La bastonata presa dagli Stati Uniti e da tutta la “comunità internazionale” al loro seguito sta cominciando a seminare analisi molto più concrete della situazione che si è venuta a creare. E nell’insieme delineano la fine di quell’”eccezionalismo americano” che era parte integrante del “pensiero unico” occidentale dopo la Caduta del Muro (1989).
D’altro canto, anche l’assalto degli sciamani a Capitol Hill, a gennaio, aveva mostrato che quell’”eccezionalismo” – sul fronte interno, della “struttura istituzionale democratica” – ormai è un lontano ricordo. La pandemia, infine, si è aggiunta al cambiamento climatico come fattore di accelerazione delle dinamiche di crisi.
Nel proporvi la lettura di questo editoriale di Guido Salerno Aletta, apparso su TeleBorsa (non proprio tra le testate a noi vicine…) vorremmo segnalare i rilievi che ci sembrano più importanti e segnano perciò un passaggio d’epoca, aiutando indirettamente a uscire dal cono d’ombra ideologico-culturale in cui s’è smarrita da decenni “la sinistra”.
Quell’eccezionalismo, infatti, aveva riempito il vuoto di progettualità e visione alternativa che il “campo socialista” – pur con i suoi immensi limiti che ne hanno causato ad un certo punto il crollo – rappresentava.
Di fronte al vuoto, e per molti versi al baratro delle alternative visibili, a molti era venuto naturale accettare quell’eccezionalismo com eil male minore.
Ricordiamo pensosi e malpensati editoriali di giornali “comunisti” – da il manifesto in giù – interrogarsi sul cosa fosse peggio, se l’evidente voglia di comando Usa oppure il “terrorismo islamico”, fino a banalizzazioni come “preferisco i jeans al burka”.
Ora quella cappa si è incrinata, anzi sta andando in mille pezzi agli occhi di tutti. Ed emergono problemi che sembravano scomparsi, se non risolti.
Per esempio.
Qual’è la sede per definire una legalità internazionale condivisa?
Dopo l’89 la questione era stata eliminata. Gli Stati Uniti indicano la via, il nemico, le ragioni della guerra e dell’azione (militare o economica, via sanzioni). Gli europei si aggregano come vassalli e una serie di paesi molto più deboli si mettono in scia, come valvassini speranzosi.
Chi obbiettava a questo nuovo ordine veniva rapidamente messo sullo scomodo trono dei “nuovi nemici”, immediati o di lungo periodo (se troppo grandi e forti).
La sconfitta in Afghanistan, sommata alla crisi democratica dell’assalto al Congresso, dimostra che quell’ordine non funziona più. Era infame e ingiusto anche rima, ovviamente, ma almeno era “efficace”. Adesso non più. E siccome sul piano internazionale contano solo i rapporti di forza (economici, non solo militari) serve una sede in cui questi rapporti vengono regolati consensualmente. Non unilateralmente.
Quella sede non è il G7 (che si è chiuso chiedendo aiuto a Russia e Cina per tenere sotto controllo l’Afghanistan; dimostrazione di impotenza assoluta, altro che “grande pensata” di Mario Draghi). E non è nemmeno il G20, come dimostrato dai nulla di fatto su tutti i dossier aperti in questo anno di “presidenza italiana” (dall’ambiente all’istruzione, alla salute).
Non resta che l’Onu, certamente da ricostruire nella sua centralità. E tanti saluti alla “comunità internazionale” aggregata intorno agli Usa.
Ma se cambia la sede e i pesi specifici, cambiano anche le regole del gioco. Addio perciò all’”ingerenza umanitaria” (sottile velo ipocrita steso sul diritto unilaterale di guerra e invasione), ripristinando il principio della “non ingerenza negli affari interni di un altro paese”.
Il che vale anche per lo strumento dlele sanzioni, così ossessivamente usato contro Cuba, Venezuela, ecc, ma che è diventato autolesionista quando applicato a roba pesante come Russia, Cina, ecc.
Altro punto rilevante, per ragionare sull’indispensabilità di una “visione” alternativa al “pensiero unico neoliberista”, è il peso assunto dalle religioni – e in primo luogo dall’Islam, in una serie di paesi – come “concezione del mondo” in grado di unificare strati sociali nella resistenza o nella contrapposizione all’Occidente.
Anche qui si tratta di un boomerang che ci ha messo qualche decennio per tornare alla base, perché l’islamismo integralista è stato stimolato e finanziato abbondantemente proprio per accelerare la crisi del “socialismo reale”. Così che il vecchio alleato anticomunista è diventato un nemico-falso amico particolarmente insidioso.
