagna vaccinale è stato introdotto in pochissimi paesi oltre al nostro, e con queste caratteristiche c’è solo da noi.
Nonostante tutti gli intoppi – la gestione certo non brillante dell’uomo dei fiori prima e dell’uomo in mimetica dopo, le dosi che arrivano in base a tempi e capricci delle multinazionali farmaceutiche… – tutti i dati dicono che la campagna vaccinale procedeva spedita già prima del 6 agosto, data di introduzione del lasciapassare. Se non sembra è perché un’informazione terroristica urla «ALLARME!!! 10% di NO VAX!!!11» quando il 90% dei lavoratori di un settore risulta vaccinato. Ora, checché se ne dica, la campagna è praticamente alla volata finale.
L’obiettivo non è vaccinare il 100% della popolazione italiana. Dal totale vanno esclusi gli italiani sotto i 12 anni, cioè più o meno sei milioni di persone, ergo circa il 10% della popolazione. Poi c’è chi non può vaccinarsi per motivi di salute, ci sono persone guarite che prima di vaccinarsi preferiscono aspettare, e c’è una percentuale di refrattari inconvincibili che alcune fonti stimano tra il 3 e il 6%. Poiché non è possibile una stima più accurata, di norma si fa coincidere la popolazione vaccinabile con l’intera popolazione over 12.
Quando abbiamo cominciato a scrivere questo post, cinque giorni fa, risultava completamente vaccinato – due dosi + monodose + dose unica per i guariti – il 61,6% della popolazione totale. In attesa di seconda dose – «parzialmente protetto» – era l’8,7% della popolazione totale, corrispondente al 9,6% della popolazione vaccinabile. Il che significa che potevamo già dare per acquisito il 70,3% della popolazione totale, corrispondente al 78% della popolazione vaccinabile. Alla data in cui terminiamo l’impaginazione, 1 settembre, risulta vaccinato il 71,9% della popolazione vaccinabile e «parzialmente protetto» il 79,8%. E ricordiamo che stiamo approssimando la popolazione vaccinabile per eccesso: la percentuale reale è certamente già di alcuni punti sopra l’80%. Insomma, la stragrande maggioranza dei vaccinabili è già vaccinata.
Dice:
ma forse dopo il 6 agosto il lasciapassare ha avuto un effetto
benefico. In realtà ad agosto il flusso delle somministrazioni è calato
drasticamente. Dalle oltre 500.000 al giorno di fine luglio si è
arrivati alle 50.000 di Ferragosto. È successo per vari motivi ricostruiti qui, il punto è che
1) la stragrande maggioranza dei vaccinati di oggi lo era già prima dell’introduzione del lasciapassare;
2) chi parla di un «effetto green pass» non sa quel che dice oppure
ciurla nel manico. Anche senza la presunta “spintarella”, la campagna
andava spedita.
Ma come spedita? Non era sabotata dai malvagi No Vax?
L’invenzione delle emergenze «medici no vax» e «insegnanti no vax»L’estate che sta finendo non ha avuto un tormentone musicale degno di questo nome. In compenso ha avuto la campagna allarmistica sui «medici no vax» – e più in generale i «sanitari no vax» – e gli «insegnanti no vax»: giorni e giorni di terrorismo, titoli horror, numeri sparati ad altezza d’uomo, minacce antisindacali…
Partiamo dal settore sanitario. Due settimane fa uno di noi commentava:
«Perché proprio tra chi ha una formazione medica/clinica e cura le persone, stando a quanto si legge, è così diffuso il dissenso sulle mosse del governo? […] L’anno scorso chiunque lavorava nella sanità era un “eroe”, questa – anche solo applicando la legge dei grandi numeri – è la stessa gente del 2020 ma nel 2021 è stata scelta come public enemy e nessuno sembra interessato ad ascoltarla […] Se i professionisti della sanità che i media descrivono in blocco come “novax” sono tanti come dice questa campagna d’allarme, è stupido se non criminoso non chiedersi come mai ciò avvenga proprio nella sanità; se invece sono pochi, è stupido e criminoso accettarli come capri espiatori, rovesciando su di loro le colpe della situazione.»
