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25/08/2021

Il capolavoro dei Coroner ha compiuto trent’anni

L’internet, e nella fattispecie Facebook, è quel luogo in cui ti ricordano continuamente cose. Quando si leggevano le riviste cartacee, che è poi il periodo in cui ho iniziato a seguire il metal io, nessuno parlava di date e ricorrenze. Non c’era un “ventennale di Houses of the Holy dei Led Zeppelin” o roba del genere.

Oggi, ovviamente, non esistono più gli uffici stampa dei gruppi (gruppi che comunque nessuno si caga), ma tutto viene condiviso su Facebook, e i Coroner sono uno dei tanti gruppi che mi capita di seguire sull’internette, soprattutto perché spero, un giorno, di poterli vedere dal vivo in un’occasione come quella che celebriamo oggi qua. Non che i Coroner ai tempi avessero un ufficio stampa. A parte gli Helloween, non mi viene in mente proprio nessuno nel roster della leggendaria Noise Records che si potesse permettere di vivere di musica solamente, senza doversi trovare un lavoro per mettere il pane, o i pretzel, in tavola.

Una di quelle ricorrenze che ogni tanto capita di vedere nella homepage del social network più perbene che ci sia è stato il trentennale di Mental Vortex, avvenuto esattamente lo scorso 12 di Agosto. Ora, voglio dire, MENTAL VORTEX. Che cazzo. Avete presente? Beh, se non avete presente (e dovreste vergognarvi), Mental Vortex è semplicemente la summa totale globale di quella spinta creativa che il thrash ebbe, poco prima di schiantarsi sul Faraglione degli anni novanta come Fantozzi nel Secondo Tragico Fantozzi, tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta e che fu conosciuta come “techno-thrash”.

A pensarci bene era naturale che un gruppo come questi pazzi pazzi svizzeri fosse predestinato ad avere un tale onore. Prendete perfino gli esordi dei Coroner, e paragonateli, per tecnica, inventiva e visionarietà, al resto del mondo. Semplicemente degli alieni. R.I.P. era uno dei pochi dischi che dimostrava già una maturità spaventosa pur essendo un esordio. Quanti sono i gruppi di cui si può dire lo stesso?

Mental Vortex fu anche il loro primo disco che sentii, comprato in una piccola rivendita di dischi usati nel centro storico di Cagliari, gestita da un tizio la cui faccia faceva pensare fortissimamente a notti solitarie (o in compagnia) nel resort a cinque stelle di Buoncammino, e gli attenti e numerosi lettori sardi sanno di cosa sto parlando.

Fu uno shock totale, a partire dalla copertina hitchcockiana, e a seguire con l’indimenticabile attacco di Divine Step, quel riff, quei cambi, quelle parole, e quelle chitarre taglienti come rasoi ma compresse in maniera claustrofobica grazie all’eccellente lavoro in fase di produzione e missaggio del leggendario Tom Morris e di Karl Walterbach (altri tempi, altri uomini). Qua ci sono il ringhio di Ron Royce, l’inventiva e la tecnica strepitosa di Tommy Vetterli, seriamente uno dei migliori chitarristi della sua generazione in ambito metal tutto, e tantissime altre cose belle e interessanti. Semplicemente di un altro pianeta. Un prodotto impreziosito anche da una vena psichedelica e visionaria come solo i Voivod potevano permettersi all’epoca.

Mental Vortex è un gigante che si erge a imprescindibile metro di paragone per qualsiasi prodotto mai uscito che avesse ambizioni di avanguardia o innovazione melodica nella branca più aggressiva del metal. Son of Lilith, la scurissima e delirante Semtex Revolution, con quel testo scarno ed essenziale che, decantato come un flusso di coscienza, la eleva a pezzo di riferimento nel metal per ciò che concerne la descrizione dell’estremismo politico. E poi Sirens, la fantascientifica Metamorphosis e così via fino alla cover di I Want You (She’s so heavy) dei Beatles, che sta su tutti i manuali dell’esecuzione di cover a fare da paradigma su come si fanno le cover.

I Coroner, alla fine dei giochi, altro non sono che i Rush del metal. Un power trio che suona come se ci fosse un’orchestra dietro, senza limiti creativi e con un’intelligenza musicale fuori dal comune, e oggi non possiamo che umilmente chinarci e celebrare un disco come Mental Vortex per quello che è, ovvero uno dei punti di arrivo della musica da quando qualcuno ebbe l’idea di attaccare una chitarra a un amplificatore. (Piero Tola)


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