La proposta, comunque la si interpreti, non è di quelle che lascino indifferenti. Il primo pensiero, inconsciamente, va alle infrastrutture che l’URSS aveva cominciato a realizzare in Siberia già a metà anni ’30 (col che, è detto quanto poco Stalin fosse “impreparato all’attacco nazista”), per trasferirvi migliaia di fabbriche, dati gli insidiosi venti di guerra.
Ora, le recenti dichiarazioni del Ministro della difesa russo Sergej Šojgù, pur se non nuove, sulla necessità di costruire alcune nuove grandi città in Siberia, trasformandole in centri scientifici e industriali, e di trasferirvi milioni di cittadini, oltre a spostarvi anche la capitale, un po’ di apprensione la suscitano.
Nemmeno nel 1941 Stalin aveva lasciato la capitale, e solo il Soviet supremo, parte dei Commissariati del popolo, ambasciate straniere, insieme a centinaia di artisti, scrittori, compositori, specialisti di fabbrica erano stati evacuati a Kujbyšev (dal 1990 di nuovo Samara), un migliaio di km a sudest di Mosca.
E ora Šojgù parla di trasferire la capitale in Siberia. Vero che, a ovest, meno di 800 km, per dire, separano il Cremlino dall’ucraina Kharkov, o poco più di 600 dal confine lettone; ma, la situazione è già a un punto tale da dover trasferire la capitale?
Par di capire, però, che se di “guerra” si tratta, non con le armi da fuoco debba venir combattuta, e in gioco non ci sia la “conquista dell’Europa”, bensì il riscontro di una sua progressiva emarginazione dai futuri centri dell’economia mondiale.
Di che si tratta? Šojgù aveva già accennato a qualcosa del genere nel 2012, appena insediato nella carica e ha ripetuto la sua idea il 5 agosto, parlando a Novosibirsk, alla sezione siberiana dell’Accademia delle scienze, motivandola, ora come 9 anni fa, con lo squilibrio demografico tra est e ovest del paese.
Ma, vien da chiedersi: perché proprio il Ministro della difesa? E allora, di che si tratta?
L’osservatore Evgenij Tsots, su IA Rex, mette l’accento proprio sul trasferimento della capitale, «lontano dalle frontiere occidentali», non solo per una questione di sicurezza militare. Mosca, osserva Tsots, non solo è cresciuta, ma si è anche inserita nella futura struttura delle rotte commerciali, quale maggiore nodo ferroviario e stradale, da cui passano i due principali Corridoi internazionali russi: “Est-Ovest” e “Nord–Sud”.
Anche Pietroburgo sta trovando una sua collocazione: dal porto di Ust-Luga (circa 100 km a sudest della “capitale del nord”) partono le merci verso il nord Europa e vi giungono quelle trasportate lungo la rotta artica.
E, però, stante lo sviluppo infrastrutturale e commerciale delle “due capitali”, sta di fatto che, «per la prima volta da secoli, i centri economici del mondo si sono spostati verso oriente», scrive Tsots; «delle cinque principali economie del mondo, solo la Germania rimane a ovest di noi. I principali giganti economici si trovano a est; anche con gli Stati Uniti, la Russia confina a est. La prosperità della Russia sarà determinata dalle relazioni con Cina e India, nonché in parte con i leader tecnologici: Giappone e Corea del Sud. Inoltre, la UE sta cercando di parlare con noi col linguaggio della forza, ultimatum, sanzioni, il che complica lo sviluppo delle relazioni».
Dal punto di vista interno, il trasferimento a est può diventare una «carta vincente nella strategia di sviluppo dei territori orientali del Paese»: insieme alla capitale e agli uffici governativi, verranno trasferite «anche le sedi del grande business, in stretta interazione con gli organi di potere».
In concreto, il «nuovo centro di sviluppo della Russia» viene da molti ipotizzato tra Novosibirsk e Krasnojarsk, nella parte sud-orientale della Siberia occidentale, un’area che costituisce «il centro geografico della Russia e dell’Eurasia, equidistante dai confini occidentali e orientali della Russia e prossima a numerosi partner chiave», da cui partire anche con «insediamenti nei territori orientali oggi spopolati».
Non a caso, i progetti infrastrutturali e viari in via di realizzazione si stanno concentrando nelle aree in cui sono presenti le maggiori risorse naturali e, conseguentemente, dove sono più attive le maggiori società russe, a capitale solo in parte o minimamente pubblico che, per l’appunto, prendono parte attiva alla definizione e all’attuazione di tali progetti.
È il caso della linea ferroviaria di Latitudine settentrionale, nel Circondario autonomo Jamalo-Nenets, lungo il cui percorso si trova il maggior polo petrolifero russo, nell’area di Surgut, circa 1.700 km a nordovest di Krasnojarsk; oppure della nuova autostrada federale M-12, che si dice possa raggiungere Tomsk già in questo decennio, passando per Ekaterinburg, Čeljabinsk, Tjumen’.