Poi si è appurato che i numeri erano gonfiati. Come ha scritto Isver in un commento del 24 agosto:
«I lavoratori della sanità non vaccinati sono 35.691 su 1.958.461 totali, ovvero l’1,82%. Al di là delle questioni di principio […] risulta davvero difficile pensare a una situazione ingestibile. Ricordo ancora che si ragionava concretamente di messa in sicurezza del sistema sanitario ben prima che i vaccini comparissero all’orizzonte, anche se adesso pare che quei protocolli non interessino più a nessuno.
Va detto poi che quello sopra è il numero dei non vaccinati, non di quelli che non vogliono vaccinarsi. Perché ci sono anche lavoratori della sanità che non possono vaccinarsi avendo a loro volta problemi di salute. Era uno dei motivi per cui gli ordini professionali ridimensionavano il fenomeno, anche se non il principale.
Nel totale di quasi due milioni di lavoratori della sanità, sono comprese anche le professioni non strettamente sanitarie, come gli OSS.
Stando al presidente di FNOMCEO – Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri – i medici che non si sono vaccinati ad esempio sarebbero circa lo 0,2% del totale e forse anche meno. In regioni come Lombardia, Liguria e Puglia, dice, si contano singoli casi di ricorsi al TAR contro l’obbligo vaccinale da parte di medici. Singoli casi.»
E nella scuola?
A fine luglio appaiono sui giornali dati allarmanti sui non vaccinati nella scuola. Diverse realtà del mondo della scuola fanno notare che i conti non tornano. Il commissario Figliuolo intima alle regioni di fare chiarezza entro il 20 agosto, ma c’è chi non aspetta, non può aspettare, non ce la fa proprio: il 14 agosto l’immunologo superstar Roberto Burioni – per noi l’antropomorfosi di tutto quel che non funziona nella comunicazione scientifica e nell’informazione sulla pandemia – tuona in un tweet:
«Gli insegnanti che senza motivo rifiutano il vaccino mettendo a rischio i loro studenti (che dovrebbero proteggere e formare con il buon esempio) non dovrebbero essere tamponati gratuitamente ma licenziati immediatamente. Vergogna per i sindacati che li difendono.»
Si alza un polverone, e soprattutto si alzano strida giustizialiste contro i nemici pubblici, gli insegnanti No Vax. Ma il 20 agosto escono i dati aggiornati, e si vede che i non vaccinati nella scuola sono molti meno di quanto si diceva. Sul Fatto Quotidiano si spiega qual era uno degli equivoci [spoiler] il casino l’aveva fatto Figliuolo, passando all’improvviso dalla vaccinazione per settori professionali a quella per fasce anagrafiche [/spoiler]:
«la cifra stimata dei docenti ancora in attesa di prima dose era pari a 220mila persone (15%). In realtà è il risultato di una sovrapposizione. Fino al 10 aprile scorso il personale scolastico che si presentava a fare l’iniezione era registrato come categoria. L’11 aprile un’ordinanza firmata dal Commissario ha imposto come priorità di vaccinazione l’età e non più la per professione. Il personale del mondo dell’istruzione perciò ha continuato a farsi vaccinare ma è stato catalogato senza l’indicazione del ruolo.»
Il 28 agosto nuovo aggiornamento, ecco cosa si legge in un articolo su Il manifesto:
«I dati sulle vaccinazioni del personale scolastico e universitario si vanno aggiornando. A una settimana dalla scadenza data dal commissario Figliolo alle regioni per verificare i numeri, incrociando le banche dati per età con quella degli addetti, viene fuori che il 90,45% ha avuto almeno una dose o la dose unica […] Eppure è un mese che il personale scolastico viene additato come un fortino di no vax. La docente Gloria Ghetti, fra le fondatrici del movimento Priorità alla Scuola: “È stata buttata via un’altra estate, dopo quella passata a parlare di banchi a rotelle. Ancora una volta non sono stati affrontati i problemi veri come le classi pollaio, le strutture fatiscenti e l’implementazione del personale docente”. Di diverso c’è che è stato introdotto il green pass obbligatorio per i dipendenti: “Quella dei docenti è la categoria più vaccinata – prosegue – quindi mi chiedo perché solo a noi? Sembra quasi un accanimento. Personalmente vaccinerei tutti ma quello del pass mi sembra un grande specchietto per le allodole per evitare di affrontare i problemi veri”.»