Ancora peggio. L’emergere di una “opposizione religiosa” al sistema neoliberale occidentale ha provocato, per reazione, un integralismo cristiano di ritorno nei paesi occidentali. Che fa da collante ideologico per nuovi nazionalismi a corto di “visione” autonoma per quanto riguarda il sistema sociale (sono neoliberisti anche loro, pur se espressione di capitali e figure sociali non proprio di prima fila).
Il che pone problemi enormi, come abbiamo visto, anche negli stessi Stati Uniti, dove il trumpismo ha fin qui prodotto una sintesi sconclusionata ma “persuasiva” a livello di massa.
Non è che l’inizio di questa fase nuova.
Riprendere a pensare un’alternativa significa non solo “opporsi” a quel che l’imperialismo e il capitale fa, ma ridisegnare una visione del mondo in grado di fare da collante unitario per le lotte su tutti i fronti.
Un altro mondo è possibile e necessario, questo è certo. Ma quale?
D’altro canto, anche l’assalto degli sciamani a Capitol Hill, a gennaio, aveva mostrato che quell’”eccezionalismo” – sul fronte interno, della “struttura istituzionale democratica” – ormai è un lontano ricordo. La pandemia, infine, si è aggiunta al cambiamento climatico come fattore di accelerazione delle dinamiche di crisi.
Nel proporvi la lettura di questo editoriale di Guido Salerno Aletta, apparso su TeleBorsa (non proprio tra le testate a noi vicine…) vorremmo segnalare i rilievi che ci sembrano più importanti e segnano perciò un passaggio d’epoca, aiutando indirettamente a uscire dal cono d’ombra ideologico-culturale in cui s’è smarrita da decenni “la sinistra”.
Quell’eccezionalismo, infatti, aveva riempito il vuoto di progettualità e visione alternativa che il “campo socialista” – pur con i suoi immensi limiti che ne hanno causato ad un certo punto il crollo – rappresentava.
Di fronte al vuoto, e per molti versi al baratro delle alternative visibili, a molti era venuto naturale accettare quell’eccezionalismo com eil male minore.
Ricordiamo pensosi e malpensati editoriali di giornali “comunisti” – da il manifesto in giù – interrogarsi sul cosa fosse peggio, se l’evidente voglia di comando Usa oppure il “terrorismo islamico”, fino a banalizzazioni come “preferisco i jeans al burka”.
Ora quella cappa si è incrinata, anzi sta andando in mille pezzi agli occhi di tutti. Ed emergono problemi che sembravano scomparsi, se non risolti.
Per esempio.
Qual’è la sede per definire una legalità internazionale condivisa?
Dopo l’89 la questione era stata eliminata. Gli Stati Uniti indicano la via, il nemico, le ragioni della guerra e dell’azione (militare o economica, via sanzioni). Gli europei si aggregano come vassalli e una serie di paesi molto più deboli si mettono in scia, come valvassini speranzosi.
Chi obbiettava a questo nuovo ordine veniva rapidamente messo sullo scomodo trono dei “nuovi nemici”, immediati o di lungo periodo (se troppo grandi e forti).
La sconfitta in Afghanistan, sommata alla crisi democratica dell’assalto al Congresso, dimostra che quell’ordine non funziona più. Era infame e ingiusto anche rima, ovviamente, ma almeno era “efficace”. Adesso non più. E siccome sul piano internazionale contano solo i rapporti di forza (economici, non solo militari) serve una sede in cui questi rapporti vengono regolati consensualmente. Non unilateralmente.
Quella sede non è il G7 (che si è chiuso chiedendo aiuto a Russia e Cina per tenere sotto controllo l’Afghanistan; dimostrazione di impotenza assoluta, altro che “grande pensata” di Mario Draghi). E non è nemmeno il G20, come dimostrato dai nulla di fatto su tutti i dossier aperti in questo anno di “presidenza italiana” (dall’ambiente all’istruzione, alla salute).
Non resta che l’Onu, certamente da ricostruire nella sua centralità. E tanti saluti alla “comunità internazionale” aggregata intorno agli Usa.
Ma se cambia la sede e i pesi specifici, cambiano anche le regole del gioco. Addio perciò all’”ingerenza umanitaria” (sottile velo ipocrita steso sul diritto unilaterale di guerra e invasione), ripristinando il principio della “non ingerenza negli affari interni di un altro paese”.
Il che vale anche per lo strumento dlele sanzioni, così ossessivamente usato contro Cuba, Venezuela, ecc, ma che è diventato autolesionista quando applicato a roba pesante come Russia, Cina, ecc.
Altro punto rilevante, per ragionare sull’indispensabilità di una “visione” alternativa al “pensiero unico neoliberista”, è il peso assunto dalle religioni – e in primo luogo dall’Islam, in una serie di paesi – come “concezione del mondo” in grado di unificare strati sociali nella resistenza o nella contrapposizione all’Occidente.
