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22/08/2021

L’addio a Gino Strada


Austero, semplice, accogliente, efficace, senza fronzoli retorici. Anche l’appuntamento a Milano, a Casa Emergency, per l’ultimo omaggio al fondatore, è stato costruito nello stile di Gino Strada.

Non ci poteva essere il corpo, ad una settimana dalla morte in Francia, e dunque sotto la grande scritta – “I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi” – c’era l’urna con le sue ceneri. E i Pink Floyd ad accompagnare i pensieri di ognuno.

Centinaia di persone erano in attesa sotto il sole e in un caldo umido soffocante, disperse in gruppi alla ricerca di un po’ di ombra, già molto prima dell’apertura dei cancelli.

Il numero è cresciuto intorno alle 16, dando forma a due lunghe file parallele che iniziavano dentro il vicino parco, dietro la basilica di Sant’Eustorgio.

La certezza è che in qualsiasi altro periodo dell’anno sarebbero state dieci volte di più, come minimo.

È facile vederci la Milano migliore, quella che – qualsiasi mestiere si faccia e qualsiasi posto si occupi nella scala sociale – non vive chiusa nel proprio gretto egoismo individuale.

Un melting pot sociale in cui, girando lo sguardo, riconosci e distingui subito l’architetto dall’operaio, il sindacalista non venduto dall’impiegato non affogato nel tran tran. E anche qualche anziano ragazzo che aveva “occupato le strade con i sogni”, palesemente a proprio agio con il fazzoletto sul volto. Pardon, con la mascherina...

In silenzio e nell’”anonimato di massa”, perché il protagonista è colui cui si viene a rendere l’ultimo saluto, giovani e anziani militanti, tra cui si individuano Giorgio Cremaschi, Bianca Tedone (unica donna candidata a sindaco di Milano, con Potere al Popolo) e tanti altri.

È stato risparmiato l’oltraggio delle bandiere di partito o di associazione, nonostante le amministrative siano oramai alle porte. Un paio di quelli che ci hanno provato lo stesso sono stati gentilmente invitati ad avvolgerle e posarle in un angolo.

Ma non potevano mancare i “personaggi” a caccia di una telecamera, come il vanesio sindaco attuale – apparso davvero “stonato” rispetto al contesto – e altri antichi protagonisti della vita politica milanese, che non hanno ormai più nulla da dire e da chiedere (come Capanna).

L’arrivo di don Ciotti, invece, circondato come sempre da agenti Digos in borghese, dava l’idea dell’ingresso di truppe in un campo estraneo.

Ma è stata la gente “normale” la vera protagonista dell’omaggio. Quella che aveva saputo cogliere fin dall’inizio la differenza assoluta tra Gino Strada e i tanti “chiacchieroni” che popolano il palcoscenico italico: fare quello che si dice, praticare la solidarietà reale, fatta di azione e organizzazione. Niente retorica, nessun fuoco d’artificio di “professionisti della comunicazione”, nessuna menzogna.

Mettere se stessi nella pratica dei propri ideali e realizzarsi a forza di intelligenza, fatica, rischio non teorico. Perché nei teatri di guerra si spara davvero, non come nei film. E tu disarmato, forte solo del tuo essere davvero “neutrale” curando chiunque arrivi al tuo ospedale, non puoi mai essere davvero sicuro che qualche imbecille – sceso dalle montagne o alla guida di un drone, comodamente seduto in una base Usa – non ti elegga a suo bersaglio di giornata.

Gli esempi si danno con le azioni. In questo Gino Strada è stato davvero insuperabile. E costringe al silenzio tutti, comunque la si pensi.

Ciao, Gino.

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