Insomma, a giudicare da titoli di giornali on line, servizi tv e campagne social, i «no vax» ci terrebbero praticamente sotto assedio. Guardando i numeri, sia per settore sia totali, si vede bene che ciò è falso.
Il nemico pubblico`«no vax» è un capro espiatorio. «I NOVAX!!!» è l’ennesima falsa risposta data dal sistema alla domanda: «Perché non siamo ancora usciti dall’emergenza?».
«No vax», nemici pubblici e nuclei di veritàDetto ciò, nel paese un’area di esitazione/opposizione vaccinale esiste, e se non costituisce il pericolo descritto (pompato) dai media, è comunque da tenere in considerazione. Nel senso che noi – inteso come noi anticapitalisti – dovremmo tenerla in considerazione.
Intanto, una declaratio terminorum. Dovremmo saper riconoscere l’ideologia contenuta nelle parole che il potere usa con entusiasmo. «No Vax» è un’espressione apparentemente
inglese che però esiste solo in Italia ed è di conio giornalistico
recentissimo, nata nella seconda metà del decennio scorso come calco di
«No Tav» per descrivere una fantomatica «Italia dei no» popolata di
ignoranti: «Non se ne può più di tutti questi No Tav No Triv No Vax
ecc.»
Oggi, come «negazionista» nel 2020, «no vax» è il nome separatore [1] usato per annullare ogni sfumatura e criminalizzare il dissenso. Il complesso politico-social-mediatico chiama «no vax» anche chi, come noi, ritiene utile il vaccino contro il Covid, ma critica il lasciapassare e alcuni aspetti della vaccinazione, ovvero della «politica attraverso cui attivamente si producono, distribuiscono ed inoculano i vaccini». Il nome separatore non solo non aiuta a indagare e comprendere quel che sta accadendo, ma dà proprio una grossa mano a occultare, mistificare, omologare posizioni diverse e alimentare l’idea di un tentacolare nemico pubblico: il «no vax», contro cui bisogna «difendere la società».
Stiamo parlando di un fenomeno composito, pieno di differenze al proprio interno: quello che, tagliando con l’accetta, abbiamo a volte definito «antivaccinismo». Oggi nemmeno quest’espressione rende l’idea, perché mette insieme semplice scetticismo, riluttanza, timori fondati e infondati, fantasie di complotto e discorsi più sensati, e mette insieme tutti i vaccini e qualunque circostanza.
Se esistono soggetti ideologicamente contrari a qualunque vaccino in qualunque circostanza, non sono la maggioranza di quelli che il sistema chiama «no vax». La maggior parte delle persone sono contrarie o quantomeno scettiche o anche soltanto titubanti di fronte ad alcuni vaccini somministrati in certe condizioni. Inoltre, da quando esistono i vaccini antiCovid le presunte schiere dell’«antivaccinismo» si sono ingrossate con l’afflusso di persone storicamente favorevoli a tutti i vaccini precedenti ma esitanti nei confronti di questi qui.
Nessuno dovrebbe stupirsi dell’esitazione/rigetto nei confronti dei vaccini anti-Covid, stante la comunicazione incoerente e sensazionalistica con cui il governo e i media mainstream ne hanno accompagnato l’arrivo e la somministrazione, e stante che problemi ne sono venuti fuori eccome: si va dal merdaio planetario riguardante AstraZeneca – che oggi, per dirla con Repubblica, «nessuno vuole più» – al ritiro di 1,6 milioni di dosi di Moderna in Giappone. E sul medio-lungo periodo potrebbero venire fuori altre magagne (da vaccinati e da persone che hanno a cuore le sorti dell’umanità, speriamo ovviamente di no).
Semmai, dovremmo stupirci del fatto che, tutto sommato, tale esitazione/rigetto, pur rilevante e da interrogare, nel Paese rimanga minoritaria.