L’una e l’altra, nel prossimo futuro, possono essere allungate fino alla “piccola” sezione di confine russo-cinese, stretta tra Mongolia e Kazakhstan, per attrarre parte del carico terrestre dalla Cina verso l’Europa che oggi passa per il Kazakhstan.
È proprio in quest’ultima area, infatti, più precisamente nella vasta regione dei fiumi Angara-Enisej, che è previsto l’enorme progetto “Arca russa”, per la realizzazione di megaimprese e la costruzione di relative città collegate.
I fondi per sviluppare il progetto sono stati disposti nel 2017 dalla Società geografica russa, di cui è presidente lo stesso Ministro della difesa, che, per inciso, è originario della Repubblica di Tuva, a “due passi” (secondo la scala di distanze russa) da quella regione. Nella “Arca russa” dovrebbero confluire singoli progetti quali: “Enisej Siberia”, che coinvolge territorio di Krasnojarsk e le Repubbliche di Khakasija e di Tuva; “Angara inferiore”, “Regione del Bajkal”.
Sembra che “Arca russa” preveda diverse direttrici di manovra: demografica, volta a popolare vaste regioni siberiane oggi quasi disabitate; scientifico-industriale, per lo sviluppo di nuovi giacimenti di minerali e l’avvio di industrie innovative; una manovra sulle reti viarie e ferroviarie; una manovra “Ambientale”, con aree carbon-free e produzione di energia pulita.
Oltre la regione Angara-Enisei si prevede di sviluppare la zona artica, con infrastrutture per la rotta artica e si parla di una ferrovia transeuroasiatica, da Tuva, attraverso la Mongolia occidentale, fino in Cina e India. Il tutto, in ragione dello sviluppo di nuove vaste aree ricche di petrolio, oro, risorse minerarie, con investimenti, manco a dirlo, sia privati che statali.
La questione del trasferimento della capitale in Siberia deve essere risolta nel prossimo futuro, per evitare tendenze centrifughe, avverte Jurij Krupnov, presidente del Collegio dei revisori dell’Istituto di demografia, migrazione e sviluppo regionale.
«La Russia è troppo centralizzata: un settimo della popolazione vive a Mosca e nella regione di Mosca. Contando anche Pietroburgo e Soči, l’ovest del paese attira l’intera popolazione attiva. È necessario interrompere questo flusso». Ma, soprattutto: oggi «il baricentro mondiale è nella regione del Pacifico ed è a quella che dobbiamo avvicinarci».
Krupnov sostiene che le nuove città al di là degli Urali, dovranno avere ognuna una propria specializzazione: ad esempio, potranno essere costruite accanto a grandi giacimenti di petrolio e gas, sull’esempio del «progetto “Vostok Oil” a Tajmyr», il nuovo progetto di “Rosneft” (il 19,75% delle cui azioni è in mano alla britannica “BP”) con una base di 6 miliardi di tonnellate di petrolio.
Tra l’altro, ricordano da più parti, l’idea originaria di trasferire la capitale in Siberia è del peggior nemico di Putin, il defunto Eduard Limonov, e non sembrava andare nella direzione pensata oggi: Limonov sosteneva infatti che, così, si sarebbe sì legata maggiormente «la Siberia al resto della Russia», ma con ciò «spaventando l’invisibile espansione cinese e alleggerendo anche la parte europea della Russia».
Anche il futurologo Sergei Pereslegin, 15 anni fa, aveva lanciato l’idea di trasferire la residenza del Capo di stato a Vladivostok, lasciando a Mosca la Duma, portando il governo a Nižnyj Novgorod, con Banca centrale e Corte Costituzionale a Pietroburgo.
A oggi, la Corte Costituzionale si è trasferita effettivamente a Piter, come anche la sede centrale di “Gazprom”, la maggiore impresa russa, controllata al 51% dal governo. Oggi Pereslegin afferma che «la residenza presidenziale potrebbe andare in uno dei centri più importanti per l’economia e la politica russe. Le grandi imprese seguiranno quel ramo di potere con cui più si relazionano».
Per quanto riguarda il governo, afferma, «a differenza del 2006, oggi non escludo che possa essere trasferito non a Nižnyj Novgorod, ma forse a Irkutsk, dove è in corso una politica industriale molto attiva».
Da parte sua, Jurij Krupnov vorrebbe anche vedere la capitale più vicina all’Estremo Oriente, anche se considera Omsk, ad esempio, un’opzione accettabile; questo perché oggi «il centro federale ha un enorme divario di fuso orario con l’Estremo Oriente, dove i funzionari, per adeguarsi a Mosca, devono lavorare su due turni. Con il trasferimento della capitale», ci si avvicinerà molto «non solo all’Estremo Oriente, ma anche a Cina e Giappone», afferma Krupnov.