Anche qui si tratta di un boomerang che ci ha messo qualche decennio per tornare alla base, perché l’islamismo integralista è stato stimolato e finanziato abbondantemente proprio per accelerare la crisi del “socialismo reale”. Così che il vecchio alleato anticomunista è diventato un nemico-falso amico particolarmente insidioso.
Ancora peggio. L’emergere di una “opposizione religiosa” al sistema neoliberale occidentale ha provocato, per reazione, un integralismo cristiano di ritorno nei paesi occidentali. Che fa da collante ideologico per nuovi nazionalismi a corto di “visione” autonoma per quanto riguarda il sistema sociale (sono neoliberisti anche loro, pur se espressione di capitali e figure sociali non proprio di prima fila).
Il che pone problemi enormi, come abbiamo visto, anche negli stessi Stati Uniti, dove il trumpismo ha fin qui prodotto una sintesi sconclusionata ma “persuasiva” a livello di massa.
Non è che l’inizio di questa fase nuova.
Riprendere a pensare un’alternativa significa non solo “opporsi” a quel che l’imperialismo e il capitale fa, ma ridisegnare una visione del mondo in grado di fare da collante unitario per le lotte su tutti i fronti.
Un altro mondo è possibile e necessario, questo è certo. Ma quale?
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Torniamo all’ONU: basta G7, G20 e diplomazie telefoniche
Torniamo all’ONU: basta G7, G20 e diplomazie telefoniche
Guido Salerno Aletta – Editorialista dell’Agenzia Teleborsa
Il 15 agosto 2021 è finita un’epoca, quella dell’Eccezionalismo americano, quella in cui gli Usa hanno dominato con le proprie scelte unilaterali la scena mondiale, essendo rimasta l’Unica Superpotenza Globale avendo fatto collassare l’URSS ed il sistema di Paesi comunisti di cui era a capo.
Si sono arrogati il “dovere di proteggere i popoli”, intervenendo militarmente in Serbia senza alcuna preventiva deliberazione dell’ONU, per porre fine al massacro della “minoranza musulmana”.
Gli USA hanno sostenuto le Primavere arabe, provocando la caduta delle cosiddette democrature arabe, da Ben Alì in Tunisia ad Hosni Mubarak in Egitto.
Hanno addirittura denunciato al Tribunale penale internazionale il Colonnello Gheddafi, per aver compiuto massacri a danno della popolazione inerme, colpevole solo di protestare contro di lui ed il suo regime dittatoriale, quando né gli USA né la Libia hanno mai aderito al Trattato istitutivo di tale Corte: tutto ha fatto gioco, per farlo infine assassinare.
Questo è stato il sistema unipolare che ha deciso le sorti del mondo a partire dall’8 dicembre 1991, ormai trent’anni fa, quando collassò l’URSS.
Finì l’epoca, iniziata nel ’46 con il discorso pronunciato a Fulton, nel Missouri, da Winston Churchill in cui il mondo era sostanzialmente diviso in due aree di influenza: quella cosiddetta occidentale, democratica e liberista, guidata dagli Usa ed il Blocco dei Paesi comunisti guidati con molta determinazione dall’Unione Sovietica.
C’era, sì, il terzo mondo, quello che faceva capo alla Cina di Mao-Tse-Tung ed ai Paesi non allineati.
Lo scontro era politico, ideologico, militare, ed era condotto secondo i canoni del laicismo, se non addirittura con il divieto di professare una religione come accadeva in Russia.
È pur vero che ai Partiti di ispirazione cattolica, in Germania ed in Italia, fu assegnato il compito di emendare le colpe dei rispettivi popoli che si erano lasciati trascinare dal Nazismo e dal Fascismo scatenando la Guerra, contrastando il pericolo del dilagare del Comunismo nella parte dell’Europa assegnata all’influenza americana.
Nel Giappone piegato con il bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki, l’Imperatore dovette rinunciare alla sua legittimazione divina.
Nessun Paese era governato dall’Islam integralista, visto che la Turchia era rimasta fedele ai dettami di Ataturk e che le monarchie che governavano durante la prima fase della decolonizzazione, da Re Idris in Libia a Re Faruk in Egitto, per non parlare del regime laico di Mossadeq in Persia, cui seguì il trono dello Scià Reza Pahlavi.
La Persia, ora Iran, come lo stesso Afghanistan, erano Paesi laici. La legittimazione religiosa residuava praticamente solo in Arabia Saudita, basata sulle regole islamiche del wahabitismo.
A partire dal ’78, per battere l’URSS, si è fatto sempre più spesso ricorso all’uso dell’estremismo religioso islamico: prima imponendo l’Ayatollah Khomeini in Persia, nel ’78, e subito dopo finanziando i Mujiaddin per rovesciare il governo filo-russo in Afghanistan.