Noi Wu Ming ci siamo vaccinati [2] e non abbiamo mai subito l’incanto di sirene antivacciniste. Tuttavia, nelle discussioni su Giap e più compiutamente nel libro La Q di Qomplotto argomentiamo che l’antivaccinismo non ci si può limitare a “smontarlo”: ne vanno compresi i nuclei di verità, cioè va riconosciuto l’anticapitalismo – a volte esplicito, più spesso inarticolato e inconsapevole – che vi si esprime, per provare a prevenire la “cattura” di quel malcontento da parte del cospirazionismo, il suo essere incanalato in fantasie di complotto.
Che, “a sinistra”, allo sviluppo di quest’abbozzo di strategia si preferisca l’arrogante «blastaggio» – quando non la vera e propria criminalizzazione – per noi è una tragedia, una débâcle politica e umana. Tanto più in quest’emergenza, quando i suddetti nuclei di verità sono parecchio grossi e nessuno che si dica anticapitalista dovrebbe fingere di non vederli.
I «nuclei di verità» [kernels of truth] – espressione che riprendiamo dalle riflessioni di vari psicoterapeuti e in particolare da Gregory Bateson – non sono punti di arrivo, cioè asserzioni e conclusioni che possiamo condividere, ma punti di partenza: premesse generali, intuizioni monche nate da malcontenti anche vaghi, da collere poco o punto elaborate, e in generale dal mal di vivere nella società capitalistica.
Nell’antivaccinismo si trovano gli stessi nuclei di verità da cui in passato si sono sviluppati nobili filoni di critica alla medicina capitalistica, da Ivan Illich alla coppia Ongaro & Basaglia, da Michel Foucault all’SPK tedesco, da Félix Guattari agli antipsichiatri inglesi, fino a certi smontaggi del sapere medico-clinico in chiave femminista.
Subordinazione della salute alla ricerca del profitto; rapporto morboso tra medicina e mercato; dipendenza della ricerca medico-farmaceutica da imprese ad altissima concentrazione di capitale; crescente burocratizzazione e spersonalizzazione della cura; sfiducia nell’industria sanitaria dopo una lunga sfilza di scandali... A tutto questo dobbiamo aggiungere nuclei di verità più specifici, formatisi nell’ultimo anno e mezzo: tutte le fandonie raccontate, tutto il terrore seminato, tutti i “doppi legami”, tutta l’informazione tanto più urlata quanto più incoerente che ha accompagnato la campagna vaccinale... Ce n’è persino d’avanzo.
Ma perché da questi nuclei di verità si sviluppano così spesso fantasie di complotto? Perché quelle narrazioni diversive funzionano così bene?
La nostra risposta è: perché non ne trovano altre a contrastarle. Dov’è oggi la critica sensata, su basi di classe, alla medicina capitalistica? Se quel terreno era quasi spopolato già prima, dall’inizio della pandemia è rimasto presocché deserto, perché la maggior parte delle compagne e dei compagni ha sposato la «Fiducia nella Scienza», che significa poi: fede nello scientismo. Si fa riferimento a una Scienza unica, neutra e universale nei suoi assunti e paradigmi, casomai (ma proprio casomai) si ritiene criticabile il rapporto tra scienza e politica in certe sue contraddizioni secondarie.
Sui siti “di sinistra”, quando va bene, si trovano discorsi al cui confronto il programma di Gotha criticato da Marx era all’avanguardia, cioè critiche tutte sul versante della distribuzione. Persino la sacrosanta polemica contro la proprietà intellettuale di farmaci e vaccini è articolata solo su quel piano. C’è pochissima critica della produzione di cura, dell’ideologia che orienta la clinica e ancor prima la definizione di malattia, del fatto che un paradigma epistemologico non è neutro ma plasmato da rapporti di produzione, di proprietà, di potere ecc.
Inutile girarci attorno: nel loro modo sballato e con tutti i bias cognitivi che vogliamo (e che vanno esposti e criticati con durezza), quelli che il mainstream e la “sinistra” perbene chiamano «no vax» sono tra i pochi a tentare una critica alla scienza medica sul versante della produzione, dei rapporti di proprietà, della non-neutralità della scienza una volta vista dentro tali rapporti ecc. Nel loro confusionismo, alcuni di loro sono istintivamente più “marxisti” di certi eredi del marxismo smarritisi nello scientismo.