E il senatore Vladimir Lukin ha detto a Vzgljad che se «vogliamo davvero sviluppare il Paese secondo i suoi parametri geografici, sarebbe meglio se la capitale si trovasse più vicino al centro geografico», ricordando come al di là degli Urali ci siano più di due terzi del territorio russo, ma ci viva meno di un terzo della popolazione. La capitale, ha detto Lukin, potrebbe essere «uno dei centri della Siberia occidentale, ad esempio la terza città più grande del paese: Novosibirsk».
Tutto questo, ovviamente, qualche perplessità la solleva. L‘Unione della gioventù comunista, per dire, constata come tanto la Siberia quanto l’intera Russia stiano attraversando «la fase della deindustrializzazione e dell’inseparabile spopolamento a essa associato. La popolazione delle città minori si sta riducendo, affluendo verso il centro, in cerca di un lavoro qualsiasi, e tra i lavoratori che migrano, si conta sempre più intellighenzia».
Dunque, non è affatto detto che in molti siano disposti a popolare le “nuove città” siberiane.
Oltretutto, affonda l’ex deputato del Soviet supremo dell’URSS e della Duma russa, Viktor Alksnis, si devono per prima cosa trovare decine di trilioni di rubli per il progetto di Sergej Šojgù; dopo di che, convincere milioni di persone a trasferirsi, e lo si può fare con reali incentivi, quali stipendi significativamente più alti della media russa e persino più di Mosca, alloggi confortevoli e gratuiti, ma soprattutto posti di lavoro con gigantesche imprese industriali, come si faceva in epoca sovietica e non semplicemente con lavori d’ufficio o commessi nei centri commerciali.
«Mi sembra che le esternazioni del Ministro della difesa non siano altro che l’inizio della sua campagna elettorale per la presidenza della Russia. A quanto pare, il Cremlino ha scelto il successore di Putin, allo stesso modo in cui Putin era stato promosso a successore di Eltsin a fine anni ’90», ha detto Alksnis.
Più o meno la stessa cosa la dice il deputato della Duma per il partito governativo “Russia Unita”, Vjačeslav Lysakov, secondo il quale l’attività mediatica del Ministro della difesa su questioni che esulano dalle sue competenze, che si tratti del programma di sostituzione delle importazioni o della proposta per tre o cinque nuove grandi città in Siberia, non è casuale: ciò significa «che il suo status potrebbe essere presto elevato, ad esempio, a vice Primo ministro o addirittura a Primo ministro», e questo potrebbe aprirgli la strada alla carica di presidente di “Russia Unita”.
In rete, l’accoglienza è quantomeno più fredda: «Per quanto riguarda lo stesso Šojgù e le sue promesse di costruire città per l’intellighenzia in Siberia, non dimentichiamo a quale generazione politica appartenga: quella che distribuiva armi automatiche nel 1991 alla Casa Bianca! Questo “manager” è carne e sangue di Eltsin, il tricolore non è per lui una semplice convenzione. E quando, in modo consapevole, si fa il segno della croce passando sotto la torre Spasskaja [nel 2010, sopra la porta della torre, venne ripristinata una icona eliminata negli anni ’30] prima delle parate sulla piazza Rossa, non fa che sottolineare la sua tradizione social-regressiva».
Cos’altro aspettarsi, da un «fedele alleato di Boris Eltsin fin dall’inizio dei “Santi anni ’90” e che, grazie a un suo decreto, passò d’un colpo da tenente a maggior-generale, saltando felicemente i gradi di capitano, maggiore, tenente colonnello e colonnello, un uomo il cui volto vediamo nel governo della Russia quasi ininterrottamente da ben tre decenni; quegli stessi “decenni” a proposito dei quali ci parla della “graduale decomposizione interna della società”. Come se noi non lo sapessimo. Meno male che lui ci ha aperto gli occhi!».
Quantomeno ipocrita appare così il rammarico espresso da chi, come Šoigù, l’URSS ha contribuito ad affossarla, e oggi dice che nella Russia odierna non si possano realizzare quei grandiosi progetti sovietici, quali le centrali idroelettriche di Komsomolsk na Amur, Krasnojarsk o Sajano-Šušenskaja. «Ricordate» ha detto il Ministro, «con quanta schiettezza le persone affluissero a tutti quei cantieri». Cantieri, per l’appunto, sovietici. E non in mani private.
Ancora di recente Vladimir Putin aveva detto che la Russia «spaccherà i denti» a chi intenda «azzannare» la Siberia, con la pretesa che «non è giusto che a un solo paese, alla Russia, appartengano le ricchezze di una tale regione», una frase attribuita (forse a torto) alla ex Segretario di Stato Madeleine Albright.
Le parole chiave, nell’insieme di questi ragionamenti, sembrano essere sì quelle di spostamento verso Oriente; passando però per la tappa degli investimenti e interessi privati nelle ricchezze naturali del paese.
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