Un po’ tutti hanno adottato questa deriva distruttiva, Paesi arabi e non, che hanno voluto controllare ampi strati di popolazione musulmana emigrata in Europa, o destabilizzare regimi ostili.
Chi ha seminato questo vento, ne sta raccogliendo la tempesta.
Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu prevedeva la presenza come membri permanenti dei rappresentanti delle cinque Potenze vincitrici: USA, Inghilterra, Francia, Russia e Cina. La verità è che si pensava alla rappresentanza della Cina nazionalista, quella guidata da Chiang-Kai-Shek, che invece venne sconfitto da Mao-Tse-Tung che si pose a capo della Lunga Marcia facendo infine prevalere un regime di ispirazione comunista, mentre il suo avversario si rifugiava nell’isola di Formosa (ora conosciuta come Taiwan).
Fino alla dissoluzione dell’URSS, l’ONU è stata la sede in cui si sono affrontate, anche se non risolte, tutte le controversie internazionali: il potere di veto, attribuito come privilegio ai 5 Grandi che sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, consentiva di bloccare le deliberazioni sgradite a ciascuno di questi.
Insomma, il sistema era stato congegnato in modo tale che si potesse agire solo quando i Cinque fossero d’accordo. Gli altri membri non permanenti, anche se più numerosi, potevano fare ben poco.
La carta dell’ONU prevede i diritti fondamentali dell’Uomo ed il principio di Non Interferenza negli Affari interni di ciascun Paese. Le garanzie di libertà politica hanno come limite il rispetto dei diritti individuali: è un compromesso che consente la autodeterminazione dei Popoli in un contesto di garanzia.
La crisi afghana, con il tema della evacuazione dei cittadini e dei militari degli Stati intervenuti dopo il 2001, e soprattutto con quello delle garanzie per coloro che hanno collaborato con gli Occupanti, non può essere risolto al tavolo del G7, minacciando in modo unilaterale, come già si è fatto, il blocco delle riserve valutarie, dei depositi bancari all’estero, degli aiuti internazionali.
Il sistema delle sanzioni economiche, finanziarie e personali su base unilaterale, cui stiamo assistendo da decenni, inizialmente per punire il regime castrista a Cuba, poi per contrastare i progetti nucleari dell’Iran, ed ancora per sanzionare l’annessione della Crimea alla Russia, ed infine per impedire il completamento del North Stream 2, non fa che sbriciolare il quadro delle relazioni internazionali.
Sono il portato di un’epoca in cui l’unilateralismo americano ha soppiantato ogni altra regola, definendo autonomamente sulla base della sua forza economica il torto e la ragione.
Quanto riguarda l’Afghanistan, ci sono gli Accordi di Doha, ma non sono assistiti da alcuna garanzia ulteriore rispetto alla buona volontà delle Due parti firmatarie, il Governo degli Usa e la rappresentanza dei Talebani.
Neppure il legittimo governo afghano è stato parte attiva delle trattative, ma solo il destinatario delle determinazioni conclusive, cui ha dato seguito parzialmente e controvoglia. Parimenti, non sono state Parti, anche se sono state informate della evoluzione delle trattative, gli Alleati della Nato che hanno inviato le loro missioni militari in Afghanistan.
È inutile convocare il G7 per una riunione di emergenza, come ha fatto il Premier britannico Boris Johnson, per via della Presidenza di turno britannica, per chiedere agli Usa di ottenere una serie di garanzie ai Talebani per rispettare il termine del 31 agosto per il ritiro delle truppe anglo-americane ancora sul posto insieme a quelle tedesche intervenute a protezione dei propri concittadini: è un Tavolo in cui si sta seduti tutti da una parte sola.
Ed è ancora peggio demandare la questione al G20, nell’ambito delle iniziative della Presidenza di turno italiana: è una sede velleitaria, opaca e priva di poteri. E’ vero che ne fanno parte anche la Russia e la Cina, e che quindi si tratta di una sede più ampia di dialogo, ma è solo il frutto ormai immangiabile della stagione dell’Unilateralismo americano, volto a bilanciare in qualche modo lo strapotere degli Usa.
Se la Francia, la Gran Bretagna, l’Italia o la Germania hanno qualcosa da dire, non si limitino a diffondere brevi comunicati stampa con i quali danno conto di una telefonata o di una videoconferenza. Presentino, se ne sono capaci, una proposta di deliberazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, magari dopo essersi consultati con i vertici di Stati Uniti, Russia e Cina.
Nella sede ufficiale del Palazzo di Vetro, a New York, in modo pubblico, ognuno deve finalmente prendersi le sue responsabilità davanti al mondo intero.
La crisi afghana non si risolve con un G7 virtuale, con un G30 opaco e senza poteri, o qualche video conferenza.
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