Sinceramente, con chi non riesce ad andare oltre la facciata dell’antivaccinismo, vedere tutto questo e ripartire da tutto questo, noi fatichiamo anche solo a discutere, perché viene a mancare proprio il terreno comune. Per questo battiamo tanto su questo chiodo.
In sintesi, noi siamo per scavalcare la trappola dicotomica vaccinismo / antivaccinismo perché:
1. Non è necessario essere contro i vaccini per essere contro la strumentalizzazione che ne fa il governo.
2. È necessario parlare ogni volta che è possibile con chi manifesta «esitazione vaccinale» o opposizione ai vaccini, e farlo senza burionismi, perché quelle posizioni si sviluppano a partire da nuclei di verità che dobbiamo saper riconoscere e perché va scongiurata la “cattura” di quel malcontento da parte di cospirazionismi vari.
3. Oggi molte persone che non sono mai state contro i vaccini sono additate come «novax», perché il «novax» è il nemico pubblico più facile da additare, il capro espiatorio dei fallimenti e delle porcherie della classe dirigente, e per quanto possibile dovremmo difendere le persone di cui sopra da questo mobbing politico-mediatico.
In quest’anno e mezzo è successo qualcosa, un cambiamento pesante nella testa delle persone. Governo e mass media ci hanno fatto credere e fare cose assurde, senza senso, scaricandoci addosso il peso morale di tutto pur di sottrarsi all’evidenza dell’inettitudine politica e del disastro sistemico. Ancora una volta: suona strano che ci sia gente che non si fida più, o che ha paura, o che pensa a un complotto? È gente che è stata vittima di un trattamento scriteriato e oggi non vuole più subire alcun trattamento, nemmeno sanitario. Soprattutto dopo essere stati trattati come cretini e delinquenti dalle autorità per diciassette mesi, sentirsi dare dei cretini e delinquenti non smuoverà di un millimetro chicchessia.
Da qualche giorno la colpevolizzazione sta raggiungendo il parossismo, con Repubblica in prima fila ad accusare in blocco i «no vax» di qualunque cosa: minacce, aggressioni, attentati, «escalation di violenza», tutto è gettato nel calderone e attribuito in maniera indiscriminata.
Simili campagne «d’opinione» sono sempre preludio a orrori concreti. E così, ecco l’aberrante annuncio dell’assessore alla sanità della Regione Lazio Alessio D’Amato: i «no vax» che si ammaleranno dovranno pagarsi la terapia intensiva (1500 euro al giorno).
Ovviamente non può trattarsi di un’iniziativa individuale, questa trovata da flame sui social devono averla discussa in giunta regionale. E nella “sinistra” di questo paese molti si dicono d’accordo. E magari tra chi si dice d’accordo c’è qualcuno che fuma, e se un giorno si pigliasse un canchero non vorrebbe mai pagarsi la chemioterapia.
La verità è che costoro, nonostante sproloquino incessantemente di «bene comune», la sanità come servizio pubblico e universale non hanno proprio idea di cosa sia.
Del resto, come potrebbero, se ormai subordinano l’appartenenza stessa al consesso umano a una certificazione su base etica da parte dello Stato?
E in fondo, non sono proprio loro quelli che la sanità l’hanno aziendalizzata, tagliata con la mannaia, privatizzata e semi-smantellata, con le conseguenze che abbiamo visto l’anno scorso?
2. Il lasciapassare ti convince che la colpa è tua, o meglio: del tuo prossimo
Il lasciapassare è lo strumento con cui il governo prosegue la strategia adottata fin dall’inizio della pandemia, quella di metterci tutti sul chi vive gli uni contro gli altri. In questo caso potremmo dire: “sul chi merita di vivere” e chi invece deve stare chiuso in casa «come un sorcio».
Deviare l’attribuzione di responsabilità verso il basso e disperderla in orizzontale è ciò che ha fatto la classe dirigente fin dai primi di marzo del 2020.
Prima il nemico pubblico era chi faceva la «corsetta» o anche solo la passeggiata. Ricordiamo bene la volta in cui il sindaco di Bologna Virginio Merola paragonò le persone che continuavano a fare due passi o fare jogging a «sacche di resistenza» da sgominare, aggiungendo: «Ci sono ancora alcune zone, in particolare nelle periferie, dove il richiamo del verde è molto forte.»
Questo, rammentiamolo, mentre le fabbriche di Confindustria restavano aperte e treni e bus giravano carichi di pendolari.
Oggi è assodato che il divieto di camminare nei parchi e in generale di stare all’aperto non aveva il minimo fondamento scientifico. Qui citiamo il New York Times:
«There is not a single documented Covid infection anywhere in the world from casual outdoor interactions, such as walking past someone on a street or eating at a nearby table».
Poi c’è stata la campagna – forse la più demenziale – contro... i «furbetti di Pasquetta», gente che progettava di commettere gravi crimini come fare una gita in collina o raggiungere la propria casa delle vacanze.
Poi si è sferrato l’attacco alla «movida», termine spagnolo ma che si usa così solo in Italia. Ancora una volta gente che stava all’aperto, nelle piazze, fuori dalle rotte reali del contagio.
Poi è stato il turno degli stronzi irresponsabili che erano andati in ferie, molti dei quali... usando il «Bonus vacanze» dato loro dal governo.
Nel frattempo c’era la voga del dare a chiunque del «negazionista».
Poi c’è stato l’obbligo di mascherina all’aperto, e chiunque dicesse che era insensato – cioè dicesse la pura verità – era un «no mask», altro esempio di anglicorum di regime.
E mica li abbiamo elencati tutti, i diversivi e i capri espiatori.
Ogni volta si è trovato un modo di scaricare su bersagli implausibilissimi le colpe del governo e dei padroni, al fine da continuare a gestire l’emergenza in modo capitalistico, facendo leva sulla pandemia per un’enorme ristrutturazione.
Ora è il turno dei «no vax», e ormai viene chiamato così chiunque non abbia il lasciapassare, e persino chi ce l’ha ma non lo descrive in modo encomiastico.
A illustrare al meglio come funziona la deresponsabilizzazione, l’amore di Confindustria per il lasciapassare.
I lavoratori nelle aziende sanno bene che il rischio calcolato sulla loro pelle durante i picchi pandemici del 2020 è stato altissimo. Quante mense aziendali sono state chiuse per focolai Covid l’anno scorso? Nemmeno ne è giunta notizia. Se uno studente trovato positivo implicava il tampone per tutta la classe e la sospensione delle lezioni in presenza in attesa degli esiti, per gli operai non è mai stato così, o almeno nessuno ha controllato che lo fosse.
Nella maggior parte dei casi il lavoratore positivo al tampone veniva messo a casa in malattia per due settimane e amen. In malattia, non per infortunio come previsto dall’art. 42 del D.L. n. 18/2020. La differenza non è da poco: se sei in malattia l’Inail non riceve alcun avviso, tutto si ferma lì, i tuoi colleghi non vengono tamponati e la produzione non subisce stop né rallentamenti. È grazie a quest’escamotage che i focolai nelle fabbriche sono rimasti invisibili. Nel mondo sindacale lo sanno tutti, è un segreto di Pulcinella.
Massimo rischio per i lavoratori, minimo rischio per l’azienda.
Ora quegli stessi lavoratori si ritrovano appeso all’ingresso dello stabilimento un bel cartello del padrone che dice che chi non ha il lasciapassare per entrare a mensa deve fare il tampone rapido ogni 72 ore – cioè due tamponi a settimana – al costo di €25 cada uno, duecento euro al mese che verranno addebitati in busta paga. Non c’è bisogno di essere «no vax» per incazzarsi. Basta pensare che lo stesso padrone che prima se ne fotteva della tua salute, ora ti costringe ad assumerti la responsabilità che lui non ha mai voluto assumersi, sotto il ricatto di una penalizzazione salariale.
Ma l’amore di Confindustria – e Confapi, il suo corrispettivo per la piccola e media impresa – si è fatto ancora più forte. I padroni premono sui sindacati confederali e sul governo per ottenere – unici in Europa – l’obbligo vaccinale per gli operai. Chi non ha il lasciapassare non deve proprio poter lavorare.
Il lasciapassare degli operai è in realtà un salvacondotto per i padroni. Anche se la situazione dovesse peggiorare, la produzione non correrà mai il rischio di fermarsi.
Il lasciapassare è una garanzia che, qualunque cosa accada, si proseguirà coi diversivi.
3. Il lasciapassare non estende l’area del possibile, anzi, la restringe
Dal punto di vista dei comportamenti il lasciapassare non cambia nulla: rimane la mascherina al chiuso, rimane il distanziamento ecc. Viene però introdotta una discriminazione, in base alla quale certe persone potranno fare meno cose di quante ne potevano fare prima. Ancora una volta citiamo Isver:
«Prima fai di tutto per convincermi che in assenza di vaccini le regole di comportamento fanno la differenza. Poi arrivano i vaccini. Quindi per convincermi che sono i vaccini a fare realmente la differenza, metti in discussione l’utilità delle regole di comportamento. Ma non nelle condizioni di prima. Prima era prima. Le regole di comportamento non bastano più… adesso! Adesso che più di [sette] italiani su dieci sono vaccinati. Quindi in sostanza bisogna vaccinare tutti per ripristinare le condizioni di sicurezza di quando non c’erano i vaccini. Non fa una piega.
in assenza di vaccini, erano tutti assolutamente certi che per azzerare la circolazione del virus fossero sufficienti [portare la mascherina, lavarsi le mani e restare distanziati]. Adesso, con la maggioranza assoluta delle persone vaccinata, uno si aspetterebbe che a dover rispettare quelle sacre regole fosse la minoranza non vaccinata. E invece no! Sono i vaccinati a doverle rispettare, mentre per i non vaccinati non bastano più nemmeno quelle. Fra un po’ non potranno più nemmeno lavorare, quando appunto un anno fa era essenziale che rischiassero la vita anche per produrre cazzi di gomma.
Ora, a me sta benissimo che se prima nessuno poteva andare allo stadio, per dire, adesso possa andarci solo chi ha il green pass. È una condizione per la riapertura di uno spazio altrimenti chiuso. Quello che non mi sta bene è che adesso possa prendere il treno solo chi ha il green pass, quando prima lo potevano prendere tutti indistintamente. Questa per me è discriminazione e basta.
[...] Come abbiamo fatto a mettere in sicurezza gli ospedali e gli ambulatori prima che gli operatori sanitari avessero la possibilità di immunizzarsi? Eppure l’abbiamo fatto. Adesso però, col [70]% di popolazione vaccinata e il [99]% di operatori vaccinati, [descrivono] la situazione [come se fosse] peggiorata, anziché migliorare.»
Chi ha il lasciapassare può fare ciò che prima poteva fare anche senza. Chi non ce l’ha, non può più fare ciò che prima poteva fare purché con mascherina e distanziato.
L’asticella dei requisiti per poter vivere, lungi dall’abbassarsi, si è alzata. Senza alcun peggioramento della situazione da poter addurre a “giustificazione”.
4. Controllo padronale, invasione della privacy, discriminazione
Il lasciapassare è uno strumento di discriminazione dei lavoratori che facilita il controllo padronale, i licenziamenti, le vessazioni.
Chi può esserne esentato per motivi di salute – c’è gente che non può oggettivamente vaccinarsi – o non si vaccina per resistenze personali – giuste o sbagliate che siano, comunque legittime – oltre a dover restare fuori da certi luoghi sarà tenuto a giustificarsi con il datore di lavoro, ovvero a dargli una serie di informazioni private sulla propria salute o sulle proprie convinzioni che resteranno nella disponibilità di quest’ultimo e che potrebbero esporre il lavoratore all’ostracismo dei colleghi (come sta avvenendo in certe fabbriche).
Fabbriche dove il lasciapassare alimenterà cultura del sospetto e della delazione. Come ha scritto in una discussione qui su Giap Ibnet:
«In questo ormai lunghetto periodo pandemico [...] ne abbiamo vissute di tutte, tra gente armata nelle strade, balcodelazioni incoraggiate via TG, gogne social, fabbriche aperte vs cimiteri chiusi. Quello che il green pass spinge al livello successivo è la possibilità di ogni lavoratore, in scuole, uffici, ristorazione, fabbriche, di essere nominato dai padroni come responsabile del controllo di colleghi e clienti. Controllo di adesione a raccomandazioni governative, tutte emanate in stato di emergenza continuo senza alcun controllo (quello che ci piace) popolare verso i dirigenti. Controllo effettuato da gente non preparata e che non ha mai scelto di fare il controllore.»
Più in generale, come ha ricordato l’ex-magistrato Livio Pepino:
«Gli effetti a lungo termine dell’erosione di un principio o di un diritto fondamentale [...] sono imprevedibili. Ed è per questo che la normativa europea (a cui pure la legislazione nazionale dovrebbe uniformarsi) è drastica nell’escludere la possibilità di strumenti siffatti. Il punto 36 del regolamento UE 953/2021 prevede, infatti, che “è necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che [...] hanno scelto di non essere vaccinate” e ad esso si affianca la risoluzione n. 2361/2021 del Consiglio d’Europa, che, nei punti 7.3.1 e 7.3.2, prescrive di “assicurare che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è politicamente, socialmente o altrimenti sottoposto a pressioni per farsi vaccinare” (punto 7.3.1) e di “garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato o per non voler essere vaccinato” (punto 7.3.2).»
E d’altro canto, anche l’OMS sostiene una posizione molto simile, quando sconsiglia l’introduzione dell’obbligo vaccinale [3].
5. «Tanto verrà applicato all’Italiana» e altre belle obiezioni (e benaltrismi)
– Ma sì, tanto sarà applicato a cazzo di cane, si risolverà in una cialtronata, non merita di occuparsene!
Il fatto che la gestione della pandemia sia cialtrona dovrebbe farci preoccupare di più, non di meno.
Non solo perché la cialtroneria – soprattutto in Italia – non è in antitesi con l’autoritarismo, anzi, ne è una caratteristica fondamentale (cosa c’era di più cialtrone del fascismo?). No, c’è di più di questo. Di mossa cialtrona in mossa cialtrona – regolarmente sottovalutata perché tanto è cialtrona – si stabiliscono precedenti via via più gravi.
Lo ha detto bene Wolf Bukowski: «I provvedimenti/sparate del governo sono random, ma quelli che sopravvivono, cioè diventano effettuali, sono quelli che mostrano maggiore adattabilità rispetto al sistema di governo e all’emergenza.»
– Ma perché vi scaldate tanto? Anche la patente è un documento senza il quale non puoi fare certe cose...
Ha già risposto perfettamente Livio Pepino:
«l’abilitazione alla guida (così come quella all’esercizio di una professione) riguarda l’esistenza o la mancanza dei requisiti tecnico-professionali per svolgere una specifica attività e pone una differenza di trattamento solo con riferimento a quella attività e non a una generalità (potenzialmente indeterminata) di situazioni.»
– Invece di perdere tempo col green pass che è un diversivo perché non parlate del fatto che la sanità è messa come prima se non peggio, della ristrutturazione, dei licenziamenti, delle devastazioni…?
Insomma, tu spieghi che il lasciapassare è un diversivo, e che anche grazie al lasciapassare il capitale potrà continuare a ristrutturare, licenziare, devastare e continuare a privatizzare la sanità; loro ribattono che... è tutta una perdita di tempo perché mentre noi parliamo del lasciapassare il capitale ristruttura, licenzia, devasta...
Logica ineccepibile.
Fine della prima puntata / 1 di 2
Aggiornamento 09/09/2021: la seconda puntata è qui.
N.B. I commenti saranno attivati solo con la pubblicazione della seconda puntata, che avverrà nei prossimi giorni (e includerà il calendario dei nostri appuntamenti pubblici da settembre a novembre 2021).
NOTE
1. Sul concetto di «nomi separatori» si veda qui.
2. Qui un interessante dibattito sulla questione: ha senso o no un tale disclaimer?
3. Il documento ufficiale «COVID-19 and mandatory vaccination: Ethical considerations and caveats» spiega perché in generale l’obbligo è raramente una buona idea, sia sotto vari aspetti concernenti l’etica e la bioetica, sia per quanto riguarda la sua efficacia. Va letto tutto, ma in sintesi si afferma che se un determinato fine di salute pubblica «can be achieved with less coercive or intrusive policy interventions (e.g., public education), a mandate would not be ethically justified, as achieving public health goals with less restriction of individual liberty and autonomy yields a more favourable risk-benefit ratio.»
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